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Mercoledì, 11 Aprile 2012 13:09

Il corpo santuario di Dio

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di Angelo Sceppacerca

I giovani e la corporeità

La scoperta della corporeità e l’educazione alla vita sessuale ed affettiva è un cantiere, un’impresa. è anche un’arte, con la speranza di arrivare al cuore della bellezza. E il cuore è nel mistero della creazione di Dio che ci ha fatti a sua immagine. A questo vanno condotti i giovani, pian piano, ma con decisione. Essendo noi stessi, per primi, a farne esperienza, sia nella famiglia che nella vita consacrata.
L’educazione dei giovani all’amore comprende la trasmissione della dottrina e delle idee, il racconto delle storie esemplari, l’incontro con i modelli e le esperienze significative, l’esercizio pratico nella vita quotidiana, l’amicizia con Gesù, sorgente dell’autentico amore.

La dinamica dell’amore coinvolge tutta la complessità e originalità di ogni persona e perciò assume innumerevoli aspetti e sfumature. Tuttavia, in definitiva, amare Dio è fare la sua volontà e amare gli altri è volere il loro vero bene con la stessa serietà con cui si vuole il proprio bene, anche con sacrificio. Il desiderio del proprio bene è spontaneo e potente. Ma l’amore di desiderio si deve compenetrare con l’amore di donazione; la ricerca del proprio bene si deve armonizzare con la ricerca di quello degli altri. Possiamo essere veramente e pienamente felici solo insieme. Gesù ha detto: “C’è più gioia a donare che a ricevere” (At 20,35). Bisogna farlo sperimentare. Altrimenti non c’è educazione all’amore.
Nella dinamica dell’amore, desiderio e dono, deve essere integrata la sessualità. Giustamente è stato detto che la differenza dei sessi è altruismo scritto nel corpo e nell’anima. Il sesso è linguaggio ed energia per comunicare e per aiutarsi reciprocamente a crescere. Ridurre l’esercizio di esso a scarico di pulsioni istintive è strumentalizzare l’altro, usarlo come un oggetto, non rispettarlo come persona. Il significato autentico lo si realizza, quando la sensazione di piacere, il sentimento di tenerezza e il dono reciproco totale sono uniti in una sola esperienza complessiva. Allora si ha la gioia più grande. In questo senso si comprende come la Chiesa non deprime, ma esalta l’eros e la sessualità.
Oggi è un pregiudizio molto diffuso quello di considerare la Chiesa nemica dell’amore umano e della gioia di vivere. Bisogna ripetere continuamente, in ogni occasione opportuna, che è vero esattamente il contrario. Il disegno di Dio sulla sessualità, sul matrimonio e sulla famiglia è meraviglioso. Gi esseri umani sono chiamati a far dono della propria persona, cioè a orientare tutte le loro energie, corporee e spirituali, al bene proprio e altrui nello stesso tempo, per realizzare la comunione interpersonale, partecipando così realmente alla vita e alla gioia delle Tre Persone divine che sono un solo Dio.
D’altra parte, proprio perché mirabile è il disegno di Dio riguardo alla sessualità, vanificarlo con i disordini sessuali è, almeno oggettivamente, una cosa eticamente grave. Oggi è abbastanza frequente incontrare persone persuase che Dio non ha niente a che fare col sesso. Secondo loro, Gesù nel Vangelo non si preoccupa molto delle questioni di sesso; si preoccupa invece dell’ingiustizia, della violenza e dell’oppressione dei poveri. Questa posizione non ha alcun fondamento nei testi evangelici, secondo i quali Gesù condanna non solo l’adulterio, ma anche il desiderio disordinato, stabilisce il matrimonio indissolubile e invita alla verginità per il regno di Dio, perdona la donna adultera, ma le comanda di non peccare più. Seguendo il Maestro, l’apostolo Paolo presenta il matrimonio e la verginità come due espressioni dell’alleanza sponsale di Dio con il suo popolo ed è severissimo nel condannare i disordini sessuali (1Cor 6,9,15,20; Rm 1,24-32) come tradimento della stessa alleanza. Del resto già nell’Antico Testamento i profeti avevano accostato il matrimonio all’alleanza con l’unico Dio e la prostituzione all’idolatria. Senza il dominio sull’istinto non è possibile integrare la sessualità nella dinamica dell’amore, inteso come dono di sé.

Una teologia del corpo
«Nella luce che viene da Dio, anche il corpo umano conserva il suo splendore e la sua dignità. Se lo si stacca da tale dimensione, diventa un oggetto che viene svilito, poiché soltanto dinanzi agli occhi di Dio il corpo umano può rimanere nudo e scoperto e conservare intatto il suo splendore e la sua bellezza» (Giovanni Paolo II, 8 aprile 1994, Omelia per il restauro del Giudizio Universale di Michelangelo nella Cappella Sistina). Una vera teologia del corpo.
Il 13 maggio 2011 Benedetto XVI riprende il tema della corporeità. Parte proprio dagli affreschi di Michelangelo, da quei corpi «abitati di luce, vita, splendore. Voleva mostrare così che i nostri corpi nascondono un mistero. In essi lo spirito si manifesta e opera». Ed è per questo che «i nostri corpi non sono materia inerte, pesante, ma parlano, se sappiamo ascoltare, il linguaggio dell’amore vero».
Il corpo rivela la nostra origine e porta in sé un significato filiale. «Solo quando riconosce l’amore originario che gli ha dato la vita, l’uomo può accettare se stesso, può riconciliarsi con la natura e con il mondo». Ed è per questo che nei corpi di Adamo ed Eva prima della caduta c’è un linguaggio e un eros «che li invita a riceversi mutuamente dal Creatore, per potersi così donare». C’è dono anche nella castità, altro che negazione! «Non è un no ai piaceri e alla gioia della vita, ma il grande sí all’amore come comunicazione profonda tra le persone, che richiede il tempo e il rispetto, come cammino insieme verso la pienezza e come amore che diventa capace di generare vita e di accogliere generosamente la vita nuova che nasce». Ma c’è anche il linguaggio negativo del corpo: oppressione, dominio, sfruttamento, possesso. Un linguaggio che «non appartiene al disegno originario di Dio, ma è frutto del peccato. Quando lo si stacca dal suo senso filiale, dalla sua connessione con il Creatore, il corpo si ribella contro l’uomo, perde la sua capacità di far trasparire la comunione e diventa terreno di appropriazione dell’altro». Ecco il dramma della sessualità di oggi «rinchiusa nel cerchio ristretto del proprio corpo e nell’emotività».
è qui il ruolo della famiglia, luogo della corporeità filiale, del dono, del rispetto, della maturità affettiva. Dio offre all’uomo anche un cammino di redenzione del corpo, il cui linguaggio viene preservato nella famiglia. «E' il luogo dove la teologia del corpo e la teologia dell’amore si intrecciano». Relazione e dono. Giovanni Paolo II: «Se è vero che il corpo rappresenta la “kenosis” di Dio e che nella raffigurazione artistica dei misteri divini deve esprimersi la grande umiltà del corpo, affinché ciò che è divino possa manifestarsi, è anche vero che Dio è la fonte della bellezza integrale del corpo».

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