it IT af AF ar AR hy HY zh-CN ZH-CN en EN tl TL fr FR de DE iw IW ja JA pl PL pt PT ro RO ru RU es ES sw SW
×

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 62

Mercoledì, 08 Febbraio 2012 14:07

Il fiore della carità sul tronco rugoso della fatica

Rate this item
(0 votes)

di Graziella Fons

Accanto alla Basilica di San Pancrazio

opo tre anni di sofferenza e di sacrifici, finalmente, in una struttura che di nobile aveva solo il nome «Accademia degli Arcadi, Monte Parrasio» le Figlie di Santa Maria della Provvidenza entrarono nel convento di San Pancrazio nel febbraio 1907.  Anche il pedaggio per la nuova casa della carità fu assai pesante: è il prezzo da pagare per le opere di Dio. Per situazioni particolari  i primi tempi furono molto disagiati. Le condizioni igieniche dei locali, usati per anni come struttura di accoglienza temporanea per varie emergenze, erano veramente critiche.  Raccontano le testimonianze dell’epoca: «La sporcizia non è da dirsi, le povere Suore, la Superiora, dovettero con la paletta raschiar via l’unto. Tutti i muri furono lavati col sublimato. Gli operai che lavoravano nell’edificio della nuova sede la mattina venivano con i vestiti puliti e la sera dovevano andare a cambiarsi perché erano pieni d’insetti». Il lavoro di pulizia  fu immane e le suore si trovarono a dover riconquistare condizioni di civiltà metro dopo metro. Da prima furono sistemate due piccole stanze. Inoltre, bisognava fare spazio alle ricoverate: a quelle trasferite dalla Villa degli Arcadi se ne aggiunsero in breve le molte altre che cominciavano ad arrivare in virtù  di una convenzione  con la Prefettura di Roma. «Per prima cosa furono fabbricati i dormitori perché le ricoverate erano cresciute di numero.

Crescevano tutti i giorni. Quattro o cinque per giorno. Il trasloco da Bosco Parrasio fu lungo e faticoso, realizzato con mezzi di fortuna. Questo immane lavoro di facchinaggio avrebbe richiesto pasti abbondanti e nutrienti per reintegrare le energie consumate, invece  dal ricordo di chi ha vissuto quell’esperienza apprendiamo che il vitto «per quei giorni era pane e fichi secchi».
Don Guanella si appassionò subito a quella Casa tanto sognata, profuse tutto il suo entusiasmo, la sua fiducia nella Provvidenza e la sua passione per il bene da compiere. I lavori nel convento, man mano che si conquistavano spazi, facevano rapidamente progressi. Nel giugno 1907 la Casa era allacciata alla rete fognaria e in diversi settori era servita da acqua potabile. Intanto don Guanella, inesausto, scriveva a suor Marcellina Bosatta: «Ora sto concretando il contratto della ortaglia e il pagamento delle riparazioni che sorpassano le dodicimila lire e ad opera finita non  saremo lungi dalle 15.000 - Ma si è fatta la fognatura come a Santa Maria a Lora di Como e si è portata l’acqua potabile  a più punti e corredata la Casa delle cose più necessarie. Bisognerà che combini un mutuo e si provvederà al più presto e meglio che si possa». Il nuovo complesso voleva essere un’offerta della famiglia religiosa di don Guanella al papa, Pio X, per celebrare il suo giubileo sacerdotale e aggiungere alle tante benefiche istituzioni di Roma cattolica un’opera di carità che ancora mancava. Per questo su La Divina Provvidenza, con legittimo orgoglio, si scriveva: «Ma l’offerta principale del nostro ossequio sarà la casa di San Pancrazio in Roma, che ha l’onore e la gioia di fregiarsi del titolo di “Ricovero Pio X”. Un ricovero di mendicità non può urtare nessuno, neanche chi professi una religione contraria alla nostra, ovvero non ne professi alcuna, perché è naturale e doveroso nell’uomo compatire le miserie altrui e godere di porre ad esse un qualunque alleviamento o riparo. Dedicare un tale istituto al Vicario di Gesù Cristo è atto di fede e di amore che sappiamo altamente gradito al cuore del Pontefice, anzi del Padre di tutti quanti gli uomini. Quando il Santo Padre col suo amabile sorriso accettò che il ricovero si inaugurasse sotto i suoi augusti auspici, aggiunse con gentilezza e arguzia: “Sì, sì, immortalate il mio nome coi deficenti!”. Oh! Il papa li ama i poveri deficienti che infine sono senza colpa».
A sostenere gli sforzi di don Guanella e delle Figlie  di Santa Maria della Provvidenza nella gestione della casa continuava la sua opera lo stesso Comitato di signore dell’alta società romana che già si erano impegnate nella fase di permanenza al Bosco Parrasio. Un primo importante impegno per il Comitato fu quello di coltivare e gestire  i rapporti con Prefettura e Ministero degli Interni per ottenere al Ricovero Pio X il riconoscimento di «struttura  accreditata».
La contessa Luigia Canessa, segretaria del Comitato della nuova istituzione, scrisse alla Prefettura il 28 febbraio 1907 avvertendo che il ricovero precedentemente situato ai piedi del Gianicolo era stato trasferito nel’ex-convento di San Pancrazio e avvertiva che la capacità di accoglienza si era, quindi, ampliata notevolmente. La Prefettura inoltrò al Ministero dell’Interno la richiesta della contessa Luigia Olivari per nuove concessioni; nella relazione la Prefettura notificava al Ministero di aver assunto le opportune informazioni e concedendo il parere positivo con questa attestazione: «Considerando che la Pia Istituzione adempie lodevolmente al compito che si è prefisso, e ha integrato una forma speciale di beneficenza la quale faceva difetto nella nostra Provincia, e poiché la retta domandata si appalesa tenue in confronto delle spese che la benefica istituzione deve sostenere per l’assistenza e cure speciali delle deficienti ivi ricoverate, questa Prefettura esprime parere favorevole per l’accoglimento dell’istanza».
La lettera del Prefetto attestava che sin dal suo sorgere il Ricovero Pio X  rappresentava una risorsa notevole per la città di Roma, riempiva un vuoto doloroso, godeva di una buona reputazione e forniva un servizio importante alla cittadinanza.

Read 1429 times Last modified on Mercoledì, 05 Febbraio 2014 15:20

Leave a comment

Make sure you enter all the required information, indicated by an asterisk (*). HTML code is not allowed.