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Mercoledì, 11 Aprile 2012 12:02

Il Sepolcro di Gesù Featured

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di Gabriele Cantaluppi

Dopo che Pietro e l’ “altro discepolo”, forse San Giovanni, si sono allontanati dal sepolcro di Gesù il mattino di Pasqua, Maria Maddalena non riesce a staccarsene e si china per osservare meglio l’interno. è un gesto certamente dettato dall’entrata angusta, ma che può assumere una valenza spirituale anche per noi: per capire il mistero della Risurrezione occorre mettersi in atteggiamento di adorazione. Non per niente questa parola nella lingua greca, usata dai Vangeli, indica etimologicamente un gesto di sottomissione, di riconoscimento della propria piccolezza davanti alla maestà di Dio. Adorare è orientare la propria vita verso la volontà di Dio, cioè verso il bene e verso il vero.

Ma per completare il senso del termine, è bene mutuarlo anche dalla lingua latina, dove “adorare” indica il movimento dell’accostare la bocca: cioè del baciare, dell’amare.
Allora l’atteggiamento adorante si fonde con l’unione d’amore con Dio.
La Resurrezione di Gesù può essere vissuta nella sua profondità solo se ci si mette nell’atteggiamento dell’abbandono, della dimenticanza di se stessi per assumere quello dell’accoglienza e del dono. “Non mi trattenere” dice Gesù alla Maddalena, “perché non sono ancora salito al Padre”: è come dire che per cogliere la sua presenza è necessaria una prospettiva che esuli dall’esperienza puramente sensitiva, per entrare in quella degli affetti.
Benedetto XVI in un recente discorso metteva in guardia dall’uso esclusivo del metodo storico-critico nella comprensione del testo biblico, escludendo la comprensione dettata dal “sensus fidei” della comunità cristiana. Potremmo tradurre questa espressione affermando un “sesto senso” della comunità, un modo di percepire le verità della fede che le viene dato dallo Spirito Santo e che essa scopre di avere come carisma.

La croce e il sepolcro

Il nostro calendario in questo mese di aprile ci propone le immagini della “Pietà” di Michelangelo e quella del sepolcro di Gesù. Due aspetti che si completano a vicenda: il volto della Madre è segnato da profondo dolore, ma non è disperato, perché sa che quel Figlio porta in sé la forza della vita. Il suo cuore di Madre, illuminato dalla conoscenza delle Scritture e dalla grande fede, le fa presagire un trionfo vicino, quello del sepolcro vuoto.
Il solenne prefazio della Veglia pasquale nella liturgia ambrosiana  accosta la stella dei Magi alla luce che sgorga dal Risorto e  che si fa guida a tutti: “Come ai Magi la stella, a noi si fa guida nella notte la grande luce di Cristo risorto, che il sacerdote con apostolica voce oggi a tutti proclama”.
Maria quella stella l’aveva vista e adesso ne comprendeva appieno il significato: era l’invito a riferire al Cielo la vita iniziata sulla terra.

E Giuseppe?

Non sappiamo se anch’egli fosse presente nei giorni in cui il Figlio compiva il suo sacrificio. I Vangeli non dicono nulla di lui, dopo il ritrovamento di Gesù al tempio o, se vogliamo, dopo qualche accenno durante la vita pubblica, in cui Gesù è designato come “figlio del carpentiere”.
Alcuni autori sacri, tra cui S. Ambrogio, ritengono che, se Giuseppe fosse stato vivo alla morte di Gesù, Maria non sarebbe stata affidata a Giovanni, ma piuttosto a lui. Però forse questa lettura non tiene conto della valenza redazionale del vangelo di Giovanni e dei vangeli in genere.
Dovremmo entrare nel campo opinabile delle rivelazioni private, per trovare qualche affermazione ad una sua presenza accanto a Maria e a Gesù anche in quei drammatici giorni.
Ma il suo atteggiamento descritto dal Vangelo ce lo mostra proteso verso il Figlio risorto: è l’uomo che sa cogliere ed accettare nella propria vita l’aspetto trasfigurante della Grazia.
China il capo per accogliere Maria nella sua casa, pur non comprendendo la grandezza del Mistero; sgrana gli occhi davanti alla nascita a Betlemme e ai prodigi che l’accompagnano con l’adorazione dei pastori e dei Magi; si sobbarca l’estenuante viaggio di andata e ritorno in Egitto e, infine, ascolta silenzioso il “progetto di vita” di Gesù: “Devo occuparmi delle cose del Padre mio”.
Giuseppe ha saputo contemplare i misteri di suo Figlio perché ha saputo avere un atteggiamento di silenzio “impregnato di contemplazione”, ha sottolineato Giovanni Paolo II.  
E Paolo VI lo aveva additato  come esempio di “uno speciale profilo interiore, da cui traeva la logica e la forza propria delle anime semplici e trasparenti”.
Questo è un aspetto che accomuna San Giuseppe a tanti cristiani “feriali”, quello della semplicità.
è “il carpentiere”, cioè appartiene ad un’umanità anonima, come è quella di tanti di noi, che non cerca posizioni appariscenti, ma vive intensamente la propria vita quotidiana e prova il gusto della familiarità con Dio.
Questa semplicità gli fa accogliere con naturalezza la presenza nella propria vita anche di ciò che non comprende: vive quella “ragionevolezza della fede” tanto cara al magistero del pontefice attuale, nel senso che trova logico accettare verità che la limitatezza della ragione non potrebbe scoprire da sola.
è l’apertura di chi invita: “Ascoltiamo i testimoni col cuore attento apriamoci ai segni con cui il Signore accredita sempre loro e se stesso: allora sappiamo: Egli è veramente risorto” .  n

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