{gspeech style=3 language=it autoplay=0 speechtimeout=0 registered=0 selector=anyselector event=anyevent hidespeaker=1
}
Chiamati con il battesimo a sentir fluire la stessa vita divina nelle nostre vene, tuttavia sembra che dentro di noi si abbia paura dell’Infinito. In effetti «la paura si annida nel cuore dell’uomo e lo mina interiormente, sino a farlo crollare improvvisamente, privo di forza». È proprio nel cerchio delle nostre paure che si costruisce una rigida difesa persino di fronte all’amore divino. A volte si paralizzano anche i sogni e siamo ridotti a guardare il futuro, carico di un amore misericordioso, da dietro all’inferriata della nostra paura. La paura di lasciarci innamorare da Gesù. Con la Risurrezione Cristo, il Signore della storia, ha spezzato le catene dei molteplici timori esistenziali e a ogni persona liberata dalle catene delle nostre tante morti e paralisi, ha consegnato la carta vincente dell’esistenza: il sentirci amati.
Presi dalle nostre insicurezze non ci accorgiamo che, al nostro risveglio, il primo raggio di luce è una carezza d’amore, calda come un bacio e profumata di positivo futuro. È Dio che scende a condividere la nostra vita e a rinnovare il suo patto di amore.
«Dio non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande»: queste parole di Alessandro Manzoni ci aiutano a vivere la Commemorazione dei nostri fedeli defunti. Nei primi giorni di novembre la nostra tradizione cristiana ci sollecita alla visita dei cimiteri, ai campi della speranza. Il campo santo, come si diceva un giorno, è un recinto dove è possibile abbracciare un mondo di ricordi, rinnovare i nostri affetti e rinverdire quel quoziente di gioia che Dio ha nascosto anche nelle sofferte pieghe della morte dei nostri cari, perché lo sappiamo e lo professiamo con fede:
Caro San Giuseppe,
il mese di maggio l’antica tradizione l’ha dedicato alla tua dolce sposa Maria, ma il primo giorno è consacrato al tuo impegno di proteggere la fatica del lavoro umano. Vogliamo ritagliare un piccolo spazio da dedicare alla tua vita di onesto lavoratore invocato e benedetto come patrono e modello dei lavoratori, soprattutto per esprimere la nostra fiducia in te e per chiederti la perseveranza nella nostra vita di fede. Stiamo vivendo un momento assai drammatico nel mondo del lavoro.
La fede è gioia cantata con le note musicali della vita di chi crede. Papa Francesco, al termine dell’Anno della fede, ha consegnato alla Chiesa gli strumenti della gioia con l’Esortazione apostolica che inizia con queste parole: «La gioia dell’Evangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù». Chi si accosta a Gesù sente zampillare nell’anima questa gioia che si fa spazio nel vuoto interiore e cancella la tristezza di una vita senza illuminanti speranze.
Papa Francesco ha scelto di commentare l’Inno alla Carità e non il Cantico dei Cantici nell’Amoris Laetitia, perché ha voluto incentrare sulla concretezza l’esortazione apostolica.
Molti matrimoni sarebbero finiti se non ci fosse la carità di cui parla san Paolo, perché tante volte l’indissolubilità coniugale è vista più come uno sforzo dei coniugi, che la risposta quotidiana a qualcosa di più grande dei coniugi stessi.
Come scrive saggiamente Vittorino Andreoli «la famiglia è diventata un tema di consumo e, invece, bisogna entrare nella famiglia, parlare “con” la famiglia, non “sulla” famiglia».
Ad Andreoli, noto psichiatra a livello nazionale è stato chiesto: «Perché il matrimonio deve durare?». Ha risposto: «Perché il matrimonio è un legame “sacro”. Il matrimonio deve durare anche “per rispondere ai compiti dell’educazione dei figli”, per insegnare a vivere nel mondo difficile di oggi e in continuo cambiamento».