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Mercoledì, 19 Dicembre 2012 11:18

Grotta o stalla? Featured

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di Gabriele Cantaluppi

Nel buio misterioso di una cavità naturale la venuta di Gesù Bambino appare un luminoso contrasto. Spesso, nelle rappresentazioni, in lontananza sullo sfondo, sorge la turrita città di Gerusalemme quasi a ricordare il luogo della futura passione, già in qualche modo presagita dall’umile nascita del Figlio di Dio. Luca parla solo di una stalla e di una mangiatoia. Il bue e l’asino appartengono ad una forma di idillio rurale


E quell’“alloggio” a che cosa si riferisce? “Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio” (Lc. 2, 7): sono le scarne ed essenziali notizie con cui Luca  sembra quasi voler dipingere la nascita di Gesù.
Nel 135 d.C. l’imperatore Adriano fece costruire all’interno di Betlemme un tempio pagano, dedicato ad Adone, su una grotta, che i cristiani veneravano come il luogo della nascita di Gesù. Ed è significativo che questa stessa grotta, assieme ad altre situate nelle vicinanze, pur essendo in seguito, durante tutto il  primo secolo, usate come deposito di derrate alimentari o come stalle, abbiano mantenuto tracce di venerazione da parte dei  giudeo-cristiani.
Del resto il vocabolo greco “fàtne”, usato da Luca e quello latino “praesepium”, possono riferirsi  alla stalla -mangiatoia e quindi, anche nelle rappresentazioni artistiche sono a pieno titolo incluse ambedue. Nel dipinto di Pietro Ivaldi, riprodotto sul nostro calendario, non si dà molto l’idea di un luogo poco raffinato, anche se il modo in cui sono distribuite le tre dimensioni dello spazio fisico e le vivaci forme dei personaggi agiscono in modo da suscitare nello spettatore la capacità di esperienza religiosa e il desiderio di meditare il mistero del Natale. Non dimentichiamo che la forma artistica del presepe è sostenuta principalmente da motivi religiosi e pertanto rimane (o dovrebbe rimanere) uno scopo secondario.
San Girolamo, ma anche Origene, Giustino e altri Padri della Chiesa, parlano di una grotta, che si trova a Betlemme nel luogo dove l'imperatrice Elena fece erigere la chiesa della Natività. Il vescovo pellegrino Arkulf scrive da testimone oculare nel 670: "Sotto l'altare della chiesa c’è una grotta doppia: Cristo è nato a ovest dove si trova il presepe."
Nel buio misterioso di una cavità naturale la venuta di Gesù Bambino appare un luminoso contrasto. Spesso, nelle rappresentazioni, in lontananza sullo sfondo, sorge la turrita città di Gerusalemme quasi a ricordare il luogo della futura Passione, già in qualche modo presagita dall’umile nascita del Figlio di Dio.
Luca parla solo di una stalla e di una mangiatoia. Il bue e l’asino appartengono ad una forma di idillio rurale, ma ricordano il profeta Isaia, che con questa immagine rimproverava ai suoi contemporanei la loro empietà. "Il bue conosce il suo proprietario e l'asino la greppia del suo padrone, ma Israele non conosce, il mio popolo non comprende" (Is. 1,3).
Fanno eco le parole del poeta boemo Johannes Scheffler: "Cristo è nato a Betlemme un migliaio di volte e non dentro di te,  per questo sei rimasto perduto per sempre."
Secondo i gusti dei diversi artisti, Gesù Bambino è rappresentato con i tratti dei vari popoli e delle varie epoche e raramente come un bambino ebreo. Si rende così evidente che l'Incarnazione non è stata solo per il popolo eletto, ma a tutte le persone di tutto il mondo e di ogni epoca. Che il bambino nella mangiatoia sia il Salvatore del mondo, l'artista lo chiarisce con il cielo azzurro in cui stanno diradandosi le nuvole: è l’arrivo della speranza per chi “giace nelle tenebre e nell’ombra di morte” del peccato.
Nel dipinto del nostro Autore possiamo quasi tracciare una linea diagonale da destra a sinistra che separi le due scene: da una parte alcune donne che sembrano piuttosto scambiarsi opinioni che contemplare il Bambino,  dall’altra Maria e Giuseppe che appaiono estatici davanti all’Evento incrociando il loro sguardo con quello del Figlio di Dio.
Gesù bambino è assestato sulla paglia in una posizione non proprio comoda, così come spesso oggi possono essere le prime ore dei bambini che vedono il mondo per la prima volta: tettoie miserabili e asciugamani sporchi, mancanza di cibo e condizioni di sottosviluppo. Eppure anche per loro “la nostra fragilità assunta dal tuo Verbo, o Padre, conosce una dignità che non conoscerà decadenza e si fa anche per noi prodigioso principio di vita immortale” (Liturgia ambrosiana).
Ma anche nelle nostre asettiche e moderne  cliniche occidentali tante volte lo sguardo di una madre si posa duro e freddo sulla sua creatura non voluta, abbandonandola all’anonimato di una scheda anagrafica.
Si racconta che San Francesco d’Assisi, nella notte in cui allestì a Greccio il primo presepio, mentre cantava il Vangelo durante la Messa di Natale, ogni volta che pronunciava il nome di Gesù, “passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quel nome” (Tommaso da Celano).
è per noi un richiamo ad avere con Gesù Bambino un approccio non solo in forma accademica e intellettuale, ma a dare spazio al sentimento e al cuore.
Forse il Natale ci invita anche a recuperare il silenzio nella tormentata vita di ogni giorno: perché ogni aprirsi di una vita umana sulla terra venga colto nel suo sapore di meraviglia, di dono e di mistero.

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