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Mercoledì, 11 Gennaio 2012 12:38

Lo pose in una mangiatoia

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di Gabriele Cantaluppi

La piccola e angusta porta che dalla piazza inondata di sole conduce alla basilica della Natività è un richiamo costante all’atteggiamento spirituale che si deve avere per contemplare il Mistero dell’Incar­nazione del Figlio di Dio; è un’apertura piccola e molto bassa tanto da essere chiamata la Porta dell’Umiltà, perché per entrarvi è necessario inchinarsi.C’è chi dice che venne fatta così al tempo degli Ottomani. Bisogna chinare il capo per oltrepassare la soglia e solo allora l’interno della basilica appare con tutto il suo splendore, ricca anche delle preziose suppellettili liturgiche tanto in uso presso i fedeli Ortodossi, a cui appartiene.

L’interno di chiara impronta ortodossa, è caratterizzato anche dalle splendide colonne in calcare rosso originarie della chiesa precedente. I raggi di sole che entrano dalle vetrate illuminano il pavimento sul quale

in alcuni punti è possibile ammirare i mosaici risalenti all’edificio primitivo. Questa basilica, come i tanti altri principali luoghi del cristianesimo, risulta oggi formata da una pluralità  di costruzioni, alcune eseguite su edifici preesistenti, che si sono aggiunte nel corso dei secoli, e non consentono una precisa identificazione dall’esterno né tanto meno dall’interno.
Edificata agli inizi del secolo IV dall’imperatore Costantino, fu rifatta due secoli dopo e  successivamente costantemente ritoccata e abbellita, soprattutto in epoca crociata; fatto singolare è che sia stata sempre rispettata, anche dagli invasori musulmani, che videro il grande mosaico rappresentante i Magi, posto sulla facciata del primitivo edificio, riconoscendovi i loro antenati.
I “pope”, sacerdoti di rito greco ortodosso, vigilano solenni sul rispetto dovuto alla casa di Dio, tanto da rimproverare persino chi si permette di sedere accavallando le gambe. “Terribile è questo luogo” sono le parole che la liturgia cattolica applica alle sue chiese, perché “è casa di Dio e porta del cielo”.
Le scarne notizie di Matteo e di Luca sulla nascita di Gesù non offrono indicazioni precise per conoscere l’ubicazione esatta del luogo in cui avvenne, né se si tratti di una delle numerose cavità naturali che si trovano nei pressi di Betlemme, o di un antro adibito a stalla, o di qualche locanda.
Il centro dell’attenzione e della devozione è però la piccola e nascosta grotta della Natività, situata sotto il presbiterio dell’altare principale: da secoli numerosi pellegrini si inginocchiano a baciare la stella d’argento che indica il luogo in cui, secondo la tradizione, vide la luce Gesù. Accanto vi è il ricordo della visita dei Magi e il luogo della mangiatoia. Sopra di essa sono appese quindici lampade ad olio, ognuna delle quali rappresenta una diversa confessione cristiana e, come in altri luoghi di questa “Terra di Dio”, fa un certo triste effetto dovere constatare la divisione dei cristiani. Spontaneamente sorge dal cuore l’invocazione di Gesù: “Padre, che siano una cosa sola”.
“Gloria a Dio nel più alto dei cieli e in terra pace agli uomini”: il canto degli angeli nella notte dalla nascita di Gesù viene ricordato anche dall’iscrizione posta sul pavimento, a cui fa eco un testo apposto nei pressi della basilica: “Oggi, nell’oscurità del nostro tempo, questo Bambino porta la luce al mondo”, quasi a dirci che non si tratta di un evento passato, ma di una meraviglia che si rinnova ogni giorno per chi sa ascoltare la semplicità e l’innocenza degli ultimi.
“Tornare lì, in quel luogo umile e angusto, non è un semplice itinerario ideale: è il cammino che siamo chiamati a percorrere sperimentando nell’oggi la vicinanza di Dio e la sua azione che rinnova e sostiene la nostra esistenza”: con queste parole Benedetto XVI, parlando agli universitari di Roma all’inizio della novena di Natale del 2010, invitava a entrare nello spirito della festa.
L’altare della Natività, nell’omonima grotta, è proprietà dei greci ortodossi, mentre alla sua destra una rientranza nella parete rocciosa, chiamata grotta dei Magi, offre ai sacerdoti cattolici la possibilità celebrare l’Eucaristia su un piccolo altare.
A questo si riferisce anche don Guanella quando, al ritorno del suo pellegrinaggio in Terra Santa del 1902, scrive: “Questa mattina dalle due alle cinque, unico tempo disponibile per celebrare [allora non era ancora permessa la concelebrazione], tutti i Sacerdoti qui convenuti offrirono il Santo Sacrificio sull’unico altare della grotta…”.
Le numerose cavità naturali, dovute alla particolare situazione orografica di Betlemme, hanno offerto a molti cristiani l’opportunità di ritirarsi in una vita di preghiera e di penitenza.
Accanto alla grotta della Natività e ad essa collegata si trovano, santificati da alcuni di loro, i luoghi  anch’essi visitati da don Guanella: “Visitai le grotte di San Giuseppe, di San Gerolamo, di Santa Eustochio e di altri Santi Padri”.
Secondo l’etimologia ebraica, “Betlemme” significa “casa del pane”; secondo quella araba invece significa ”casa della carne”. Per noi è bello accogliere tutti e due i significati, perché Colui che si è fatto carne come noi per salvarci, si è fatto anche nostro cibo per accompagnarci alla vita eterna: “Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”.

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