Sembrano di grande attualità le parole di don Guanella scritte alla fine dell’800: «Riesce poi difficile mirare giusto in sì grande confusione di giornalisti, di scrittori. Per non sbagliare si guardi sempre al Papa, che è la stella polare. Egli solo basta». Nel giorno di mercoledì, dedicato dalla devozione popolare al culto di San Giuseppe, il 13 marzo 2013 lo Spirito Santo ha donato alla sua Chiesa il nuovo papa con il nome programmatico di Francesco.
Il Vangelo secondo Luca racconta che i pastori di Betlemme, dopo l’annuncio della nascita del Messia, “andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia” (2,16). Ai primi testimoni oculari della nascita di Gesù si presentò, dunque, la scena di una famiglia: madre, padre e figlio neonato. Per questo la Liturgia ci fa celebrare, nella prima domenica dopo il Natale, la festa della santa Famiglia. Quest’anno essa ricorre proprio all’indomani del Natale e, prevalendo su quella di santo Stefano, ci invita a contemplare questa “icona” in cui il piccolo Gesù appare al centro dell’affetto e delle premure dei suoi genitori.
di Gianni Gennari
“Per la nuova evangelizzazione”: grande davvero, il tema del recente Sinodo dei vescovi, il 22° dopo il Concilio. Per la precisione il XIII ordinario, detto “generale”, perché in questi 50 anni ce ne sono stati anche 9 detti “speciali”, con oggetto una sola parte della Chiesa: due volte Europa e Africa, una Asia, Americhe, Medioriente, Libano e Oceania.
Sinodo dei vescovi, dunque. Fu personalmente Paolo VI che il 21 settembre 1963, Papa da pochi mesi, manifestò per il futuro l’idea di “associare qualche rappresentante dell’episcopato in un certo modo e per certe questioni… al Capo supremo della Chiesa stessa”, e aggiunse di essere sicuro che “la Curia romana” non avrebbe fatto opposizione. Egli sapeva per esperienza personale che nella Curia allora, e forse sempre come naturale dove ci sono anche le dimensioni umane, che esistono anche nella Chiesa di Cristo, perfetta per quanto dipende da Lui, ma limitata per quanto dipende dagli uomini, poteva anche non esserci molta disponibilità, allora, ad allargare competenze e discussioni oltre i limiti consolidati da secoli.
Comincia in Vaticano il Sinodo dei Vescovi: è la XIII Assemblea Generale ordinaria. Per la cronaca ci sono state anche 9 Assemblee dette “speciali”, perché dedicate in genere ad una sola parte della Chiesa: 2 per l’Europa (1991 e 1999), 2 per l’Africa (1994 e 2009), una per il Medioriente (2010), una per l’Asia (1998), una per le Americhe (1997), una per il Libano (1995) e una per l’Oceania (1998). In tutto, dunque, ben 22 assemblee sinodali…
Una domanda: chi ne ha memoria attiva, all’interno del Popolo di Dio che è la Chiesa, istituzione storica e mistero umano-divino? Quali sono stati i benefici dei 22 Sinodi percepiti seriamente dal Corpo vivo della Chiesa intera? Forse solo con un atto di fede puro si potrebbe rispondere concretamente e in positivo…E’ un fatto, almeno misurato con le nostre misure umane, limitate e fallibili, ma constatabili per tutti.
Che cosa succede nel Battesimo? Che cosa ci si aspetta dal Battesimo? Voi avete dato una risposta sulla soglia di questa Cappella: aspettiamo per i nostri bambini la vita eterna. Questo è lo scopo del Battesimo. Ma, come può essere realizzato? Come il Battesimo può dare la vita eterna? Che cosa è la vita eterna? Si potrebbe dire con parole più semplici: aspettiamo per questi nostri bambini una vita buona; la vera vita; la felicità anche in un futuro ancora sconosciuto. Noi non siamo in grado di assicurare questo dono per tutto l'arco del futuro sconosciuto e, perciò, ci rivolgiamo al Signore per ottenere da Lui questo dono.
Alla domanda: «Come accadrà questo?» possiamo dare due risposte. La prima: nel Battesimo ciascun bambino viene inserito in una compagnia di amici che non lo abbandonerà mai nella vita e nella morte, perché questa compagnia di amici è la famiglia di Dio, che porta in sé la promessa dell'eternità. Questa compagnia di amici, questa famiglia di Dio, nella quale adesso il bambino viene inserito, lo accompagnerà sempre anche nei giorni della sofferenza, nelle notti oscure della vita; gli darà consolazione, conforto, luce.
Ogni anno, celebrando la Pasqua, noi riviviamo l’esperienza dei primi discepoli di Gesù, l’esperienza dell’incontro con Lui risorto: racconta il Vangelo di Giovanni che essi lo videro apparire in mezzo a loro, nel cenacolo, la sera del giorno stesso della Risurrezione, «il primo della settimana», e poi «otto giorni dopo» (cfr Gv 20,19.26).
Quel giorno, chiamato poi «domenica», "Giorno del Signore", è il giorno dell’assemblea, della comunità cristiana che si riunisce per il suo culto proprio, cioè l’Eucaristia, culto nuovo e distinto fin dall’inizio da quello giudaico del sabato. In effetti, la celebrazione del Giorno del Signore è una prova molto forte della Risurrezione di Cristo, perché solo un avvenimento straordinario e sconvolgente poteva indurre i primi cristiani a iniziare un culto diverso rispetto al sabato ebraico.
Maria ha seguito con discrezione tutto il cammino di suo Figlio durante la vita pubblica fino ai piedi della croce, e ora continua a seguire, con una preghiera silenziosa, il cammino della Chiesa. Nell’Annunciazione, nella casa di Nazaret, Maria riceve l’Angelo di Dio, è attenta alle sue parole, le accoglie e risponde al progetto divino, manifestando la sua piena disponibilità: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua volontà» (cfr Lc 1,38).
Questa domenica, la seconda di Quaresima, si caratterizza come domenica della Trasfigurazione di Cristo. Infatti, nell’itinerario quaresimale, la liturgia, dopo averci invitato a seguire Gesù nel deserto, per affrontare e vincere con Lui le tentazioni, ci propone di salire insieme a Lui sul “monte” della preghiera, per contemplare sul suo volto umano la luce gloriosa di Dio.
L’episodio della trasfigurazione di Cristo è attestato in maniera concorde dagli Evangelisti Matteo, Marco e Luca. Gli elementi essenziali sono due: anzitutto, Gesù sale con i discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni su un alto monte e là «fu trasfigurato davanti a loro» (Mc 9,2), il suo volto e le sue vesti irradiarono una luce sfolgorante, mentre accanto a Lui apparvero Mosè ed Elia; in secondo luogo, una nube avvolse la cima del monte e da essa uscì una voce che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato; ascoltatelo!» (Mc 9,7). Dunque, la luce e la voce: la luce divina che risplende sul volto di Gesù, e la voce del Padre celeste che testimonia per Lui e comanda di ascoltarlo.
Nel racconto giovanneo della risurrezione di Lazzaro (...) si intrecciano, da una parte, il legame di Gesù con un amico e con la sua sofferenza e, dall’altra, la relazione filiale che Egli ha con il Padre.
La partecipazione umana di Gesù alla vicenda di Lazzaro ha tratti particolari. Nell’intero racconto è ripetutamente ricordata l’amicizia con lui, come pure con le sorelle Marta e Maria. Gesù stesso afferma: «Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo» (Gv 11,11).
Questo legame di amicizia, la partecipazione e la commozione di Gesù davanti al dolore dei parenti e conoscenti di Lazzaro, si collega, in tutto il racconto, con un continuo e intenso rapporto con il Padre. (...)
«Oggi vorrei riflettere con voi sulla preghiera di Gesù legata alla sua prodigiosa azione guaritrice. Nei Vangeli sono presentate varie situazioni in cui Gesù prega di fronte all’opera benefica e sanante di Dio Padre, che agisce attraverso di Lui. Si tratta di una preghiera che, ancora una volta, manifesta il rapporto unico di conoscenza e di comunione con il Padre, mentre Gesù si lascia coinvolgere con grande partecipazione umana nel disagio dei suoi amici, che Egli vuole aiutare.Un caso significativo è la guarigione del sordomuto (cfr Mc 7,32-37). Il racconto dell’evangelista Marco mostra che l’azione sanante di Gesù è connessa con un suo intenso rapporto sia con il prossimo - il malato -, sia con il Padre. La scena del miracolo è descritta con cura così: «Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: “Effatà”, “Apriti”» (7,33-34). Gesù vuole che la guarigione avvenga «in disparte, lontano dalla folla».
Attesa, attenzione, vigilanza: sono i termini tipici del vocabolario dell’Avvento, sono le parole chiave del lessico di una sentinella.
Nel linguaggio biblico la realtà della sentinella contribuisce a definire il nostro status di pellegrini ogni giorno, di forestieri in ogni luogo, di nomadi che ogni mattina levano la tenda e ogni sera la ripiantano, finché ci sarà data una dimora per sempre. Quella della sentinella è un’immagine evocata da Benedetto XVI nel discorso rivolto ai partecipanti all’incontro promosso dalla Caritas italiana in occasione del 40° anniversario di fondazione. “Le Caritas – ha osservato il Pontefice – devono essere come sentinelle, capaci di accorgersi e di far accorgere, di anticipare e di prevenire, di sostenere e di proporre vie di soluzione nel solco sicuro del Vangelo e della dottrina sociale della Chiesa”.
Quando il 24 febbraio 2005 a Giovanni Paolo II fu praticata la tracheotomia, al risveglio dall’anestesia, non potendo parlare, chiese alla suora che lo assisteva in ospedale un pezzo di carta e un pennarello e scrisse: «Cosa mi hanno fatto! Ma …totus tuus!». Con un sentimento di totale confidenza alla volontà di Dio ripete: «Sono tutto tuo»; era il suo motto di consacrazione della sua esistenza a Maria, la mamma di Gesù. Quel punto esclamativo raccoglieva il dramma della sua esistenza. In quel momento si chiudeva una lunga stagione della sua vita pastorale e si apriva un nuovo capitolo sulla sua vita.