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Martedì, 29 Novembre 2011 13:47

Il fecondo contagio della santità

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di Angelo Sceppacerca

A volte i santi ci passano accanto e non ce ne accorgiamo. Eppure la gioia di essere amati da Dio non si puònascondere. È la scoperta del filo d’oro che lega tutti i fatti dell’esistenza, è la tessera che completa il mosaico dell’umanità nel quale ogni uomo è inserito. È la gioia vera. Si legge sul volto, negli occhi, nei gesti. Si radica nel più profondo dell’essere umano e libera energie sepolte che non possono più fare a meno di agire. Gioia che contagia e libera e aiuta a leggere i fatti della vita. E’ la storia e l’esperienza di tanti quando fanno un incontro forte, che cambia la vita. Può essere l’incontro con un testimone, ma anche con un fatto della vita, una malattia, una morte di una persona cara, un’esperienza spirituale coinvolgente e profonda.
La testimonianza della propria vita è un vero e proprio contagio, vale anche per i non cristiani. Gandhi diceva di se stesso: sono un incorreggibile ottimista.

Il mio ottimismo si fonda sulla mia convinzione che ogni individuo ha infinite possibilità di sviluppare la nonviolenza. Più l’individuo la sviluppa, più essa si diffonderà come un contagio che a poco a poco contaminerà tutto il mondo. Fra i santi capaci di calamitare le folle, Padre Pio. Attirava sulla via della santità con la sua stessa testimonianza, indicando con l’esempio il binario che ad essa conduce: la preghiera e la carità.
La santità come un benefico contagio, comune a tutti i santi, di ieri e di oggi e parlare di santità “contagiosa” significa che il bene che facciamo deve far venire ad altri la voglia di farlo. Se la santità è il tratto distintivo del popolo di Dio, come la si può proporre oggi? In questo anno della canonizzazione di San Luigi Guanella, non si tratta semplicemente di ricordare – magari per conoscerla maggiormente – una grande figura di santo, né solo di affidarci alla sua intercessione per le necessità nostre e della Chiesa. Vogliamo di più: fare un po’ come lui, somigliarli, restarne contagiati, colpiti, convinti. Don Guanella ha fatto la volontà di Dio, ha vissuto la carità, nei gesti semplici e in quelli eroici, consumandosi d’amore. Questa testimonianza è stata e resta contagiosa. Un simile contagio è forse il nucleo più affascinante e fecondo della testimonianza evangelica: «Voi siete la luce del mondo, il sale della terra...». E questo vale non solo per i singoli ma anche per le famiglie cristiane, proprio in quanto famiglie chiamate a santificarsi insieme e reciprocamente.
Ogni santità è contagiosa. Gli effetti dell’esperienza di un santo continuano dopo la sua morte. Chi viene a conoscenza delle sue vicende si sente spinto a vivere più radicalmente il vangelo, a scegliere Dio come tutto.
Vale anche oggi, persino nelle carceri, dove non solo l’AIDS, ma anche la santità si fa contagiosa. Ho trovato la testimonianza di alcune giovanissime detenute nel carcere torinese delle Vallette, malate di AIDS e prossime alla morte, seguite dalla comunità parrocchiale di Santa Maria Goretti in Torino, che hanno accolto la parola del Vangelo. È quanto traspare da alcuni brani di loro lettere.
“(...) La vita mi sta lasciando. Non ce la faccio più, il dolore è tanto grande, ma con ciò non ho paura. Ti ricordi che mi dicevi che Dio mi ha perdonato il male che ho fatto? Ora con il cuore pieno di amore vado verso di lui che mi aspetta. (...) Chiudo gli occhi contenta. C. ci diceva che il Signore è il mio pastore, nulla mi mancherà nei suoi pascoli. Quella pecorella smarrita ha trovato il suo pascolo” (Carola).
La testimonianza di Carola conquista altre sei compagne. Alcune di loro scrivono: “abbiamo sbagliato in tutta la nostra vita ed ora paghiamo le nostre malefatte. (...) Abbiamo ricevuto la Bibbia che Carola ha lasciato a noi; ne leggiamo tutte le sere un pezzo. Abbiamo anche letto che san Francesco chiamava la morte «sorella», ora anche noi la chiamiamo così. Nessuno viene a trovarci perché siamo ammalate, ma voi sì, e noi siamo felici e vi vogliamo tanto bene”.
Samanta avrebbe desiderato far sapere a tutti i giovani di non fare le fesserie che aveva fatto lei, perché la droga porta alla morte e uscirne è molto difficile. A 19 anni, Samanta conclude il suo cammino terreno e prima di morire lascia una lettera: “Scrivo ora perché poi non so se ce la farò, perché sto perdendo la vista. Non me ne importa più di tanto, perché ora ho l’amore di Dio nel mio cuore (...). Vi chiedo di aiutarmi e mi avete dato il bene, l’amore, tutto e anche la lettura del Vangelo che è stata molto bella. Peccato che non ci sarò più per finirla. Ora me ne sto andando, ma non ho paura perché in me c’è qualcuno che mi segue ad ogni passo, è Gesù. Alla sera lo prego e gli dico: «Caro Gesù, io sono pronta, vienimi a prendere, ti sto aspettando. Prendimi per mano e io ti seguirò con gioia» (...). Non piangete per me perché sono felice e vi seguirò di lassù. Un bacione a tutta la comunità...”.
Anche Miki: “Sono una creatura di Dio anch’io. Con tutto quello che ho commesso, sento che lui mi ama e mi è vicino. Ho visto Samanta morire talmente felice e tranquilla che mi ha fatto capire che le cose belle ci sono ancora”. Mi torna alla mente santa Caterina da Siena quando visitava e infondeva la misericordia divina ai condannati a morte. Li accompagnava fino al momento in cui essi venivano decapitati. Ed ecco che, dopo la macabra esecuzione, lei vedeva le loro anime ascendere al cielo. (da Città Nuova, 1/2003).
Durante il grande Giubileo del 2000 ho sentito un vescovo parlare col cuore al cuore di migliaia di giovani e dire loro: Andate in mezzo ai vostri compagni, e gridatelo con coraggio: «Non mettete la vostra vita in garage» (cfr. Raoul Follereau). Annunciate loro non un Dio lontano, conosciuto solo “per sentito dire”, ma il Verbo della vita, che si è fatto carne. Lui e lui solo ha il potere di renderci figli di Dio e uomini tutti interi. Chi vuole può incontrarlo: anche oggi. Dove? Nella comunità ecclesiale, di cui voi, a titolo speciale, siete il volto simpatico e il sorriso fraterno. Fatevi eco dello stile missionario, antico e sempre nuovo, dell’apostolo Giovanni, che proclamava, con trascinante convinzione: «Ciò che era fin da principio, il Verbo della vita.... quello che abbiamo visto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi». Siate atleti dello spirito. Santi non ci s’improvvisa. Anche la muscolatura dell’anima, come quella del corpo, ha bisogno di palestra: e non di un allenamento occasionale, ma di un esercizio continuo, fatto di ascolto della Parola, di sacramenti vissuti con responsabile fede e regolare frequenza (specie la confessione e l’eucaristia), di preghiera profonda e quotidiana, di vita interiore curata anche con l’aiuto di una guida esperta, di amore alla croce abbracciata con gioia, di tanta pratica nella carità scambievole. Volete un indirizzo-sintesi dove trovare in sovrabbondanza ogni opportunità di crescita spirituale? Eccolo: mettetevi alla scuola di Maria. Lei, modello dei credenti, vi insegnerà l’arte di amare Dio e i fratelli. E sarà a vostro fianco, sempre, con l’affetto e la sollecitudine di una mamma premurosa, fino a rendervi santi e immacolati nella carità.

Read 970 times Last modified on Mercoledì, 05 Febbraio 2014 15:20

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