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Giovedì, 05 Settembre 2013 13:41

Chi crede, vede Featured

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L’enciclica Lumen Fidei di Papa Francesco scritta insieme a Benedetto XVI

di Angelo Sceppacerca

La luce della fede è il dono portato da Gesù. Lui è il dono; Lui è la luce. Inizia così la prima enciclica di papa Francesco che è anche – e non solo metaforicamente – l’ultima di Papa Benedetto.

Il nostro mondo, come quello pagano del tempo di Gesù, è “affamato di luce” e nessun altro sole è capace di “arrivare fino all’ombra della morte”, quando ogni uomo si chiude ad ogni luce. Invece a Marta, che piange la morte del fratello Lazzaro, Gesù dice: “Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?”. Chi crede, vede. Tante sono le possibili obiezioni, oggi come ieri, nella presunzione di uomini che si sentono adulti e inappagati, al punto di paragonare la fede al buio, o al massimo relegandola nell’angolo fuori dalla ragione, pur sempre un salto nel buio, appunto.

Quello che è successo ai secoli e agli uomini “dei lumi” è sotto gli occhi e nell’esperienza di ognuno: smarrimento, oscurità e paura. Oggi, più che mai, ci vuole una grande luce. Il Papa cita Dante nel Paradiso che descrive la fede come una “favilla, che si dilata in fiamma poi vivace e come stella in cielo in me scintilla”.

Un’enciclica sulla fede – a chiusura ideale della trilogia delle virtù teologali trattate nelle encicliche di papa Benedetto (Deus Caritas est; Spe salvi) – nell’anno della fede. Una fiaccola che passa da un papa testimone all’altro, per giungere nelle mani di ogni fedele e fargli da madre. Negli Atti dei martiri leggiamo questo dialogo tra il prefetto romano Rustico e il cristiano Gerace: «Dove sono i tuoi genitori?», chiedeva il giudice al martire, e questi rispose: «Nostro vero padre è Cristo, e nostra madre la fede in Lui». Per quei cristiani la fede era una "madre", li faceva venire alla luce, generava una nuova visione luminosa dell’esistenza, per cui si era pronti a dare testimonianza fino alla fine.

Abbiamo creduto all’amore

La fede è un cammino e ha una storia che va conosciuta. Da Abramo – nostro padre nella fede – la fede si mostra come una chiamata e una promessa. Scrive il Papa: “E’ vero che, in quanto risposta a una Parola che precede, la fede di Abramo sarà sempre un atto di memoria. Tuttavia questa memoria non fissa nel passato ma, essendo memoria di una promessa, diventa capace di aprire al futuro, di illuminare i passi lungo la via … (è) un appello profondo, iscritto da sempre nel cuore del suo essere”. Di più. “La grande prova della fede di Abramo, il sacrificio del figlio Isacco, mostrerà fino a che punto questo amore originario è capace di garantire la vita anche al di là della morte. La Parola che è stata capace di suscitare un figlio nel suo corpo "come morto" e "nel seno morto" di Sara sterile, sarà anche capace di garantire la promessa di un futuro al di là di ogni minaccia o pericolo”. Nella fede di Israele emerge la figura di Mosé, ma tutto tende verso la venuta di Gesù, che manifesta la piena affidabilità di Dio, soprattutto nella sua morte per l’uomo. L’evangelista Giovanni scrive: Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. E Dostoevskij, nella sua opera L’Idiota, fa dire al protagonista, il principe Myskin, alla vista del dipinto di Cristo morto nel sepolcro, opera di Hans Holbein il Giovane: Quel quadro potrebbe anche far perdere la fede a qualcuno.

Dinanzi alla croce di Gesù si può disperare o convincersi dell’affidabilità totale dell’amore di Dio, fede nel suo amore incrollabile per noi. La logica della fede è tutta centrata su Cristo e la vita del credente diventa esistenza ecclesiale: “La fede non è un fatto privato, una concezione individualistica, un’opinione soggettiva, ma nasce da un ascolto ed è destinata a pronunciarsi e a diventare annuncio”.

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