Io non voglio parlare di Lucio Magri, che non ho conosciuto e non mi sognerei mai di giudicare... So soltanto che non organizzerei una festicciola nell’attesa della telefonata dalla clinica svizzera che annuncia la mia dipartita. (...)
Ma qui mi fermo, perché vorrei spersonalizzare il gesto di Magri, quello che viene chiamato con orrenda ipocrisia “suicidio assistito” e invece va chiamato col suo vero nome: “Omicidio del consenziente”. Magri non era un malato terminale, né tantomeno in coma vegetativo irreversibile tenuto artificialmente in vita da una macchina: era fisicamente sano e integro, anche se depresso. (...)
Dunque vorrei parlarne dai soli punti di vista che ci accomunano tutti: quello logico, quello giuridico, quello deontologico e quello pratico.
Caro baby sette miliardi! Non so se tu sia una bimba o un bimbo, se sia indiano o cinese, nato in una metropoli o in un villaggio, o se invece non sia nato nella pampa o sotto un igloo, o in una piccola isola sperduta, o in fuga sotto una tenda. Non so se tu sia sano o malato o portatore di handicap. Non so se ad abbracciarti ci siano tutti e due i tuoi genitori o solo la mamma. Non so se diranno che tu e i tuoi coetanei siete troppi o troppo pochi. Oggi questo non mi importa.
Questo mondo in cui arrivi è un po’ complicato e non è ospitale per tutti. Non siamo stati così bravi a preparartelo bene. I capi dei popoli più ricchi e potenti sono attorno a un tavolo ad arrovellarsi su come andare avanti senza combinare altri disastri, e anche noi ci interroghiamo sul tuo domani.
Però oggi io voglio dirti che tu sei unico e diverso da tutti gli altri, che sei un dono meraviglioso, che sei un miracolo, che il tuo spirito vivrà per sempre, e quindi sei benvenuto. Noi ti auguriamo che quando sorriderai qualcuno risponda al tuo sorriso e quando piangerai qualcuno ti accarezzi. Che tu possa andare a scuola e non soffrire la fame. Che qualcuno risponda saggiamente alle tue domande e ti incoraggi nelle tue iniziative e nell’assumere le tue responsabilità. Che tu possa voler bene agli altri, crescere, lavorare e vivere con la tua famiglia, con tanti amici, in un popolo e in un mondo libero e in pace. Che tu possa capire che la tua vita ha un senso pieno aldilà della morte.
Perché tu sei nato per questo. Il tuo Creatore e Padre ti ha fatto per questo. Noi faremo la nostra parte perché questo diventi possibile; tu datti da fare, perché il tuo futuro dipenderà anche da te e toccherà a te dare il benvenuto a baby otto miliardi.
Editoriale di Radio Vaticana, 5/11/2011
Più di mille persone, entro il 2011, in Belgio, saranno uccise perché questa è la loro volontà. Per la fine dell’anno saranno più di un migliaio i pazienti che si saranno sottoposti all’eutanasia.
«Segno – afferma Luciano Eusebi, professore Ordinario alla Facoltà di Giurisprudenza all'Università Cattolica di Milano interpellato da ilSussidiario.net – che nel Paese la deriva eutanasica pronosticata si è verificata; la morte in certi casi, si è trasformata in una sorta di automatismo».
La notizia è stata riportata dal quotidiano belga "Le soir". Secondo il giornale si è arrivati alla previsione partendo da una semplice considerazione: da gennaio 2011, 85 persone l’anno sono spirate con la “dolce morte”. Si tratta prevalentemente di uomini (54 per cento) e di persone che hanno un’età compresa tra i 60 e i 79 anni. La maggior parte - l’80 per cento - è affetta da un tumore che, nel 92 per cento dei casi, li porterà alla morte, anche a breve termine. Il 52 per cento delle somministrazioni eutanasiche, infine, viene effettuato a domicilio o in alcune case di cura per anziani. «Il dato – spiega Eusebi - indica come le ragioni del “no”, che abbiamo sempre cercato di sostenere nei confronti di atteggiamenti eutanasici, fosse giustificato. Siamo sempre stati preoccupati, infatti, che tutto si potesse risolvere, in ultima analisi, in un sorta di “rottamazione” dei soggetti deboli».
Eusebi entra nello specifico: «È condivisibile l’attenzione ai trattamenti terapeutici proporzionati e ad evitare quelli oltranzisti». Ma superare questa soglia genera gravi conseguenze; «porta a considerare i soggetti deboli una zavorra. Non è un caso che la ricerca psicologica sottolinei come il cosiddetto “diritto a morire” si trasformi, sia rispetto al malato che alla sua famiglia, in un pressione psicologica per liberare il contesto sociale dal peso della sua condizione. Questo trend rende possibile il passaggio dall’eutanasia consensuale a quello automatico».
C’è da chiedersi se in Italia un rischio del genere sia scongiurato. «La legge sul fine vita – riflette Eusebi - dà rilievo ad eventuali dichiarazioni anticipate, certo; ma nell’ambito di un giudizio che resta fondato sulla responsabilità del medico e su una valutazione sulla proporzionalità delle terapie. Chi si aspettava una legge che scardinasse i principi di diritto vigenti sull’impraticabilità di una relazione medico-paziente finalizzata alla morte ne è rimasto deluso. La legge, quindi, dovrebbe metterci al riparo, almeno nelle sue affermazioni teoriche, da derive come quella belga».
Ma la legge non basta. «Questi trend, nella pratica, sono da arginare in una dimensione formativa e culturale; e, ancor più, di sostegno ai contesti familiari. Aiutando la famiglia si evitano derive di abbandono, perché questa costituisce la prima dimensione di accoglienza laddove sussistano condizioni di precarietà esistenziale».
Per i malati terminali e i loro cari, alcuni supporti fondamentali già esistono: «Abbiamo reti di hospice e centri di cure palliative in cui si può seguire il malato liberandolo dalla sofferenza e consentendogli, anche in condizioni di malattia avanzate, di mantenere una capacità di riflessione e dialogo. Tutto ciò non è neppure eccezionalmente costoso. Tuttavia, è ovvio che si tratti di un impegno per la società».
Secondo il professore, tuttavia, non ci sono alibi: «le risorse ci sono. Una società dell’accoglienza è possibile». Ma, preliminarmente, si impone una riflessione: «Che modello di democrazia e convivenza civile intendiamo adottare? Quello in cui la persona conta per la sua efficienza materiale per cui, quando questa non è più recuperabile, la sua stessa esistenza perde di significato; o quello secondo cui la persona vale in quanto tale, e non per quello che è in grado di fare?».
Oggi, in tanti, in troppi settori della vita pubblica, stiamo navigando a vista: la scuola, la disoccupazione, i giovani e, non ultimo, gli anziani. A loro si pensa giocando tutto sulla piattaforma delle pensioni, sul numero sempre più crescente delle persone anziane e la ripercussione sul piano finanziario per le spese sanitarie, ma non ci si preoccupa che per le persone attempate c’è un vertiginoso abbassamento della qualità della vita.
Non è sufficiente dare anni alla vita, prolungando così la vecchiaia, ma è urgente preoccuparsi di dare vita agli anni.
«Continuamente gli muore un mondo, che a se stesso non somiglia, un mondo fatto non di colori, ma di brusii». Sono due versi da «Profilo di un cireneo» che Karol Wojtyla ha scritto nel 1958, quattro mesi prima di diventare vescovo di Cracovia. Era una Via Crucis che ha per protagonista Simone di Cirene, il contadino che tornando dai campi fu chiamato dai soldati ad aiutare Gesù sulla via del Calvario. Per il futuro pontefice, Simone rappresenta l’uomo contemporaneo che, accanto a Gesù, si fa compagno di viaggio nell’aiutare e nel soccorrere il prossimo in difficoltà. Quattordici sono i personaggi che il Cireneo è chiamato a soccorrere. Sono tutti nostri contemporanei. S’incomincia con il melanconico. Lo schizofrenico, un attore, una ragazza delusa in amore, i bambini, due operai, un intellettuale, un emotivo, un volitivo, un cieco, al quale sono riferiti i due versi iniziali. Un pellegrinaggio con Gesù nell’oceano della sofferenza umana.
È in corso in questi giorni il dibattito sul disegno di legge riguardante le “Dichiarazioni anticipate di trattamento” (DAT), che darà la possibilità di esprimere per iscritto le proprie volontà in merito ai trattamenti sanitari da accettare o rifiutare in caso di futura perdita di coscienza. Il confronto tra i rappresentanti di diversi schieramenti etici e politici si fa ogni giorno più vivace. Ma al contempo cresce anche un certo disorientamento: qualcuno chiede che il testo venga riscritto, altri lo ritengono inutile, o perché troppo restrittivo della libertà individuale, o al contrario perché pericoloso.
Mi pare che i principali dubbi riguardino tre questioni.
È proprio necessaria una legge, o non era meglio regolarci come si è fatto finora?
Si accusa volentieri il mondo moderno, sofisticato nel progresso tecnico, di avere impoverito la sua umanità con un esasperato materialismo godereccio, con uno spazio esclusivo riservato agli arrivismi e agli egoismi individuali, col distacco indifferente per chi soffre, tribola o ha fame. Si dice in genere che si sono smarriti i valori, un regresso preoccupante. C’è da chiedersi se è proprio vero. Di fatto sono le notizie di fatti tristi ad avere più risonanza e confermare i sintomi di un degrado umano. Quelle che testimoniano il valore dell’umanità di oggi scivolano via piuttosto inosservate, come se fossero ovvie, dovute.
Manuela, poco dopo i sessant’anni, comincia ad avere problemi di equilibrio, difficoltà nei movimenti. I medici diagnosticano una malattia degenerativa del cervelletto, con una prognosi infausta, disperante. Non si può guarire e la prospettiva è una riduzione graduale della capacità motoria fino al blocco di qualche funzione vitale, con la morte. Manuela diventa così, pur stando ancora discretamente bene, una paziente terminale, con la previsione di un degradarsi delle sue condizioni fisiche che potrà durare qualche anno.