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Venerdì, 27 Maggio 2011 14:17

Come Gesù, don Luigi trova i suoi discepoli in riva al lago

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di Mario Carrera

Quel 20 aprile 1887 rintocchi di “campane a morto” si rincorrevano sulla superficie immobile del lago. Con il loro cadenzato lamento annunciavano il gemito di un popolo in lutto; ma tra i rami di peschi in fiore faceva eco un canto di speranza. Un gruppetto di bambine, raccolte in un angolo del cortile dell’orfanotrofio con gli occhi umidi di lacrime, si chiedeva: “Tornerà suor Chiara tra noi?”. Don Guanella, pur immerso nel dolore, confortava quelle bimbe dicendo loro che suor Chiara sarebbe tornata, anzi che loro l’avrebbero ritrovata nella grande festa finale, quando Dio avrebbe chiamato tutti a giocare eternamente con lui insieme ai suoi e ai nostri amici.
Ma Dio ha voluto che suor Chiara, incoronata di gloria, tornasse prima.
Rientrava nella scena del mondo come una regina vestita di splendore, con il volto luminoso di chi ha visto Dio e ha immerso lo sguardo nei suoi occhi.

Il 21 aprile 1991, dopo tanti anni dalla morte, il Papa annuncerà al mondo intero che quella “suorina”, discepola di don Guanella, nata a Pianello Lario e morta giovanissima, nella sua breve vita ha percorso con rapidità le grandi tappe dell’amore verso Dio come quelle verso il prossimo. Infatti è “santo” colui che riesce a vivere nella vita quotidiana il messaggio del Vangelo.
Non sono i grandi miracoli a fare i santi, ma l’amore e l’attenzione con cui si costruiscono le piccole cose di ogni giorno.
Ecco un frammento della vita di suor Chiara profumato di carità evangelica.
La nebbia quella sera rendeva tutto più malinconico, triste e grigio. Le bambine dell’orfanotrofio erano già a letto.
Solo la finestra del guardaroba lasciava intravedere una luce fioca.
Curva su una gonna ormai consumata - l’unico suo valore erano i numerosi rammendi - suor Chiara tentava di ricucire uno strappo, quando sentì bussare alla porta.
Un balzo al cuore e Chiara si domandò: “Chi può essere a quest’ora di notte?”. Con un gesto delle dita infilò l’ago nella gonna, la depose su uno sgabello e si incamminò verso l’ingresso. Il silenzio era rotto solo dal leggero rumore dei suoi zoccoli. Non chiese neppure chi stesse alla porta, ma con grande slancio l’aprì e si trovò davanti una suora con una bambina infagottata e avvolta in uno scialle bianco come una pianta dopo un’abbondante nevicata.
“Sorella - sussurra la suora a Chiara - sono in viaggio verso la Svizzera per accompagnare questa bambina. Il buio ci ha colte per strada. Ci fareste la carità di ospitarci per questa notte?”.
“Ma certo. Entrate”, le bisbiglia suor Chiara mentre riattivava lo stoppino della lanterna per dare un po’ più di luce. Al chiarore della lampadina sbucarono dallo scialle due occhioni luminosi di una bambina che aveva la pelle scura come la notte. La bambina era in cerca dei suoi genitori emigrati nella vicina Svizzera. Suor Chiara le fece accomodare in una saletta e offrì loro qualcosa di caldo per sfamarsi e poi le accompagnò a riposarsi.
“Dopo una giornata di cammino, e con questo tempo, sarete stanche”, disse suor Chiara indicando alla suora il letto. Era il letto stesso di suor Chiara, l’unico disponibile, e lei con molta tranquillità l’aveva ceduto: avrebbe passato la notte su una sedia, contenta di aver più tempo per pregare!
Suor Chiara in quei pochi anni che stette a fianco di don Guanella imparò la sapienza della croce, portata per amore in unione a Gesù crocefisso e abbracciata come servizio ai poveri.
Il motto abituale sulle labbra di don Luigi era: “Care martorelle, bisogna imparare a pregare e a patire. Pregare per imparare a patire con amore e patire con rassegnazione per entrare in un giusto clima di preghiera”.
Per il cristiano non c’è altra saggezza, se non la stoltezza della croce. E Chiara fu la vittima designata, la pietra angolare di un grande edificio: dalle sue sofferenze l’opera di carità incominciò ad allargare i suoi confini. Prima Como, poi Milano, Rovigo, Roma, Calabria, Svizzera, Stati Uniti.
Da giorni, in quel mese di aprile 1886, nell’ospizio di Pianello del Lario c’era un movimento insolito. Le orfanelle si domandavano perché venissero ammassate masserizie, pentole, sedie, in un angolo del cortile. Anche Pietro, il barcaiolo, che conduceva i passeggeri diretti a Como via lago, in quei giorni era salito a “dare un’occhiata” al materiale. Oltre a quelle povere masserizie, in chiesa suscitavano curiosità le frequenti e particolari preghiere, provocando così un desiderio di partecipazione ad una nascita ancor ignota ma ormai presente nell’aria. Finalmente, poco prima del 6 aprile don Guanella soddisfece la legittima curiosità ed annunciò che un’ape regina stava per sciamare e portare l’opera di beneficienza nel cuore stesso della diocesi, a Como. Ormai era calata la notte quando le robuste braccia di Pietro, il barcaiolo, avevano spinto fuori dalla secca l’imbar­cazione.
Esclusi gli animali, sembrava proprio l’arca di Noè: di quello che la povertà era riuscita a reperire per non morire di miseria, non mancava nulla.
Su quelle piccole cose trasportate sulle onde del lago scendevano ritmate dallo sciabordio dei remi le invocazioni alla Provvidenza di Dio.
Al mattino, all’imbarcadero della città di Como, i pochi passanti infreddoliti si chiedevano chi fossero quei “pellegrini” indaffarati ad appoggiare sulla sponda del lago gli oggetti di un misero trasloco. Qualcuno scuotendo la testa diceva: “È roba del Guanella; quello lì o è matto o davvero è un santo, comunque è uno che ragiona e programma e cammina su strade diverse dalle nostre”. Come e quando Dio volle, quel primo drappello di suore e orfanelle si trascinarono quei poveri bagagli verso la strada che sale al paese di Brunate.
Quando arrivarono alla loro casa, avevano il fiato grosso, le forze erano allo stremo e la fatica per la notte insonne incominciava a farsi sentire. Appena riposti i loro fagotti in quella casa disadorna e fredda, subito si inginocchiarono sui mattoni del pavimento ed intonarono una preghiera di ringraziamento.
La semente era là pronta per essere gettata e la benedizione di Dio stava rendendo fecondo quel seme. Ormai l’Opera don Guanella aveva spostato il suo baricentro nel cuore stesso della diocesi e quella casa sarebbe stata il grembo materno di tante fondazioni di carità.
Contente di poter patire qualcosa per amore di Cristo, passarono le prime notti, ma quando alla sera il freddo e l’umidità del lago avvolgevano le case della città di Como, una tosse secca e lancinante rompeva il silenzio di quei muri disadorni: era suor Chiara. Di giorno era di un’attività febbrile; i poveri avevano ormai imparato la strada della Casa della Divina Provvidenza, ma di notte Chiara pagava con l’insonnia e una bronchite cronica il pedaggio del suo amore.
Quella vita non durerà molto. Dopo qualche mese suor Chiara con la morte nel cuore è costretta a lasciare la nuova fondazione e tornare a Pianello per stare accanto a don Guanella e farsi così aiutare a donare la sua giovane esistenza come olocausto d’amore per il bene dei poveri.
Dio aveva ormai segnato nella mappa della civiltà dell’amore nella sua compassione per i poveri un nuovo confine: la tenda ospitale per i poveri aveva spazi in più, più tavole per sfamare tante bocche e soprattutto dei cuori capaci di accogliere e condividere.

(da Don Guanella servo per amore e giocoliere della Provvidenza, Editrice Nuove Frontiere)

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