Desidero proporre delle riflessioni di carattere etico generale circa il problema, o meglio l’esperienza del dolore. Cosa significa qui “etica”? In estrema semplificazione la possiamo intendere così: la riflessione sul comportamento umano per valutarlo in confronto ai valori (cosa è bene e cosa è male) e per orientarlo a forme migliori.
Nel linguaggio comune usiamo con una certa indeterminazione i termini dolore e sofferenza. Quando ad es. un paziente tenta di spiegare al medico i sintomi che lo affliggono, può dire: “Sento un forte dolore al ginocchio”, oppure: “Questa artrosi mi fa soffrire terribilmente”. Non voglio qui entrare in distinzioni concettuali troppo raffinate, più proprie del pensiero filosofico o della psicologia. Dolore e sofferenza non sono uguali. Entrambi appartengono all’esperienza del patire, ma sono di diversa natura. Spesso vanno insieme, ma possono essere distinti. Si può soffrire senza provare dolore: es. per un’ingiustizia subita, per un tradimento, per il male morale proprio o degli altri. O si può provare una forma di dolore che non causa sofferenza: es. un atleta nello sforzo della prestazione fisica, un dolore sopportato per raggiungere un bene superiore.