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Mercoledì, 08 Febbraio 2012 13:32

Dal buio alla grande luce

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di Mario Sgarbossa

Perché solo a Maria e a Giu­seppe è stato rivelato il segreto di Dio nascosto nell’insondabile profondità del mistero trinitario? “Siamo nell’ordine dell’Incarnazione – disse Pio XI nell’allocuzione del 19 marzo 1935 – cioè della personale unione di Dio con l’uomo. è in quest’attimo che egli detta la Parola che spiega tutto nei rapporti tra Giuseppe e i grandi profeti e gli apostoli. A Giuseppe spetta annunciare i prodigi dell’incarnazione a motivo del suo rapporto con i misteri della vita di Cristo”.
Ci aspettavamo una parola di Giuseppe che gettasse un po’ di luce sulle nostre perplessità, come ad esempio sul suo angoscioso dubbio davanti alla inspiegabile concezione verginale della fidanzata, o dopo il ritrovamento del dodicenne Gesù nel tempio di Gerusalemme. Un silenzio su cui grava il dramma. Per la seconda annunciazione dell’angelo a Giuseppe, perché quel lungo silenzio di Dio? Dio chiama chi vuole e come vuole, dice san Paolo nella lettera agli Efesini (4,11): “Egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri”.

E a Giuseppe che cosa ha dato? Per lui l’evangelista Matteo spende uno solo aggettivo: giusto. Uomo giusto, e si vedrà quanto è meritato questo breve encomio, sul quale per venti secoli panegiristi e teologi hanno setacciato, come i ricercatori d’oro in Alaska, torrenti di parole per trovarsi argomenti che spieghino la ragione di questo silenzio di Dio su colui che lo ha rappresentato, a Betlemme come a Nazareth, per porre un velo sul grande mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio.
Sulla identità di Gesù gli abitanti di Nazareth non ebbero dubbi e lo dicono con un interrogativo misto a sorpresa: “Non è costui il figlio del falegname?”
Eppure Giuseppe, il silenzioso e oscuro falegname di Nazareth, rappresenta un capitolo importante nella vita di Cristo, per il privilegio, unico nella storia dell’umanità redenta, di essere il padre virtuale, ma legittimo o putativo che dir si voglia, del Messia e testimone del mistero del Dio fatto uomo. Perché proprio a lui, semplice artigiano, ghermito dall’Eterno, sono state affidate le due creature più sante, Maria e Gesù.
A Giuseppe fu dunque affidato il giovane apprendista Gesù. Entrambi lavorano nella stessa bottega di falegname maneggiando attrezzi vari, pialla, sega, scalpello, martello e incudine, perché Giuseppe doveva rispondere a tutte le richieste dei cinquecento abitanti del villaggio abitato da contadini e pastori. Al falegname chiedevano non soltanto i mobili per la casa, ma anche il carretto e la sella per l’asino. Sarà poi Gesù a mandare avanti il lavoro della bottega dopo la morte del padre.
Silenzio anche sulla (invidiabile) morte del santo patriarca, assistito da Gesù e Maria. Ecco come muore il giusto, ecce quomodo moritur iustus, colui che fu chiamato a operare, nel silenzio, all’avvento del regno di Dio. “Veramente – dice ancora Pio XI – più in alto non si può andare”. E noi ci accingiamo a capire, se non a misurare, la grandezza di quest’uomo che all’anagrafe venne registrato come sposo di Maria e padre di Gesù. Una storia ricca di risvolti umani e divini e pur sempre misteriosi, su cui hanno indagato in vario modo filosofi e teologi, santi e scrittori, artisti e sceneggiatori cinematografici, con risultati che a volte scontentano coloro che non sono abituati a meditare sui cinque misteri gaudiosi.  n

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