Questi, se avesse voluto, avrebbe potuto avere per sé una casa alla destra della Chiesa, di là del Mera, nella zona dei « crotti », che costituiva una parte del suo beneficio assieme a un orto, un crotto a far da cantina, e con le offerte per la benedizione delle case a Natale e a Pasqua, quelle per la benedizione delle giovani madri e per i funerali dei bambini inferiori ai sette anni: era tutto il suo beneficio. Ancor oggi quel beneficio è intestato al suo nome e l'arciprete di Prosto ogni anno, nella sua denuncia, elenca anche la casa di don Guanella e ne paga, a nome del Beato, le tasse.
Il suo arciprete, un po' rude e anziano, gli voleva bene e don Guanella .pensò che con lui si poteva certamente stare e fece vita con lui.
Quel 31 maggio, festa del Corpus Domini, furono presenti i genitori, i fratelli e le sorelle; don Adamini gli tenne il solenne discorso, secondo le migliori regole dell'oratoria del tempo. Don Guanella gliene aveva fatto richiesta qualche mese prima con una saggia lettera, uno dei primi documenti personali che si conoscono di lui.
La festa sarà poi finita con la gente sparsa tra i crotti, di qua e di là del Mera, a discutere di Garibaldi, che venti giorni prima aveva annunciato un arruolamento di volontari per la guerra contro l'Austria, e naturalmente a bere del buon vino e a cantare; e don Guanella là, nella sua stanzetta, a fare i primi consuntivi, a ripassare i propositi fatti per l'ordinazione, e a guardarsi un po' in giro: domani bisognava cominciare per davvero. Il mattino seguente eccoli, lui e i parrocchiani`
Lui alto, ben disposto, faccia seria, fronte volitiva e ventitré anni e mezzo tutti pieni di ottimismo, di ardimento, di sogni: tutti i sogni che si possono fare in dodici anni di seminario, vedendo il mondo come un gran campo di azioni organizzate per la grande conquista, per prendere all'amo, pazientemente gettato ogni giorno, tanti pesci grossi: tutti i giorni come un venerdì grasso.
I parrocchiani, altrettante figure diverse, difficilmente penetrabili; primi approcci, racconti di dispiaceri, di fatiche: le quotidiane miserie di questa valle di lacrime, la faccia rassegnata e dimessa dei giorni di lavoro in cui doveva ormai rispecchiarsi ogni giorno l'ottimismo del novello sacerdote.
Sulle porte di casa vecchi e bambini; pei campi gente intenta a tagliare, voltare, raccogliere il maggengo: non c'è da star lì molto tempo a raccontarla; e tira avanti verso Villa a trovare l'amico don Adamini per le prime discussioni, i primi confronti tra la maturità esperta e la giovinezza ansiosa.
Che cosa voleva il novello sacerdote, a quali realizzazioni mirava?
Neppur lui lo sapeva chiaramente; appariva come una potente locomotiva capace di trascinare un gran carico e tanta gente lontano, ma, pel momento, ancora lì, su e giù per la stazione, a cercare il binario giusto.
Volitivo e aperto, era un trascinatore: «destava una vibrazione simpatica», e se ne serviva per smuovere ed entusiasmare i suoi. La notte di San Sebastiano fu ricordata a lungo a Savogno: il Beato era a Villa di Chiavenna per predicare quando cominciò a nevicare; a Savogno si doveva costruire il nuovo cimitero e bisognava portare giù i sassi necessari, e anzi preparare la strada per il loro trasporto dalla montagna. L'uomo di volontà s'affrettò al paese, diede mano alla campana e si lavorò sotto la neve fino alla mezzanotte di quel 20 gennaio, a preparare la via per condurre giù i sassi; poi, venuta la neve e ben battuta, sarebbe stato un gioco da ragazzi far correre i sassi dalla neve al cantiere. Un colpo perfetto, che fece risparmiare gran tempo di lavoro.
Era energico, di energia fisica oltre che morale: si ricordano le lunghe ore di aspra montagna per poter celebrare la Messa fra gli alpeggi dei suoi, e le controversie che sostenne per difendere i suoi parrocchiani in quel tempo di violento anticlericalismo.
Aveva ampiezza di interessi e ciò gli rendeva più difficile la scelta; e vedute ampie quanto ai mezzi da usare per lo scopo prefisso: per questo qualcuno lo diceva «intrigante», e può esser esatto, se si intende come dice in una lettera il suo vecchio arciprete di Prosto:
«Conosco per esperienza che Don Luigi nelle sue intraprese quando le vede buone in se stesse non fa gran calcolo delle circostanze, né dei mezzi necessari per condurle a fine; e quando si è fitta in capo un'idea difficilmente si piega a mutarla».
Aveva una tendenza al rigorismo che traspariva dalla sua vita, dal suo governo delle anime, dalla scelta delle persone, degli scopi; ma anche una dolce tenerezza verso ì miseri, gli abbandonati. Si profilavano già ben stagliati due orientamenti fondamentali della sua vita, che resteranno sempre, sia pur vagliati: l'intraprendenza e la solidità. I primi anni di esperienza gli indicarono ben presto anche la meta dove arrivare: la cura dei poveri; poi chiarirà anche i mezzi e la via.
Gli anni di Prosto e di Savogno (1866-1875) rivelano comunque in don Guanella un metallo prezioso, ma ancora grezzo, che attende la prova per esser raffinato e apparire in tutto il suo splendore: un autentico capolavoro di Dio.