Se a novembre si comincia a sentire sensibilmente la diminuzione del flusso degli alimenti che arrivano dalla terra sulla tavola, a dicembre si avverte che la natura è entrata nel suo riposo annuale. Un tempo le massaie si difendevano con i diminuiti prodotti dell'orto e le riserve conservate: la frutta sui cannicci o secca, i pomodori appesi ai tralicci, carne e ortaggi sott'olio, sott'aceto, seccata, affumicata, funghi secchi, conserve, fagioli, ceci, lenticchie, castagne, fave, crepide, olive secche, pesce salato e altre risorse derivanti dai sistemi di conservazione elementare, come le uova che si mettevano sotto la cenere o sotto la sabbia per poterle consumare in questo periodo che le galline si riposano fino a gennaio.
Per le nostre zone settembre è il periodo più generoso di frutti e alimenti donati dalla terra: dall'orto ai campi; gran parte delle risorse alimentari si raccolgono in questo tempo e tale è l'abbondanza che perfino le siepi sono piene di bacche e l'uomo, con gli animali, non riescono a utilizzare tutti i beni che sono a disposizione. Questo appare come uno spreco della natura, soprattutto agli occhi di coloro che un tempo potevano conservare pochissimo e avevano scarsi mezzi per farlo: la salatura, l'affumicatura, l'essiccamento al sole e in forno, la preparazione delle conserve, la messa sotto aceto, sotto spirito, sott'olio, ma si trattava di poche cose.
La natura però guarda lontano pensando a tutti e questa abbondanza esagerata torna utile per gli animali, molti dei quali si rimpinzano di tutto questo ben di Dio con una provvidenziale ghiottoneria. Molti infatti col freddo dovranno cadere in letargo e il grasso accumulato in questo periodo d'abbondanza servirà loro per vivere nell'inverno dentro le loro tane, sotto la terra, nel fango, nelle tane degli alberi, dentro gli alveari. Altri come gli uccelli si preparano alle migrazioni e anche loro hanno bisogno di riserve alimentari ed energetiche per attraversare i mari, percorrere immense distanze.
Le piante alimentari che in questo periodo di calura offrono i loro frutti, le foglie, i tuberi da mettere in tavola sono tante (L'estate è la mamma dei poveri, dice un proverbio) che se ne presentano un paio, più caratteristiche e rappresentative, una delle quali è certo la cipolla, ingrediente fondamentale della cucina povera e ricca,
diciamo pure da sempre.
Scrive Plinio nella sua Storia naturale (XX, 20): «In Egitto l'aglio e la cipolla sono considerati come divinità e vengono invocati nei giuramenti. I Greci distinguevano le seguenti specie di cipolla: quella di Sardi, la samotrace, l'alsidena, la setania, la schista e l'ascalonia, così chiamata dalla città che si trova nella Giudea. Tutte quante possiedono un odore che fa lacrimare gli occhi: al massimo grado la qualità di Cipro, al minimo quella di Cnido. Tutte hanno il corpo rivestito di tuniche cartilaginee... Da noi ci sono due specie principali: una impiegata per insaporire i cibi, che viene detta getion dai Greci e pallacana in latino, l'altra specie è quella "a testa grossa": si semina dopo l'equinozio d'autunno oppure dopo che ha cominciato a soffiare il favonio».
Due proverbi indicano l'importanza che ebbero queste due piante nel passato quasi fino ai nostri giorni: L'aglio è la farmacia dei contadini; I fagioli sono la bistecca dei poveri. Infatti senza questi due elementi la vita della povera gente un tempo sarebbe stata assai più tribolata: l'aglio oltre al sapore che con l'uso moderato conferisce agli alimenti, costituisce un antisettico prodigioso che preserva da malattie e contagi; i fagioli costituiscono un deposito di proteine che hanno una capacità alimentare vicina a quella della carne.
Giugno (oggi con coltivazioni speciali ci sono anche prima i mangiatutto oppure burrini) è il tempo della raccolta degli agli e della comparsa negli orti dei primi fagioli da sgranare, per cui è bene arrivare a questa scadenza dopo aver esaurito completamente le provviste dei fagioli e degli altri legumi secchi.
Mentre la stagione volge al caldo molte delle insalate di campo volgono al seme, lasciano la forma giovane di piante da poco spuntate per irrobustirsi e mettere gli steli sui quali nascono i fiori: diventano dure, spesso mutano sapore e non sono più buone per la tavola. I campi offrono ancora insalate di campo buone come la barba di becco, la betonica (lessa per fare frittate), asparagi selvatici, la crepide (insalata che si trova tutto l’anno e si può anche lessare), polloni di luppolo e di vitalbe. Se la stagione è propizia anche funghi, rari ma buoni.
Le piante sono nello stato di maggior vigore preparandosi ai fiori ed esprimono al massimo le loro virtù che si traducono in sapore, ma anche in qualità curative, alcune medicinali come la camomilla (Matricaria chamomilla), pianta annua, verde con piccoli capolini. È erba comunissima nei campi, luoghi erbosi, abbondante lungo le strade campestri e le siepi. Se ne ottiene una bevanda gradevole, profumata e benefica, se non altro consolatrice. Viene usata infatti per calmare dolori, disturbi nevralgici: sciatica, mal di denti, trigemino, nervo sciatico, dolori reumatici, lombaggine, torcicollo e altro.
Già dalle ultime giornate fredde si cominciano a vedere in mezzo ai campi ancora non coltivati delle figure un po' infagottate, incerte nelle nebbioline mattutine e serotine, che si aggirano qua e là per la campagna, guardando per terra e chinandosi ogni tanto per raccogliere qualcosa. Sono i cercatori e le cercatrici di insalate di campo raccolte ancora da molti per passatempo, per gusto della tavola e anche per salute, perché è rimasta nella tradizione orale una conoscenza antica delle erbe salutari e della pratica che era a queste collegata.
Un tempo l'insalata selvatica era una componente fondamentale dell'alimentazione nella quale le erbe commestibili spontanee che si raccolgono nei periodi opportuni erano importanti integratrici degli scarsi mezzi di sussistenza fondamentali. In particolare le insalate si cercano nei mesi invernali non appena i primi freddi intensi, le gelate le hanno rese tenere e liberate da ogni parassita continuando fino nella primavera, fino a quando non s'induriscono producendo il seme. Vengono raccolte per semplice consumo, ma oggi soprattutto non servono più per cacciare la fame e si usano come cose ghiotte, sapori rari, componenti di altri alimenti, ai quali danno sapore e fragranza.
Segno della fine del freddo era un tempo l'apparizione del carciofo Cynara cardunculus scolymus che spunta negli orti con le ultime brezze gelide e i timidi venti primaverili. Oggi le tecniche di coltivazione e le importazioni riforniscono i mercati di questi ortaggi durante gran parte dell'anno, mentre assai pregiata è anche la nostra produzione autunno-vernina.
La massaia, quando vedeva sulle piante spuntare i carciofini si rincuorava: la penuria, la scarsità di alimenti stava finendo e la terra cominciava a dare di nuovo i suoi prodotti. Il carciofo poi, arrivando quando le risorse sono tutte esaurite o quasi, aveva la qualità di essere in cucina un prodotto che, a differenza degli erbaggi che finiscono in gran parte come contorni di relativa sostanza, si presta ad essere cucinato in tante maniere e a soddisfare diversi bisogni.
Scrive Plinio nella Storia naturale: "Il serpente, poiché durante il letargo invernale gli si è formata una membrana intorno al corpo, si spoglia di quell'impiccio grazie all'umore del finocchio e riappare tutto lucente a primavera. Comincia a spogliarsene dalla testa e non impiega meno di un giorno e di una notte, rivoltandolo in modo che la parte interna della membrana appaia all'esterno.
Lo stesso animale, dato che nel suo ritiro invernale gli si è indebolita la vista, sfregandosi all'erba marathon (traslitterazione del nome greco del finocchio), la applica sugli occhi e recupera la capacità di vedere; se poi le sue squame si sono irrigidite, si gratta contro le spine del ginepro" (VIII, 41). Questa credenza è diffusa in tutta l'Europa dove comunemente si crede che il finocchio, come le carote, rinforzi la vista e curi gli occhi. Ma le qualità medicamentose della pianta sono molte di più. Il finocchio è tra le poche piante alimentari orticole che non abbandona la tavola nei tempi freddi di penuria ma, come il cavolo, non gode di gran prestigio: dimensioni modeste, non particolarmente bella, dolciastra non si presta a fare un piatto di figura sulla mensa. Era una volta una risorsa dei tempi difficili: una tegamata di finocchi, condita con sugo o carne grassa, o trattata a frittata, poteva risolvere il problema d'una cena.
Come contorno si segnala per la leggerezza e con elaborazioni culinarie particolari diviene anche una portata appetitosa e ricercata. Tra le piante coltivate, è una delle più utili, presente in mille ricette, attiva nella conservazione degli alimenti, indispensabile nella farmacopea fin dai tempi più antichi.
Vogliamo ripercorrere qui una linea che rintracci come la Provvidenza abbia segnato il corso dell'anno con una successione di piante che appaiono sulla terra, alle quali l'uomo è sempre ricorso, soprattutto nella povertà, per sopravvivere anche in tempi di scarsità o indigenza.
Queste piante in campagna stanno dietro la casa, nell'orto, e costano solo la fatica del coltivarle. Il primo ortaggio, il più utile nel cuore del freddo, è il cavolo che resiste al gelo senza mancare mai, nelle varie specie, nel corso dell'anno.
Con il temine cavolo si indicano parecchie varietà orticole che si danno il cambio nelle varie stagioni, tanto che il cavolo si trova in specie diverse quasi tutto l'anno. Tuttavia, guardando un orto d'inverno si potrà pensare che non offre nulla per la tavola, cosa non vera, perché l'occhio esperto troverà che vi crescono alcune verdure che furono il sostegno alimentare della povera gente nel periodo freddo dell'anno in cui la penuria dei prodotti della terra si fa sentire.