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Giovedì, 12 Aprile 2012 08:44

Don Guanella costruttore di chiese

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di Fabio Pallotta

Lo zelo per il culto a Dio

 

Per la costruzione delle sue numerose chiese si pensi solo alla parte burocratica relativa ai permessi e ai rapporti con gli uffici competenti; l’aspetto tecnico da ragionare con architetti, ingegneri e maestranze varie; la scelta dei materiali; la dimensione artistica e decorativa; il coinvolgimento spesso impraticabile della gente del luogo

Oggi non avrebbe avuto notti insonni e linciaggi mediatici il nostro don Guanella: sarebbe bastato ricorrere all’8 per mille e ai Fondi per l’edilizia culto previsti dalla Cei e da altri dicasteri pubblici…
Forse non tutti sanno che don Guanella, fra le altre cose, regalò a Santa Madre Chiesa oltre una dozzina di chiese pubbliche, senza contare gli Oratori e le Cappelle private delle sue Case.
Iniziò con il suo amato Santuario del Sacro Cuore di Como che doveva essere la culla di tutte le opere, servite dai Figli e dalle Figlie del Sacro Cuore (questo era il titolo originario dato ai suoi religiosi). Al Sacro Cuore volle pure intestare la chiesa dell’ospizio di Pianello perché l’anticamera delle sue Fondazioni era lì, su quella balza che guarda il lago di Como.
Poi ci furono le chiese dedicate alla Vergine Santa: Madonna della Divina Provvidenza a Lora, Madonna del Lavoro a Nuova Olonio, Madonna della Pace a Stimianico, Immacolata a Roveredo e a Promontogno. A San Giuseppe avrebbe dedicato la chiesa di Belgioioso e la cappella di Monte Mario con la basilica di Porta Trionfale a Roma. A San Gaudenzio volle offrire la ricostruita chiesa di Vicosoprano, dopo gli scempi della riforma evangelica in Val Bregaglia.
E poi cappelle, oratori, edicole, grotte votive, stazioni cattoliche. Un elenco da brivido, praticamente una pazzia. Anche perché la chiesa per lui era il cuore della casa, ma poi c’era da costruire la casa, curando gli esterni e gli interni. La chiesa era solo l’inizio, ma senza le opere di carità accanto non le avrebbe mai concepite: il Corpo di Cristo andava celebrato sull’altare e servito nella carne dei poveri, con lo stesso amore. Anzi… all’occorrenza l’altare poteva anche aspettare, il povero mai.
Per la costruzione delle sue numerose chiese si pensi solo alla parte burocratica relativa ai permessi e ai rapporti con gli uffici competenti; l’aspetto tecnico da ragionare con architetti, ingegneri e maestranze varie; la scelta dei materiali; la dimensione artistica e decorativa; il coinvolgimento spesso impraticabile della gente del luogo.
Discorso a parte, con un peso da schiacciare chiunque, l’aspetto economico: debiti, incertezze, scadenze di ogni tipo. Facciamo presto a liquidare queste vicende con il ricorso alla sua inossidabile fiducia nella Divina Provvidenza; furono momenti delicati e non mancarono detrattori e nemici. Anche i suoi confratelli e diversi prelati della Curia romana valutavano temerario e sconsiderato questo rapporto di don Guanella con il «vil metallo», come lui stesso era solito definire il denaro.
Suor Marcellina, la confondatrice, era in apprensione costante; don Guanella in molte lettere la ridicolizza benevolmente in queste paure: “Voi avete un gran fastidio per quei miserabili denari di Capolago perchè non si consumino, ed io ne ho un fastidio pari finché non sieno consumati, perché così e non altrimenti dev'esser lo spirito della Casa. Se con quella misera somma potete fondar tre case e fors'anco quattro e nol fate credete far piacere a Dio ed ai poveri del Signore?”.
L’opera più grandiosa sarebbe stata quella dedicata a San Giuseppe nel terreno acquistato dalla Banca d’Italia. Un monumento della fede e per la fede. Egli concepiva il tempio come una vera «Porta fidei» e intese sempre il suo sacerdozio e la sua missione al servizio della fede. Cosa sarebbe un essere umano senza la fede? Noi oggi, dopo la Gaudium et Spes e a ridosso delle aperture conciliari riusciamo a concepire il lavorio di Dio nei non credenti “per vie a Lui solo note”, ma don Guanella è prete con la formazione di un altro Concilio: per lui è vana la vita di coloro che sono senza fede.
San Giuseppe a Porta Trionfale doveva essere un’altra delle tante porte di Dio spalancate ai suoi figli, cercatori di senso e di gioia.

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