L’approvazione della Compagnia nel 1540 segna l’accoglienza che la Chiesa dette all’Ordine fondato da sant’Ignazio. Alla morte di Ignazio (nel 1556) i gesuiti erano già un migliaio, sparsi già in vari continenti. Per molto tempo sulla Compagnia si scatenarono gli attacchi e l’odio di chi voleva distruggere la Chiesa, e senza dubbio spesso i Gesuiti furono considerati l’ultimo baluardo da eliminare per colpirla al cuore. Apparentemente ci riuscirono nel 1773, ottenendo la sua soppressione fino al 1814 (firmata da un Papa francescano, se vogliamo sorridere dell’ironia della storia), quando il papa Pio VII, appena due mesi dopo il suo ritorno dalla cattività francese alla quale Napoleone lo aveva costretto, con uno dei suoi primi provvedimenti ricostituì la Compagnia. L’essere andati a Roma per mettersi a disposizione del Papa è il segno del desiderio di servire Dio con uno sguardo che, al contempo, è universale e totalmente libero. Universale, perché il Papa rappresentava il centro di tutta la Chiesa e quindi a conoscenza delle sue necessità più urgenti; totalmente libero perché rinuncia a scegliere quello che lui pensa e desidera, rimettendosi alla volontà di Dio in un atto di affidamento in una mediazione umana concreta. Inutile ricordare che la Chiesa era in quel momento sconquassata dalle agitazioni della Riforma, dove si metteva in scacco qualsiasi mediazione visibile tra l’uomo e Dio. Ignazio fa un gesto che, a mio avviso, ricorda proprio quello di Francesco, quando viene a Roma per chiedere l’approvazione del Papa. Anche Ignazio consegna se stesso e la sua Compagnia al Papa, mediante il famoso quarto voto di obbedienza speciale al Sommo Pontefice. Solo una lettura ideologica e superficiale può mettere in discussione la importanza del Successore di Pietro per questi due grandi santi.La sua esperienza personale di Dio passerà nei suoi Esercizi Spirituali, uno degli strumenti più efficaci di conversione e di nutrimento della vita spirituale che mai siano stati donati a tutta la Chiesa. E sempre ascoltando quanto la realtà gli suggeriva − è la lettura con discernimento interiore della realtà, infatti, il luogo dove si rivela la volontà di Dio − Ignazio comprende che Dio lo chiama a essere “collaboratore della missione di Cristo” insieme a dei compagni, per un servizio sempre teso alla ricerca del magis. Dopo la prima parte della sua vita dedita alla ricerca di onore e gloria, prima parte terminata con un colpo alla gamba durante l’assedio di una fortezza a Pamplona nel 1521, Ignazio vive una profonda esperienza di conversione interiore e personale. Il tratto caratteristico è la sua capacità di prestare attenzione a tutto quanto si svolge nella sua anima e riflettere su tutte le esperienze che si trova a vivere. Scopre pian piano che davvero Dio si può trovare in tutte le cose e nulla del reale e di quanto è a disposizione dell’uomo è estraneo al cammino verso il comprendere la Sua volontà e metterla subito in pratica. Una storia che poteva essere piuttosto limitata, se non fosse che tra quel gruppo di amici c’era un basco, novello sacerdote (che ancora non aveva voluto celebrare la sua prima messa per potersi preparare bene) nonostante la non più verde, per l’epoca, età. Si chiamava Iñigo de Loyola, conosciuto poi con il nome di Ignazio. Una “semplice” congiuntura internazionale, lo scoppio della guerra tra Venezia e i Turchi nel 1538, impedì a un gruppo di amici di andare a Gerusalemme per passare la loro vita a servizio del Vangelo. Allora, come avevano deciso in precedenza − nel caso che entro un anno non fossero riusciti a imbarcarsi per la Terrasanta − si presentarono al Papa mettendosi a sua disposizione per qualsiasi cosa egli avesse voluto impiegarli.