Amore. Sotto il cielo appena coperto di una Roma piena di pellegrini in festa si è respirato soprattutto amore. Alle 10.30 di domenica 23 ottobre il popolo dei fedeli ha accolto con gioia il nuovo santo Don Luigi Guanella, salito agli onori dell’altare insieme a Guido Maria Conforti e Bonifacia Rodriguez De Castro.
E non è un caso che i nuovi santi siano stati proclamati nella giornata mondiale delle missioni: nessuno come loro ha vissuto la fedeltà alla parola di Dio consapevoli che la carità non passa solo attraverso la catechesi, ma nello stare insieme agli ultimi e condividendo la vita dei semplici.
«Ipoveri li avrete sempre con voi”. Gesù ci aveva avvertiti. Oggi come ieri, la povertà interessa ancora una fetta consistente del mondo. E non serve andare lontano, in Africa o in India, nei cosiddetti Paesi del Terzo Mondo: a volte basta girare l’angolo e te li trovi di fronte, i poveri. Oppure basta abbassare lo sguardo proprio lì, dove evitiamo di posare gli occhi perché distratti o infastiditi dallo “spettacolo indecente”: il mendicante che allunga la mano sul marciapiede o i bambini scalzi che entrano in metropolitana non sono certo roba per noi “gente impegnata”, troppo affannata nel tam tam quotidiano per prestare attenzione a certe cose. Per non parlare delle centinaia, migliaia, di profughi che scappano da terre povere e in guerra cercando rifugio sulle nostre coste.
Nell’Evangelo i momenti più significativi e gioiosi Gesù li ha compiuti attorno al cibo: ha incominciato a Cana di Galilea con il vino, poi, vicino al lago di Galilea, il pane e i pesci; i pranzi della misericordia hanno sempre al centro i peccatori, sino al momento finale nel Cenacolo, a Gerusalemme, l’ultima compiuta con i suoi apostoli, divenuta modello di tutte le cene.
Anche nella nostra cultura lo stare a tavola è sempre un momento di condivisione e di gioia; lo è per una nascita, un matrimonio, un traguardo importante nel mondo del lavoro, un diploma o una laurea nel campo dello studio, una rimpatriata tra amici. Il consumare un pasto condiviso è un elemento fondamentale del nostro vivere.
Il 23 ottobre 2011 sia per la chiesa universale, ma in particolar per noi che tentiamo di vivere la spiritualità di don Guanella, questa data diventa un pietra miliare nella storia della Chiesa. Il Papa con il suo magistero solenne indicherà nella persona di don Guanella un modello di santità che ha saputo vivere nei suoi giorni terreni con entusiasmo e passione gli stessi sentimenti di Gesù nei confronti di Dio-Padre e nel rapporto con i fratelli più fragili e feriti nella vita.
Allora sarà un giorno di festa per tutti e vorremmo con tutte le forze che divenisse un banchetto di fraternità soprattutto con i più poveri del mondo sparsi nei vari continenti della terra dove è presente l’Opera don Guanella.
Quel giorno vorremmo che nessun anziano, handicappato, orfano, ragazzo di strada, un “senza fissa dimora” rimanessero soli e vorremmo gridare forte l’appello del profeta Isaia quando proclama: “Assetati venite all’acqua [...] mangiate vino e latte”. E a noi cittadini del benessere, dice il profeta: “Perché spendete denaro per ciò che non è pane? Ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti”.
La Pia Unione, nata da un’intuizione di don Guanella per essere accanto a tutte le povertà estreme, vuol essere portavoce ed esecutrice del grido del profeta Isaia di mettere a tavola assetati e affamati il 23 ottobre nella speranza della solidarietà di molti in tutte le case guanelliane in terra di missione organizza un pranzo comunitario, rischiarato dall’abbraccio luminoso di un arcobaleno che ha la sua sorgente di colori nelle Filippine e il suo punto di arrivo nell’estrema Patagonia.
Una gioia protratta senza interruzione per una lunga giornata di luce e di fraternità.
Un pasto per un giorno di festa grande.
Per poter arrivare in tempo ad organizzare questo “banchetto della gioia” nel sentirci amati da Dio con un amore tenerissimo e, sulla scia di don Guanella, essere benedetti e additati dalla Chiesa madre e maestra come discepoli autentici di Cristo, apriamo una sottoscrizione tra i nostri associati per contribuire a questo “pasto” in un giorno benedetto.
La sottoscrizione può essere fatta o con il solito conto corrente postale ..... o con un bonifico bancario....
Davvero preghiamo che in quel giorno nessuno sia senza pane e senza gioia, ma per tutti una tavola imbandita e, soprattutto, la gioia di sentirsi amati.
«Mamma mia, dammi cento lire in America voglio andar». Questa canzone è entrata nel folklore popolare come grido di speranza in un momento attraversato da una profonda miseria di molte regioni italiane. Sia l’inizio della rivoluzione industriale come il dopoguerra del 1945 è stato segnato da grandi esodi: dal Friuli alla Sicilia un grande movimento di persone ha varcato i confini d’Italia in cerca di fortuna. Alcuni emigranti si sono fermati nelle nazioni europee, altri con le «cento lire» hanno varcato gli oceani verso gli Stati Uniti, il Canada e l’America del Sud, disseminando, a pelle di leopardo, i loro nuclei familiari. Questi nostri fratelli delle «cento lire» con una grande nostalgia dell’anima hanno portato con i loro dialetti regionali anche la cultura e le tradizioni dei loro territori di origine.
Il periodo estivo rinnova l’abbraccio tra gli emigranti e la loro terra di origine. è un tuffo nel lago della memoria, un incontro con i nuovi nati della famiglia, ma soprattutto un assaporare i profumi e il clima del proprio paese d’origine.
Lo Spirito Santo è stato definito il «grande iconografo», colui che dipinge nei volti dei santi e delle sante con i tratti del Santo per eccellenza Cristo Gesù; i santi, quindi, secondo la definizione del carmelitano padre Jesús Castellano sono un capolavoro dello Spirito «santo e santificatore».
L’azione dello Spirito non è frutto di magia o conseguenza di un miracolo, ma esige che si stabilisca una collaborazione tra l’energia dello Spirito Santo e l’uomo nella sua storia concreta, quotidiana. La santità è una storia scritta a due mani, una pagina viva e vivificante dell’evangelo di Gesù.
Allora, quando la Chiesa proclama la santità di una persona, annuncia che Dio è ancora in azione a favore della nostra povera umanità, Dio rinnova la sua fiducia nell’uomo e quel «Padre che è nei cieli» sta abbracciando ancora la terra e la rende terreno fecondo di santità.
Se anche per le piccole cose possiamo chiedere in prestito parole solenni dobbiamo gridare: «Gaudium magnum nuntiamus vobis: don Guanella sarà canonizzato il 23 ottobre 2011».
In quel giorno il Santo Padre Benedetto XVI con un atto solenne del suo magistero investirà don Guanella della laurea in santità, con la specializzazione di ricercatore del volto di Dio ed esperto in umanità, fragile e sofferente.
Don Guanella è un campione di umanità riuscita. La santità è una parola che incute timore, la riteniamo meritevole soltanto a persone privilegiate, segnate da un destino nobile, invece, per il cristiano è il traguardo della propria esistenza. Diceva un filosofo antico, Platone, che «Possiamo perdonare a un bambino che abbia paura del buio.
Le tracce più antiche lasciate dagli esseri umani sono le sepolture; prima ancora d'imparare a levigare pietre e a fare capanne, i primitivi inumavano i loro morti con i segni di un culto elementare che si pensa essere stato la prima forma di rapporto dei viventi con la trascendenza. L'amore per i defunti, diffuso in tutti i popoli come Egizi, Persiani, Indiani, Cinesi, Romani, Fenici, si è mantenuto nel tempo, restando vivo fino a noi in forme diverse: quella religiosa e attraverso questa nella scultura, nella musica, nella letteratura. Si dice che un elemento fondamentale per misurare il grado di civiltà d'una popolazione sia il suo modo d'onorare i morti.
Nel nostro tempo assistiamo a un affievolirsi di questo culto e il fenomeno non si può chiamare neppure imbarbarimento perché barbari e primitivi onoravano sommamente i morti rispettandone e coltivandone la memoria. Allora è civiltà quella che ci sta portando verso questa trascuratezza nei confronti di chi ci ha preceduto?
Giunto al solstizio d’inverno, nel punto dell’anno in cui la luce riprende il sopravvento sulla tenebra, l’uomo del passato ha letto in questo segno cosmico, in questa cifra misteriosa, un messaggio rivolto a lui stesso: che la luce non soccomberà alle tenebre, che il bene non sarà travolto dal male, che la morte non prevarrà sulla vita. Come? Questo è il mistero che appare oscuramente, come in uno specchio nell’Incarnazione e la Fede fa splendere come il sole. Il Cristianesimo ha riempito con l’amore divino questa attesa che era già nell’uomo che, come i Magi, scrutava il cielo per trovarvi l’annuncio d’una salvezza.
Questo tempo dell’anno si festeggia con la vecchia usanza del Presepio che, tra le tradizioni natalizie, sarebbe quella da conservare e tramandare con più cura, al di là anche del significato strettamente religioso, come festa dell’umanità, della luce nella tenebra, come ingresso nella casa di una parte della natura, del suo verde con il muschio, dei suoi profumi, della sua vita. Ci riguarda come forma del nostro vivere del nostro mondo e della nostra terra; ci appartiene quale reliquia antica che deve essere ormai più che millenaria, considerando che San Francesco riprese probabilmente un'usanza preesistente. A lui appunto risale la sua origine: egli per primo fece a Greccio, la notte di Natale del 1223, un presepio vivente e da lì l'uso si è diffuso nella cristianità.
Al culmine dell’estate, alla fine dei lavori stagionali della campagna, prima dell’arrivo della stagione dei frutti e della vendemmia, mentre il grano è già riposto al sicuro con gli altri cereali e il sole non ha fatto sentire ancora decisamente l’attenuarsi della sua forza, il 15 di agosto si celebra la festa dell’Assunzione della Vergine al Cielo. In molte zone è riconosciuta come la festa più solenne della Chiesa, forse per cadere in un periodo privo di grandi feste e di sospensione dei lavori agricoli con il relativo riposo, occasione di viaggi, pellegrinaggi, ritorni di persone andate ad abitare lontano, riunioni di famiglie. Certamente si può dire che è la più solenne delle feste della Madonna ed a ragione essendo il dies natalis, ossia ricordando, come per i Santi, il giorno della morte, passaggio da questa vita alla gloria del Cielo. È una delle feste più antiche essendo nata forse presso il sepolcro della Vergine a Gerusalemme verso il 450.
di Carlo Lapucci
Nel ciclo dell’anno liturgico il Corpus Domini si trova a coronamento della vicenda umana del Redentore: dopo la nascita, la passione e la morte, la resurrezione, l’ascensione al cielo, la Chiesa contempla la sua presenza reale nel mondo riscattato dal peccato e dalla morte, il trionfo del mistero della salvezza e la misteriosa presenza divina nel sacramento dell’Eucaristia.
La festa si celebra 61 giorni dopo la Pasqua, il giovedì dopo la festa della Santissima Trinità (ora spostato alla domenica): seguendo la data mobile del ciclo pasquale può cadere tra il 21 maggio e il 24 giugno, periodo nel quale la natura si trova nel pieno della sua attività ed esprime il massimo di forza, di rigoglio e di bellezza. I fiori e le foglie che hanno riempito le terre stanno lasciando apparire i primi frutti e in particolare il grano, legato simbolicamente e materialmente al mistero dell’Eucaristia, alza le sue spighe e si avvia a imbiondire e ad essere raccolto.