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Venerdì, 01 Giugno 2012 09:00

Maria di Nazareth la prima evangelizzatrice

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di Gabriele Cantaluppi

Un giorno san Benedetto, immerso nella sua solitudine di eremita, ricevette la visita di un prete, che gli disse:  “Alzati e prendiamo un po’ di cibo, perché oggi è Pasqua”. Gli rispose il Santo: “Non lo sapevo, ma me ne sono accorto perché sei venuto a visitarmi”. Suscitare in ciascuno la lode e la condivisione, questa è anche la forza delle visite che ci rendiamo gli uni gli altri: ci incoraggiamo vicendevolmente e riprendiamo fiducia nell’avvenire, proprio come è il messaggio della Pasqua.
Appena venuta a conoscenza della propria maternità divina e di quella prodigiosa della cugina Elisabetta, Maria non può trattenere l’impulso di andare a farle visita:  “in fretta”, sottolinea il vangelo di Luca, ma una fretta motivata dalla premura e dall’amicizia che spinge al desiderio di essere e di rendere partecipi dei doni ricevuti.

Le parole dell’incontro di Maria con Elisabetta esprimono la meraviglia, lasciano sgorgare la vita interiore e aprono l’orizzonte a un futuro sconosciuto ma ricco di speranza.
Per una donna incinta come Maria e in un paese caldo come Israele, il viaggio da Nazareth a Ain Karim non era un piccolo incomodo e forse Giuseppe avrà accompagnato la sua sposa, anche se ancora, secondo l’usanza ebraica, non vivevano insieme.
Nell’affresco di Pietro Ivaldi, posto sul nostro calendario, Giuseppe sembra tutto intento a prendere accordi con le donne del posto, forse parenti o conoscenti, per offrire una sistemazione confacente allo stato di gravidanza di Maria dopo le fatiche del  lungo viaggio.

Il ministero della visita
Fare visita non è soltanto un movimento fisico, ma anche mentale: vuol dire lasciare il proprio universo per entrare in quello dell’altro.
Dio non ha forse operato questo movimento per noi? In Gesù ha lasciato la sua divinità per entrare nel nostro mondo, per “porre la sua tenda” fra noi come realisticamente annota il vangelo di Giovanni.
Accogliere Dio che ci visita sprona noi ad andare a nostra volta a visitare, quasi esprimendo in un pellegrinaggio fraterno la risposta al pellegrinaggio di Dio fra noi.
Ma perché la visita sia autentica è necessario lasciare da parte un po’ di se stessi. Quando si visita qualcuno si è accolti in un’altra dimora, dove molte cose sono diverse da quelle a cui siamo abituati. E’ un altro aspetto della visita: non basta lasciare, occorre anche vedere.
Entrando nella casa di un altro, il nostro occhio scorge subito tutti i dettagli che rivelano la personalità del nostro ospite: l’arredamento, l’ordine dei mobili, i suoi libri, la sua collezione di dvd o di cd, e tanti altri particolari. è in fondo la scoperta di un mondo forse un po’ differente dal nostro abituale, che ci introduce nella conoscenza dell’animo di chi ci ospita. Fra Maria ed Elisabetta  l’occhio non è attirato dall’ordine esteriore, ma dalla gioia interiore dell’altra. Nel più intimo di ciascuno di esse i bambini trasaliscono di gioia, manifestando alle madri nella imprevista maternità l’azione dello Spirito Santo.
Ecco lo scopo di ogni visita: entrare in empatia, cioè condividere con colui che mi accoglie, lasciare sgorgare dalle mie labbra la lode per celebrare la felicità dell’altro. Anzi è questa la cartina al tornasole per verificare l’autenticità dell’incontro: saper stare nell’ombra per dare spazio all’altro, senza secondi fini utilitaristici.
Maria incontra Elisabetta non per curiosità e neppure principalmente per l’aiuto, ma per  lodare e vedere l’azione di Dio e gioirne.
La visita di Maria a Elisabetta ci invita a riscoprire nella nostra Chiesa il ministero della visita. Ogni battezzato è chiamato a visitare i suoi fratelli. Anche solo bussando gratuitamente alla porta di qualcuno, per avere notizie, offrire un sorriso, un saluto e magari avere qualche discussione su questioni importanti. Ce lo ricorda anche il Catechismo annoverando fra  le “opere di misericordia corporale” quelle di “alloggiare i pellegrini, visitare gli infermi, visitare i carcerati”: potremmo riassumerli tutti con “essere accoglienti”.

Ospitalità e conversione
Andare verso l’altro richiede una conversione all’ascolto, cioè alla disponibilità a lasciarsi mettere in gioco in prima persona, che potremmo riassumere in due verbi: ascoltare e condividere. Per ascoltare è importante essere convinti che le reciproche differenze arricchiscono, con un cuore aperto all’invito di San Paolo: “Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono” (1 Tess. 5, 21).
Ma è anche necessario educarsi alla consapevolezza della relatività del proprio punto di vista all’interno della realtà, perché “venuta la superbia, viene anche l’infamia; ma la saggezza è con gli umili” (Prov. 11,2).
Occorre soprattutto avere un background comune: la centralità della persona, dei suoi diritti, dei suoi bisogni e delle sue aspettative.
Sappiamo bene come don Guanella cogliesse ogni occasione per esprimere la sua riconoscenza e il suo affetto recandosi di persona presso benefattori oppure dove avesse conoscenza di bisogno di aiuto. Ritornando alla casa di Como dai suoi viaggi, sua prima premura era incontrare gli ospiti della sua casa.
Ma è bene ricordare che proprio il giorno in cui, stando a mensa con i confratelli, fu colpito dalla paralisi, aveva ritardato la partenza per un viaggio per dovere di ospitalità verso l’amico... venuto a trovarlo.
E proprio da ospite, ricevette la visita di un altro Ospite: Gesù crocifisso, che lo volle assimilare a lui nella croce.

Read 1388 times Last modified on Mercoledì, 05 Febbraio 2014 15:21

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