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Super User

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Ai bambini tante volte viene evitato qualsiasi sforzo

di Graziella Fons

Il dolore dei bambini costituisce lo scoglio sul quale s’infrange la nostra rabbia di fronte al male nel mondo in cui i bambini sono vittime innocenti. L’irruzione di Gesù nella vita dell’umanità ha sconvolto ogni logica umana e là dove Gesù ha trovato la sua morte ignominiosa è spuntata la luce della speranza. Se la tenerezza di Dio nel cuore di Gesù ha trionfato sull’egoismo umano, allora si ha diritto di guardare il futuro illuminato dalla speranza. È una speranza che si modella lungo i sentieri tortuosi della vita. La palestra, dove si genera questo plasma divino, dono del Dio della vita, è la famiglia. Papa Francesco ha detto che «la famiglia da sempre è “l’ospedale” più vicino. Sono la mamma, il papà, i fratelli, le sorelle, le nonne che garantiscono le cure e aiutano a guarire». Gesù si è fatto uno di noi per conoscere il peso del soffrire e dare credito alla sua parola di consolazione; infatti: «Nessuna parola può essere credibile, se non sappiamo abitare i luoghi della sofferenza».

Friday, 03 July 2015 14:59

Per Michelangelo la morte è madre

Osservando le tre “Pietà” del sommo artista

di Mario Carrera

 

La fede non solo ispira la fantasia dell’artista, ma lavora e plasma la sua stessa vita. Questa considerazione è evidente nelle opere artistiche di Michelangelo e, in particolare, nelle tre "Pietà" che egli ha scolpito. All’età di ventiquattro anni ha scolpito la “Pietà”, quella più nota, la “Pietà” per eccellenza che ammiriamo nella basilica di san Pietro a Roma. È un inno all’amore di una giovane madre che perde un figlio in modo drammatico. Un inno alla fede e alla rassegnazione. Con il passare degli anni il dramma del morire bussa alla vena artistica dell’artista fiorentino e la morte prende il volto nella “Pietà”. Le sculture delle tre “Pietà” nella vita dell’artista hanno un itinerario quasi privato. A ventiquattro anni scolpisce una bellezza sontuosa, pur nel dramma della morte del Figlio di Dio. Le ultime due “pietà”, quella del Museo del duomo di Firenze e quella del Castello Sforzesco di Milano, sono lo specchio del suo stato d’animo di fronte alla morte. “L’incompiuta”, a Firenze, nella fisionomia di Nicodemo che sorregge il Cristo ci dona il suo autoritratto, il suo volto. La “Pietà” di Milano, nominata abitualmente “Pietà Rondanini”, è l'ultima opera di Michelangelo. Ad essa il Maestro dedicò gli ultimi pensieri e anche le ultime ore di vita.

Wednesday, 10 June 2015 12:19

Il ruolo della comunicazione

Medico e infermiere come garanti dei diritti del malato terminale

di Flavia Caretta

Non si può dimenticare che l’elemento centrale in medicina, ma ancor più nella fase terminale, è trovare e mantenere con il paziente un canale di comunicazione, perché possa esprimere i suoi bisogni, le sue paure, i suoi interrogativi, cercando di far superare il senso di solitudine e di isolamento che spesso lo condizionano.

Ivan è stato un uomo che ha trascorso la sua esistenza ad insegnare «il mestiere di vivere» umano. Essendo maestro di vita, negli anni della sua esistenza ha incontrato una serie innumerevole di persone e la moglie Nadège ha dovuto «condividere» il marito con tanti uomini e donne che si erano rivolti a lui alla ricerca di un aiuto per superare gli ostacoli del loro vivere. 
Wednesday, 24 September 2014 13:13

Diritto di morire o libertà di vivere?

di Mario Melazzini

Malattia, dolore e il ruolo del medico

Da medico e da paziente, ho letto con molto sconcerto la testimonianza del medico sardo che ha ammesso di aver «addormentato migliaia di persone, in un centinaio di casi sono andato oltre. L’ho fatto ogni volta che era necessario, ma non ho un elenco. Non mi sono mai pentito, anche perché erano i pazienti a chiedermi di intervenire. In tutte le situazioni non c’era altra via d’uscita. Questa è una pratica consolidata in tutta Italia». Come si può sostenere che in tutta Italia certi comportamenti siano consolidati: con molta fermezza dico che non è così! Di fronte a tali affermazioni mi chiedo quale sia allora il significato del nostro ruolo di medico?

Eutanasia: dialogo tra Bonaccorti e Avvenire

Caro direttore,

il presidente Napolitano chiede un sereno e approfondito confronto di idee sul tema del cosiddetto 'fine vita', ed è quello che tutti auspichiamo per dare una base strutturata a eventuali interventi legislativi, i quali senza fondate indagini e competenti ricerche potrebbero aggiungere problemi invece che risolverli. Da qualche anno mi sembra si voglia ridurre il dibattito a uno scontro fra fazioni, improntate a scelte aprioristiche. (...)
Wednesday, 02 April 2014 15:20

I suggerimenti di Elisabeth Kübler Ross

L’approdo all’eternità

«Dobbiamo abituarci a far festa con “lo straniero” che è in noi, riconoscenti con quella gratitudine della benedizione dell’uliva - come scriveva nell’antichità Marco Aurelio -, la quale cadendo sul terreno ringrazia l’albero che l’ha prodotta». 
Il letterato André Malraux, accanto all’antica benedizione di Marco Aurelio ha scritto che «il pensiero della morte è il pensiero che rende uomini. Bisognerebbe festeggiare il giorno in cui, per la prima volta, si è riflettuto sulla morte, perché quello è il giorno che segna il passaggio alla maturità. L'uomo è nato quando, per la prima volta, ha mormorato davanti a un cadavere: "Perché?"»! Questo «perché» come un raggio di luce rossa percorre il tempo dell’umanità dal giorno della morte di Abele. 
Wednesday, 18 February 2015 15:49

Il compimento della vita: perenne dialogo con Dio

Trentesimo dialogo, e ultimo sul “Credo”

di G. Gennari

L’ultima volta siamo rimasti con l’interrogativo sul senso del suffragio per i defunti. Se il morire è anche la realizzazione piena della creatura la cui libertà ha la possibilità di scegliere per la Vita o per la Morte, Paradiso o Inferno, come esige la libertà umana, e quindi nel morire, grazie alla purificazione necessaria accolta o rifiutata è anche la realtà definitiva, resurrezione e vita eterna o eterna e voluta privazione della felicità, allora che senso ha la preghiera per i defunti? Quando noi preghiamo per loro essi sono già – e noto questo già – nella loro definitiva realtà, e quindi il suffragio è inutile…
No: e quel già è proprio il centro del discorso. Noi siamo nel tempo, ma la vita eterna è in Dio, che non è nel tempo. Il nostro suffragio di oggi è dall’eternità presente nella Sapienza infinita che è Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo. La nostra preghiera di suffragio, che è nel nostro oggi, non raggiunge il defunto direttamente, ma attraverso la mediazione del Cristo Signore e Salvatore, cui tutti i tempi sono presenti, perché Egli è (anche) l’Eterno…

di Gianni Gennari

Riprendo la riflessione sul mistero del morire. La morte è vero “mistero”, come del resto anche la vita, e se non si trova un senso alla morte anche la vita rischia di perdere il suo…
Cosa è “il” morire? Una fine ed un fine, abbiamo detto: nella tradizione cristiana una pena, ma anche un traguardo verso una realtà “altra”. Un castigo del peccato, annunciato nel libro della Genesi (cap. 3) ma anche “sorella” e oggetto del desiderio di fratelli e sorelle che noi chiamiamo Santi: “Desidero essere sciolto, ed essere con Cristo!” (Fil. 1, 23). 

di Gianni Gennari

Quasi al termine del cammino! Dopo “Credo la Chiesa” ecco “la comunione dei Santi, la resurrezione della carne e la vita eterna”. Qui vale quel “quasi”.
 

La “comunione dei Santi” 

Essa è il legame che in Gesù morto e risorto, e nello Spirito Santo unisce la terra e il cielo… Sulla terra è l’unione di tutti coloro che vivono – conoscendolo esplicitamente, o riconoscendolo con i fatti implicitamente – il comando dell’amore come unico dovere dell’uomo… “Tutto coopera al bene di quelli che amano Dio” (Rom. 8, 28), e ci sono tanti che amano davvero Dio anche senza conoscerlo in pieno, ma riconoscendolo nel prossimo da sfamare, da dissetare, da soccorrere… è la lezione del Giudizio finale in Matteo 25, sulla bocca di Gesù stesso. Tra tutti coloro che amano Dio, e che l’hanno conosciuto e riconosciuto, o anche solo riconosciuto senza conoscerlo pienamente, si forma una solidarietà di “unione comune”, o “comunione”, che in termini di teologia tradizionale, sempre valida in questo, si chiama Corpo Mistico di Cristo… Non mi fermo su di esso, qui, ma credo che chiunque legga può capire quale oceano di solidarietà effettiva e salvifica, nello Spirito Santo, si crea in terra, e tra terra e cielo, solo pensando in profondità agli effetti di questa presenza santificante dello Spirito senza confini a noi noti… è ciò che ci rende sereni di fronte alla domanda sulla salvezza eterna di tanti fratelli, la maggior parte dell’umanità certamente, dagli inizi della storia umana e fino al ritorno del Signore alla destra del Padre…
La “comunione” ecclesiale, in questo contesto, è solo una delle forme visibili della chiamata universale alla salvezza ed alla santità di cui il Vaticano II si è fatto annunciatore definitivo… è anche la misteriosa trovata, per fare solo un esempio, della “catena” che unisce cielo e terra già ora, e che ha consentito a Teresa di Lisieux di dire: “Voglio passare il mio Cielo a fare del bene sulla terra”.
Andiamo avanti… Ecco dunque “la resurrezione della carne e la vita eterna”.
 

Resurrezione? Oltre il morire, dunque…

Ma questo dice qualcosa che va oltre. Entra in gioco la realtà importante del nostro “morire”. Un mistero universale su cui da sempre si è interrogata l’umanità tutta, e su cui forse in questi ultimi decenni non siamo stati capaci, come cristiani e cattolici, di tradurre la fede annunciata da Gesù e trasmessa dagli Apostoli e dai martiri senza tradirla, e perciò – dando uno sguardo attorno – constatiamo che nella nostra comunità – catechismi, omelie, preghiere, riflessioni, ritiri spirituali – se ne parla poco o niente. Domandiamoci infatti quanto tempo è che a Messa il celebrante non ci ha ricordato quelli che una volta si chiamavano “i Novissimi”: Morte, Giudizio, Inferno e Paradiso…
Eppure è tema e domanda fondamentale: cosa è morire? E cosa è risorgere a vita eterna? Si dice che il discorso del Catechismo non regge più e il rimedio sarebbe continuare a credere senza domande, senza cercare di capire. Eppure Gesù ha detto ai Suoi, e anche a noi: “vado a prepararvi un posto” (Gv. 14, 2). Si dice che è mistero, ma resta il fatto che anche su questo, forse soprattutto su questo, come credenti abbiamo un dovere, quello ricordato da San Pietro, di “rendere ragione della speranza che è in noi”. E allora vale la pena di approfondire, magari non in una sola volta…
Prima domanda: cosa è morire? Malraux ha scritto che se non si trova un senso alla nostra morte, la vita intera rischia di perderlo… E oggi della morte non si parla: roba di medici… No: per parlare di ciò che chiamiamo il “dopo” dobbiamo parlare dopo aver risposto su di essa…
 

La morte: una fine e un fine, “pena” e “sorella”

Prendiamo il “morire” come tale. Cosa è? Che dice, la fede cristiana? In realtà due cose: che la morte è sia “una fine” e pena del peccato, sia “una sorella” – con S. Francesco – e addirittura “il fine” della esistenza stessa. Sul fatto che essa è pena testimonia il racconto della creazione fino dalle prime linee della Scrittura. E San Paolo ne fa sintesi perfetta: morte “stipendio del peccato” (Rom. 6,23), “ultimo nemico” (I Cor. 11, 26). Ma egli stesso la dice anche oggetto di desiderio: “Bramo essere sciolto (dalla vita terrena) per essere con Cristo” (Fil. 1, 23). Anche Gesù ha avuto paura della morte, nel Getsemani – “si allontani da me questo calice” – ma ai suoi ha detto anche che voleva berlo, quel “calice”, ricevere quel “battesimo”, ed era in pena finché non lo avesse fatto (Lc. 12, 50).
Dunque due facce del morire, collegate, ma non identiche. E per andare avanti leggo di Lazzaro, Vangelo di Giovanni, capitolo 11. Era morto o no? Prima risposta ovvia: sì, “da quattro giorni, e già puzza”. Lo dice anche Gesù: “Lazzaro è morto!” Ma prima aveva anche detto che “questa malattia non è per la morte… Lazzaro, l’amico nostro, dorme, e io vado a risvegliarlo”.
Lazzaro è morto, ma non è morto: perché? Forse – è l’ipotesi che mi azzardo a proporre qui – perché ciò che noi chiamiamo “morte” ha due dimensioni, distinte e diverse: una è quella fisica, biologica, da mancanza di funzioni fino all’encefalogramma piatto, con data precisa, esaurimento delle energie vitali della persona concreta, accertabile con certificato legale… E di questa morte Lazzaro era morto, e da quattro giorni. è la morte come pena, come “fine”, “ultimo nemico”, sconfitta dell’energia vitale di ogni uomo. E Gesù richiama in vita questo Lazzaro “già morto da quattro giorni”, che dopo qualche anno morirà un’altra volta di morte fisica, e sarà anche l’altra faccia, quella della morte come “sorella”, come “fine” e compimento del “desiderio” di essere con Dio, ingresso nell’eternità e nella “gioia del suo Signore”. 
E allora? Allora qualcuno, p. es. nella storia della teologia cristiana e cattolica, viene in nostro soccorso. E’ un grande santo e “dottore” della Chiesa, Giovanni Damasceno, vissuto tra VII e VIII secolo: “Hoc est hominibus mors, quod fuit Angelis temptatio” (“la morte è per gli uomini ciò che per gli Angeli fu la prova”). La morte come una scelta: o con Dio o contro di Lui… Dopo il Damasceno altri pensatori cristiani, fino ai nostri giorni, su questo cammino… E questo ripensare il morire non solo come “disfarsi” del corpo e della condizione storica, ma anche come “scelta” che si fa vita eterna in Dio – il Paradiso – o vita eterna senza Dio e contro Dio – l’Inferno – ci servirà per andare avanti… 
Chiedo scusa al lettore: così il discorso è a metà, ma lo spazio è tiranno, e si continuerà alla prossima occasione: la fiducia è che possa essere utile… 
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