Proprio nei giorni in cui ricordiamo il 154° anniversario dell’Ordinazione sacerdotale di don Guanella (26 maggio 1866) il mondo sembra vivere un tempo di emergenza e sospensione. Un impercettibile nemico spaventa l’umanità, la costringe a stare distante e chiusa in casa, in attesa di tempi migliori. Una situazione mai vissuta prima da questa generazione. Anche il XIX e XX secolo, secoli in cui visse don Luigi, videro alcune epidemie susseguirsi: il colera a più riprese e la cosiddetta “spagnola”. Don Guanella fece l’esperienza, anche se sembra non proprio diretta, dell’epidemia del colera. Quando, invece, l’influenza spagnola colpì tutto il mondo fra il 1918 e il 1920 causando la morte di decine di milioni di persone in concomitanza con la Prima Guerra Mondiale, il nostro don Luigi era salito al Cielo da qualche anno.
Tutto è iniziato nella cattedrale di Torino quando il sagrestano bussò al suo studio per dirgli che era desiderato. Doveva conferire per un’estrema unzione ad una signora che si era sentita poco bene mentre da Lione si recava a Milano. Era stata rifiutata dagli ospedali poiché povera e si era rifugiata in una stanza d’albergo povero assieme ai figlioletti e al marito.
Nativo del cantone di Obwalden, presto entrò nel monastero benedettino di Engelberg. Il priore, suo amico, gli parlò degli “Amici di Dio”, un movimento religioso sorto in Alsazia che praticando una vita evangelica volevano dare un impulso al rinnovamento della Chiesa.
di Michele Gatta
8 febbraio - Fondatore della Famiglia dei Somaschi
Girolamo aveva 25 anni, quel 27 agosto del 1511, quando fu preso carcercato dai francesi nel suo castello di Castelnuovo di Quero sul Piave, che governava nel nome della Repubblica di Venezia, di cui suo padre era senatore e sua madre discendente dei Dogi.
Correva l’anno 1858 e don Bosco, già conosciuto negli ambienti ecclesiastici e politici italiani, era in udienza da Pio IX per presentargli il suo progetto di fondazione di una Congregazione moderna che si dedicasse all’educazione della gioventù. Il papa lo ascoltò a lungo e con molto interesse. Volle sapere come era arrivato a questa decisione e alla fine, dopo aver dato il suo pieno consenso, lo esortò a scrivere quanto gli aveva raccontato.
In ultima analisi potremmo rispondere molto semplicemente e in maniera sbrigativa che non sappiamo nulla, perché i Vangeli e gli altri scritti del Nuovo Testamento non ci dicono nulla dell’aspetto fisico di Gesù. Cogliamo nei racconti evangelici alcuni suoi momenti di commozione, di turbamento, di gioia, perfino di angoscia; lo vediamo piangere, soffrire, allietarsi, persino scherzare, dormire e mangiare come anche camminare e affaticarsi. Veniamo anche a conoscenza della sua relativa giovinezza: Lc 3, 23 ci racconta che «Gesù quando iniziò il suo ministero aveva circa trent’anni».
In questi mesi, dalla celebrazione del Sinodo dei Vescovi sull’Amazzonia dell’ottobre scorso, il celibato sacerdotale ha spopolato sui web, sulla stampa e nei discorsi. Ma quanti hanno saputo documentarsi, prima di allinearsi alle opinioni di tanti “bar dello sport”?
Nell’“emergenza educativa” che investe oggi il mondo giovanile, e non solo, grande spazio è dato alla necessità di ritornare all’incontro con un buon libro, staccandosi dalla dipendenza maniacale del web. Leggere amplia i nostri orizzonti, nutre lo spirito e ci aiuta a dar voce al nostro mondo interiore. Spesso è stato questo l’avvio alla conversione per molti peccatori. Lo ricorda san Josemaria Escrivà: «Non tralasciare la lettura spirituale; la lettura ha fatto molti santi».
Non è mai stato difficile professare la propria fede cristiana: lo testimoniano già gli scritti del Nuovo Testamento e le varie epoche della Chiesa. Nessuna meraviglia quindi che lo sia anche oggi in questo nostro «cambiamento d’epoca», come ebbe a definirla papa Francesco nell’incontro con i rappresentanti del quinto convegno nazionale della Chiesa italiana a Firenze il 10 novembre 2015.
Che la storia sia “maestra della vita”, al dire di Cicerone, sono in tanti a dimenticarlo e così periodicamente ci si ritrova a fare i conti con i medesimi errori già compiuti e con le conseguenze da pagare. In questo giorni n cui, in Italia, si dibatte l’annosa questione della lotta all’evasione fiscale, sarebbe bene ricordare l’esperienza del dopoguerra in questo settore. L’evasione era cresciuta, e ognuno si autogiustificava. Però poi lo Stato invertì la marcia, perché diminuendo le imposte ed essendo più sopportabili, i cittadini si sentivano invogliati a impegnare i redditi che prima tenevano occultati, e così si fece strada la mentalità del valore etico del sistema fiscale. Dal 1949 al 1956 il gettito fiscale aumentò del 58%, mentre la spesa pubblica era salito del 48%.