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Mercoledì, 11 Gennaio 2012 12:49

Si fa presto a dire amore! Featured

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di Angelo Sceppacerca

Gli adolescenti e i giovani dinanzi alla scoperta dell'altro sesso

Si comincia dal … principio, precisamente dal “principio d’identità”, dal riconoscimento che il giovane è… giovane! Il giovane, cioè, va riconosciuto come un soggetto non ancora approdato ad una condizione adulta, quindi uno che ha bisogno – anche se non l’ammette – di essere accompagnato, affiancato. Questo, dall’altro versante, vuol dire che l’educatore è… l’educatore!
Non bisogna temere nel mantenere questa distanza pedagogica giacché non si aiuta il giovane assumendo lo stesso livello, lo stesso linguaggio, lo stesso stile. Si è, invece, educatori dei giovani se si è adulti-vicini-ai-giovani, capaci di intercettare i giovani, ma anche capaci di porre una alterità. Il rapporto con i loro “pari” i giovani già ce l’hanno, mancano del rapporto con i “dispari”. E gli adulti devono offrire proprio questa “disparità”, custodendola in loro stessi. Applicato ai sacerdoti, il principio di identità suona: “tu prete, sii prete”. Il dono più grande che i genitori possono fare ai figli è mostrare loro che si amano veramente. L’amore reciproco tra i genitori è più importante anche dell’amore di ognuno di essi per i figli. E’ soprattutto da quell’amore reciproco che i figli imparano ad amare.

I figli hanno bisogno di abitare e vivere insieme ad ambedue i genitori. Viene in mente un quadro di Van Gogh “Primi passi”, in cui il bambino è posto tra il mondo della madre, la casa, e il mondo del padre, il campo; la madre sta con il bambino e lo protegge; il padre ha interrotto il lavoro agricolo, si è inginocchiato per abbassarsi a livello del bambino, sta a una certa distanza davanti a lui e lo invita affettuosamente a distaccarsi dalla madre e a venire verso di sé. La figura materna e la figura paterna sono complementari: l’una incarna la calda accoglienza, la comprensione, la sicurezza affettiva e il benessere; l’altra incarna l’autorità che fa crescere verso l’indipendenza, l’iniziativa, l’autonomia, la responsabilità etica, l’altruismo. è sotto gli occhi di tutti l’esperienza di come l’assenza del padre durante l’infanzia e l’adolescenza dei figli li espone a vari rischi: narcisismo (manca il senso del limite e si vuole tutto e subito); depressione, ansia e scarsa autostima; passività e mancanza di progettualità, dipendenza dal parere degli altri, da TV e Internet, dai consumi, dall’alcol e dalla droga; senso di impotenza, rabbia, aggressività, violenza.
Ad amare si impara. L’amore spontaneo diventa possessivo, utilizza gli altri solo per soddisfare i propri bisogni e desideri, non li rispetta come persone. Purtroppo la società è interessata a provocare l’eccitazione delle sensazioni e delle emozioni, non a favorire la riflessione. Basta accendere la televisione! Ai ragazzi e agli adolescenti va insegnato che l’amore autentico rispetta e valorizza gli altri; vuole il loro bene con la stessa serietà con cui vuole il proprio bene, anche quando costa sacrificio; vuole il bene perfino di chi ci ha fatto del male. L’amore è dono e perdono; non cerca solo il proprio interesse. Pian piano si impara a discernere i propri sentimenti, bisogni e desideri profondi e a orientarli alla luce della ragione e della fede, verso la maturità affettiva. Abbiamo il coraggio di spiegare come la Chiesa esalta la sessualità, solo non vuole che si riduca allo scarico di una pulsione istintiva, ma che sia disciplinata con la castità come energia preziosa da non banalizzare. Non è libero chi segue l’impulso istintivo o le idee di moda. Senza la castità l’amore è impossibile.
Mentre con i bambini va sottolineata l’esperienza e la gioia della famiglia, la bellezza di essere figli e fratelli, l’esercizio quotidiano di amare gli altri, con gli adolescenti va scoperta la dimensione vocazionale dell’amore, la necessità di un pensiero critico di fronte ai molti messaggi e beni di consumo, l’importanza vitale di scelte responsabili, il coraggio di andare controcorrente.
L’amore umano nella sua pienezza è contemporaneamente eros e agápe, desiderio e dono, integrati e armonizzati tra loro. Sembrerà strano, ma un vero maestro in questa scuola è Benedetto XVI (Deus Caritas est, n. 7). Si può cercare nell’altro il proprio bene, la propria felicità, ma nello stesso tempo si deve valorizzare l’altro perché è un bene in se stesso, desiderando per lui quello che si desidera per sé. “Ama il prossimo tuo come te stesso”; “Fa agli altri quello che vuoi sia fatto a te”.

 

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