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Mercoledì, 14 Marzo 2012 12:32

Il Quartiere Trionfale agli occhi di don Guanella

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di Fabio Pallotta

Roma d’altri tempi

Roma si sviluppò in un modo anomalo rispetto alle grandi capitale europee. Roma restò legata in parte all’agricoltura, ma riversando le proprie attenzioni al commercio, all’accoglienza dei pellegrini e al piccolo artigianato.

Quando don Guanella si accinse a costruire la Basilica del Trionfale già conosceva Roma da oltre vent’anni e la vedeva ogni volta più grande, più popolata; allo stesso tempo gli appariva sempre più povera e allo sbando, culturalmente, socialmente e anche religiosamente.
Di fatto se all’indomani della sua proclamazione a Capitale contava 244.000 abitanti, negli anni in cui acquista il terreno ai Prati di Castello, la popolazione dell’urbe è già più che raddoppiata fino ai 532.000. Aumento dovuto alla natalità e all’immigrazione: da tutte le regioni si puntava a Roma e arrivavano funzionari, impiegati, muratori, fornai, autisti, commercianti; ma anche gli uomini della campagna tentavano il salto, il colpo di fortuna. Non mancavano anche i nobili, i benestanti, i professionisti sui quali il richiamo della ‘capitale’ esercitava una forte suggestione.

Si parla di ‘febbre edilizia’ in tutti i libri di storia: uno degli affari più redditizi del nuovo Regno d’Italia fu certamente quello di ‘ingrandire Roma’ e la fisionomia dell’urbe cambiò molto al di là di ogni previsione; nuovi quartieri sorsero in pochi anni, spesso privi di servizi. Ai 17 quartieri segnalati nel censimento del 1901 se ne aggiunsero in quegli anni altri 15, tra cui il Trionfale, che di lì a poco avrebbero assorbito tutto lo sviluppo della città.     Economicamente Roma si sviluppò in modo anomalo perché mentre tutte le città d’Europa divennero grandi grazie all’industrializzazione, Roma ne restò sempre carente; si abbandonava l’agricoltura e ci si metteva nei campi del commercio, dell’attività di accoglienza dei turisti e dei pellegrini, nel piccolo artigianato, negli ospedali, nelle concerie e soprattutto nella macchina amministrativa.
La situazione abitativa era precaria; immigrati delle varie regioni vivevano per lo più in baracche o in case popolari, non meno di 12 persone di più famiglie riunite in case di magari tre stanze. Case senz’ordine, umide, senza luce e senza aria, su strade strette, non ancora selciate, piene di fango.
Lavoravano gli uomini e anche le donne, con conseguenti problemi di moralità e di scompagine delle famiglie; bambini lasciati sulle strade, anziani trascurati, disabili vaganti e fatti scherno dei piccoli bulli o degli ubriachi. Sì, uno dei problemi più consistenti era l’alcool: il vino rappresentava un simbolo. Chi beveva sarebbe stato più forte ad affrontare le prove della vita, donne e bambini compresi e l’alcoolismo era favorito dalla denutrizione e dalla malnutrizione.
Nel 1904 il Papa Pio X aveva indetto la Visita Pastorale alla città, afflitta dal male della massoneria infiltrata nelle pubbliche amministrazioni, servita da un clero scadente e in un fermento ingovernabile di presenze, di arrivi, di partenze. C’era da riprendere in mano la predicazione e la catechesi molto trascurate e da ridare un’anima ad una pastorale sacramentale molto sciatta. La città fu riorganizzata attraverso una vera rivoluzione: si soppressero 15 parrocchie del centro storico e se ne crearono 16 nella cinta extra-daziaria.
Il numero rimaneva quasi invariato, da 58 a 59, ma nella sostanza tutto cambiava: con lungimiranza Pio X investiva personale e risorse economiche nella periferia che era quasi terra di missione.
Tra le nuove Parrocchie sarebbe stata annoverata anche quella di San Giuseppe a Porta Trionfale in cui sarebbero state trasferite le rendite dell’ex parrocchia di San Marcello, soppressa.  

 

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