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Giovedì, 12 Gennaio 2012 13:22

San Giuseppe degil stracciarioli

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di Fabio Pallotta

Con l’acquisto della Colonia di Monte Mario era iniziata la presenza in Roma.
Il marchio di fabbrica era quello di sempre, alla poveraccia: anzi questa volta un po’ peggio…
a mantenere l’opera guanelliana ci pensavano i robivecchi di Roma coi loro stracci

Gli accordi suggellati con il pranzo del 26 Maggio 1903 in casa di mons. Radini Tedeschi sarebbero stati mantenuti qualche mese dopo, il tempo di organizzarsi reciprocamente. Si doveva iniziare in agosto, poi si era slittato perché don Guanella aveva fatto leggere la bozza del contratto all’amico agronomo di Chiavenna, Cerletti, il quale sconsigliava di accettare perché la cosa sapeva di capestro e si intravedevano solo perdite all’orizzonte. Don Guanella fa presente le sue rimostranze a Radini Tedeschi e questi risponde per le rime redarguendo don Guanella circa la superficialità delle osservazioni dell’agronomo, fatte a tavolino, e aggiungendo il monito a non trattare la vicenda con spirito commerciale.

Don Guanella, molto con creto e comunque interessato a non far sfumare il progetto, rialza il piatto con un tocco di maestria: “Reverendissimo Monsignore, appunto non entriamo nel campo degli affari, ma stiamo come sempre nel campo del fare un po' di bene, e allora si concluderà che da parte nostra e da parte della Commissione si faccia a gara per vincere in generosità, tanto più che da ambe le parti il desiderio di fare il bene deve essere vivo”. Cioè: ci sto, ma lo fate anche voi un passo; in fondo è un’opera di bene. Non interessa anche a voi il bene?
Da Agosto si slittava a Settembre e da Settembre si rimandò ad Ottobre; il giorno di San Francesco si sarebbe fatto il compromesso di acquisto e i nostri entrarono quel giorno nella Colonia di San Giuseppe a Monte Mario detta “degli Stracciaroli”. Subentravano a don Orione e ai suoi figli.

Cosa era la Colonia San Giuseppe e perché don Orione lasciava?

Nel 1901 la Curia romana volle rispondere alla proposta educativa di Leone XIII che chiedeva di salvare tanta gioventù pericolante attraverso il ritorno all’agricoltura con metodi innovativi: il luogo lo mise a disposizione il Capitolo dei Canonici di San Pietro acquistando un terreno di 27 ettari sul Monte Mario e costituendo allo scopo una Commissione detta ‘Opera San Giuseppe’ con a capo mons. Radini Tedeschi e mons. Salvatore Talamo; i giovani li avrebbe forniti e sovvenzionati l’Opera per la Preservazione della Fede nata per fare fronte al dilagare del protestantesimo. Attraverso la raccolta dei Rifiuti e degli stracci, che allora fruttava circa 7000 lire l’anno, si sarebbe ulteriormente sovvenzionata la Colonia che fu affidata agli Eremiti di don Orione.
La Congregazione orionina, tuttavia, muoveva ancora i primi passi, tra mille stenti di personale e di soldi e già impegnata su più fronti col Vaticano: nel 1900 aveva preso in gestione la Colonia agricola della Petrara, nel viterbese e nel 1901 riceveva appunto da mons. Radini la Colonia di San Giuseppe sul Monte Mario.
A distanza di pochi mesi anche mons. Misciattelli, che era cameriere e segretario di Papa Leone XIII, aveva acquistato il terreno attiguo alla Colonia San Giuseppe con relativa Villa, intestandola a Santa Maria del Perpetuo Soccorso e aveva voluto affidarne la conduzione allo stesso don Orione, essendo quest’altra Colonia confinante con la prima.
Iniziarono problemi a catena per varie ragioni: l’orionino don Albera, allora direttore delle Colonie romane, viveva un momento di contestazione sottile e di eccessiva autonomia nei confronti del suo fondatore; il vescovo di Tortona, essendo allora la Congregazione di diritto diocesano, non accettava più che don Orione conducesse le case coi chierici e li richiamò tutti nel suo Seminario; gli Eremiti orionini, nati per la preghiera erano di fatto massacrati da un lavoro estenuante con mezzi precari e poca esperienza; la coltivazione dei campi che doveva essere un mezzo era diventato un fine. Ci si aggiunse un bell’incendio il 16 Febbraio 1903 che rischiò di devastare la Colonia.
Risultati: mons. Radini infuriato per la conduzione trascurata della Colonia San Giuseppe, mons. Misciattelli preoccupato per la scarsa resa economica della Colonia Santa Maria, don Orione umiliato perché i colpi arrivavano da ogni lato. Per attutire le tensioni e dare tranquillità si vide costretto a scendere di persona e fissare la sua residenza sul Monte Mario nel Giugno 1903, pochi giorni dopo aver ricevuto da mons. Radini una durissima lettera listata a lutto: “Il Signore ci aperse una nuova via”. Era il benservito.
Don Guanella nel frattempo bussava e le porte gli furono spalancate. Presto si sarebbe reso conto di quante sofferenze si era caricato l’amico don Orione, perché si troverà con gli stessi problemi e la stessa solitudine.
Era un subentro, delicato come ogni subentro. Peraltro gli orionini erano rimasti nell’attigua Colonia Santa Maria. C’erano buoni presupposti per frizioni e conflitti, che non nacquero mai; guanelliani ed orionini si compresero e si aiutarono a vicenda perché i loro Fondatori si volevano bene e facevano a gara nella stima reciproca, pur con trent’anni di differenza: si rincorrevano, si facevano regali a vicenda. Nacque una storia bella fra quei due Santi, una storia che andrebbe raccolta un po’ meglio e approfondita perché ci fu un momento in cui si parlò addirittura di fusione. Il colombiano mons. Ricardo Sanz De Samper, camerlengo del Papa, si era interposto perché si creasse un corpo unico delle varie Congregazioni più o meno coeve dedite alla carità.
Non se ne fece nulla; sul letto di morte don Guanella, che parlava poco e male per la paralisi che ne aveva mortificato la parola, riuscì a dire al giovane amico don Orione: “In caritate Christi”. Forse per dire: la Chiesa è una sinfonia di voci; dirige Cristo, ma ognuno suoni il suo strumento.
Con l’acquisto della Colonia di Monte Mario era iniziata la presenza in Roma. Il marchio di fabbrica era quello di sempre, alla poveraccia: anzi questa volta un po’ peggio… a mantenere l’opera guanelliana ci pensavano i robivecchi di Roma coi loro stracci. E San Giuseppe, ovviamente.

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