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Mercoledì, 19 Dicembre 2012 14:47

Una storia con il fremito della santità e della partecipazione

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di Angelo Forti

I primi riferimenti sul bollettino “La Divina Prov­videnza”, edito dalla Casa Madre di Como come organo di informazione delle opere guanelliane, riportano che, nell’ottobre del 1908, il Papa Pio X propone a don Guanella di erigere una chiesa in una zona bisognosa e di forte espansione in Roma. Una chiesa «da dedicarsi a San Giuseppe in omaggio a Pio X». Il mese successivo, sempre su “La Divina Provvidenza”, si precisa che la chiesa sarà «dedicata al Transito di San Giuseppe».
Nel marzo del 1909 si specifica ulteriormente: «Sarà dedicata a San Giuseppe in onore del papa Giuseppe Sarto, in occasione delle feste giubilari».

Sappiamo che don Guanella ha vissuto la sua esistenza sacerdotale in una stagione della storia d’Italia assai travagliata sotto l’aspetto economico, politico e religioso.
Il governo laicista, insediatosi dopo la breccia di Porta Pia, per anni ha coltivato, e nel contempo frenato, i facinorosi “giacobini” che sognavano un assalto alla “bastiglia” di Roma: il Vaticano.  L’ammini­strazione comunale aveva favorito una forte immigrazione interna, sradicando così la nuova popolazione romana dalle proprie tradizioni religiose. Lo sviluppo industriale si faceva sentire e il marxismo trovava i primi seguaci. Ma era anche il tempo della Rerum Novarum. Per questo, don Guanella  arriva a Roma, per iniziare un’opera di evangelizzazione proprio nel mondo del lavoro: dare un’anima alla fatica dell’uomo, iniziando la gestione di una colonia agricola come apprendistato dei giovani al lavoro dei campi.
Passano pochi anni. La frequentazione e la familiarità con il pontefice Pio X è cresciuta. Il Papa, quindi, può insistere per l’erezione della chiesa parrocchiale.
Ma perché questa specifica denominazione: “Transito di San Giuseppe”? Se nell’evangelo si legge che Gesù incominciò a “fare” e poi ad “insegnare”, per San Giuseppe dobbiamo dire che egli “operò” e poi “insegnò”, con il suo esempio di fede, di fedeltà all’amore verso Maria e nel ruolo di padre nei confronti di Gesù.
Nel panorama della sua vita, accanto al privilegio di essere vissuto con Gesù, di aver condiviso le sue prime esperienze umane e, forse, anche le prime manifestazioni della sua divinità con i suoi compaesani, una grazia grande fu l’aver traghettato la sua esistenza terrena verso l’eternità con la presenza amorevole di Gesù e della sua dolce sposa Maria.
Un’antica liturgia bizantina recita: «Giuseppe tra le braccia di Gesù e di Maria si consumò di amore per il suo Dio». Questa citazione la troviamo in uno studio del domenicano milanese Isidoro Isolano, che ne riferisce nella sua “Summa de donis Sancti Joseph”, stampata a Pavia nel 1522. Essa è tratta da una vita di san Giuseppe in ebraico, tradotta in latino nel 1340. Sarebbe stato Gesù stesso a raccontare ai suoi discepoli, sul Monte degli Ulivi, il suo rapporto di figlio con il papà Giuseppe e della sua morte.
La leggenda racconta: «Allora, mi sedetti al capezzale di Giuseppe e mia madre, Maria, si sedette ai suoi piedi. Egli girò la sua faccia verso di me. Io mi inchinai verso di lui, toccai ed accarezzai i suoi piedi e tenni la sua mano tra le mie mani. Giuseppe mi faceva segno, come poteva, di non lasciarlo e fissava i suoi occhi su di me. Vennero gli arcangeli Michele e Gabriele da mio padre Giuseppe. E così spirò in pazienza e letizia”.
L’Ottocento è stato il secolo dello sviluppo della teologia su San Giuseppe. Don Guanella ne ha sentito il fascino sin dagli anni del seminario, abbonandosi tra l’altro ad una rivista giuseppina.
Negli anni del suo ministero sacerdotale, «Il pensiero teologico su Giuseppe ha trovato un forte impulso soprattutto nelle voci autorevoli dei sommi Pontefici, i quali hanno messo a fuoco con la luce del magistero i punti essenziali della teologia giuseppina».
Pio IX: «Giuseppe non solo vide Gesù, ma con lui ha dimorato e con paterno affetto lo ha abbracciato e baciato e per di più lo ha nutrito. Gesù presso gli uomini si degnò di essere reputato figlio di Giuseppe e gli fu soggetto».
Leone XIII: Giuseppe esercitava l’ufficio di padre nei riguardi di Gesù così che «su questo si fonda la dignità, la grazia, la santità e la gloria di San Giuseppe; egli è stato così vicino, come sposo, alla dignità di Maria, madre di Dio, così prossimo a Gesù da esserne ritenuto padre e dal compierne le funzioni, eccetto la generazione, con paterna autorità».
Sempre Leone XIII, nella sua enciclica del 15 agosto 1889, sviluppa le ragioni del patrocinio particolare di San Giuseppe sulla Chiesa universale: come Maria, madre di Gesù, è madre di tutti i credenti, così Giuseppe, rispetto alla Chiesa, compie la funzione che aveva nella Sacra Famiglia, da lui governata con autorità di padre.
Pio X: «La Chiesa onora con il culto più alto e venera con profonda riverenza Giuseppe, onorato, in cielo e a preferenza di tutti i santi, arricchito e ripieno di grazie del tutto uniche in esecuzione dei doveri del suo sublime stato».
Nel 1909, l’anno in cui don Guanella posa la prima pietra del “monumentale edificio in onore di San Giuseppe”, Pio X approva le litanie di San Giuseppe, che contengono i numerosi titoli di lode e di gloria che la Chiesa riconosce al Santo; tra questi titoli, San Giuseppe è invocato come “patrono dei morenti”.
Nelle litanie, il patrocinio di San Giuseppe sui sofferenti è ricordato con tre invocazioni: “San Giuseppe, speranza dei malati”, “Patrono dei morenti” e “Terrore dei demoni”. Benedetto XV, nel motu proprio “Bonum sane” del 25 luglio 1920, raccomanda «ai sacri pastori di inculcare con tutto il prestigio della loro autorità e del loro fervore per quei sodalizi che sono stati istituiti per pregare San Giuseppe in favore dei morenti».
Chiediamoci: il titolo della parrocchia dedicata al Transito di San Giuseppe era solo per non ripetere un titolo già assegnato ad altre chiese dedicate a San Giuseppe oppure la ricerca di un aspetto pastorale eletto e perseguito? Difficile dirlo.
Non possiamo dimenticare che già nel 1908 una chiesa dedicata a San Giuseppe tout-court esisteva a Roma, ed era quella parrocchiale di San Giuseppe sulla via Nomentana, retta dai Chierici Regolari Lateranensi.
A fine dicembre 1908, intervenne un fatto che rafforzò e ridiede significato a quest’intenzione di dedicare la chiesa al Transito di S. Giuseppe, a S. Giuseppe “patrono dei morenti”. Questo fatto fu il terremoto di Messina.
Don Guanella, che dovette assistere impotente all’opera di soccorso prestata da altri, maturò la convinzione di essere presente con un’opera di riparazione e suffragio, e, quindi, il progetto di «una chiesa dedicata al Transito di San Giuseppe che impetri la buona morte ai vivi e implori la liberazione delle fiamme del Purgatorio ai morti» (LDP, marzo 1909).
Come nasce la Pia Unione del Transito di san Giuseppe?
A Roma, don Guanella frequentava la chiesa di S. Carlo al Corso, la chiesa dei lombardi, e conosceva l’esistenza dell’Unione del Transito del patriarca S. Giuseppe, eretta già dal 15 marzo 1886 dal cardinale vicario di Roma, Lucido Maria Parocchi (lombardo anch’egli, essendo originario di Mantova).
Questa Unione non “bruciava” e non anticipava l’idea di don Guanella, perché come scopo si proponeva semplicemente (e individualmente) di «aver presente quel momento ultimo e meglio ripassare gli altri precedenti, per imitarne la vita, e similmente meritarsi la medesima fine». Quindi, era più sulla linea della preparazione alla buona morte che su quella della preghiera in sostegno degli agonizzanti (cf. Archivio storico del Vicariato di Roma, n. 24).
Riferimenti alla “paternità guanelliana” della Pia Unione se ne possono trovare tanti. Per esempio, don Guanella accenna a:
- una chiesa dedicata al Transito di San Giuseppe che impetri la buona morte ai vivi (LDP, febbraio 1909);
- un tempio dedicato al Transito di San Giuseppe, significa un’impetrazione costante per ottenere la buona morte a quanti sono cristiani, significa una “caparra”, vorrei dire, una “sicurezza” di ottenere una morte santa a quanti hanno concorso ad erigere la chiesa e non ad essi soltanto, ma altresì ai loro cari (LDP, febbraio 1909);
- «Si potrebbe anche fare un foglietto (ecco il seme della Santa Crociata) svegliarino che dicesse taluna delle tante cose che restano a dirsi su Pio X, San Giuseppe, della buona morte, del disastro passato, del suffragio a quelle povere vittime del terremoto!»: sempre nel febbraio 1909, don Guanella sosteneva l’opportunità di un bollettino che sensibilizzasse su questa tematica (doc. 5);
- «D’altronde invocando il gran Santo venerato dalla Vergine, anzi dallo stesso Gesù Verbo incarnato, intendiamo stringere vieppiù le case nostre, le nostre persone e i nostri interessi in una santa corrispondenza di affetti col Santo Patriarca, ed invocarlo protettore per il momento estremo che tutti ci attende», scriveva don Guanella (LDP, marzo 1909).
Un riscontro più esplicito è dell’ottobre 1909, quando Maddalena Albini Crosta, collaboratrice di don Guanella, scrive: «Così erigendo il nuovo tempio in Roma e dedicandolo a San Giuseppe, vi si inaugurerà una divozione tutta speciale pel Transito glorioso dello Sposo della Vergine, padre putativo del Verbo umanato e per le care anime purganti. [...] Per ora non possiamo ancora dir tutto, ma è certo che nella chiesa di Roma vi sarà un’opera di suffragio perpetuo per i benefattori della divina Provvidenza, il cui nome non soltanto nel marmo, ma altresì sarà scritto nelle viscere del santuario, vale a dire nel Cuore di Cristo che ha promesso largo premio per chi avrà dato anche un solo bicchier d’acqua per amor suo» (Maddalena Albini Crosta, LDP, ottobre 1909, pag. 137).
A questa fa seguito don Guanella, nel novembre successivo: «Nel nuovo tempio saranno erette confraternite e pratiche pie di culto per il transito di San Giuseppe» (LDP).
Nel primo sviluppo della Pia Unione don Cesare Pedrini ebbe un ruolo importante. Don Cesare era entrato nella Congregazione di don Guanella nel 1910 come sacerdote e per un paio d’anni era rimasto a Como. Scenderà a Roma nell’estate 1912 accanto a don Aurelio Bacciarini, per svolgere da subito con passione il ruolo di “direttore delegato”, firmando la domanda alla Congregazione del Concilio per l’erezione della Pia Unione del Transito di San Giuseppe.
Nel suo primo articolo su “La Divina Provvidenza”, nell’agosto 1913, don Pedrini parla di “voto” di don Guanella compiuto con l’avvenuta istituzione della Pia Unione (Una grande crociata spirituale ed universale in pro’ dei moribondi, LDP, agosto 1913, pp. 122-123).
In questo articolo si legge già che «migliaia di fedeli, di prelati e religiosi, non solo d’Italia, ma anche dalla Svizzera,  Francia, Stati Uniti hanno dato la loro adesione». Da non dimenticare che il primo iscritto fu San Pio X.
Nel marzo del ‘14, il bollettino “La Divina Provvidenza” (il redattore è forse don Leonardo Mazzucchi) parla ancora del «voto della grande carità del nostro Fondatore finalmente compiuto», attribuendo alla fondazione della Pia Unione lo scopo dell’erezione della chiesa stessa! «E fu per questo fine primario che fu eretto in Roma un tempio monumentale dedicato espressamente al Transito di San Giuseppe» (LDP, marzo 1914).
Forse, lo stesso don Mazzucchi “teorizza” questa intenzione del fondatore nell’articolo di maggio 1914, scrivendo: «Don Luigi disse tra sé: “Siamo venuti a Roma e siamo stati benedetti. A Roma sotto lo sguardo del Padre comune tutte le opere di Dio fioriscono e prosperano… Ma ho nel cuore un altro pensiero e un altro desiderio: c’è bisogno di ben vivere, ma c’è anche bisogno di ben morire. Una buona morte è tutto. Cosa conta tutto il lavoro consacrato alla salvezza delle anime se poi muoiono male?… La nostra chiesa di Roma l’ho voluta dedicare al Transito di San Giuseppe, per portare alle anime un modello, un protettore della buona morte, per stabilire in quel tempio una supplica perenne al Grande Santo dei morenti a beneficio delle anime che passano dal tempo all’eternità”» (LDP, maggio 1914, pp. 69-70).

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