Il Rosario consiste essenzialmente nella meditazione di alcuni episodi del Vangelo, scandita dalla recita del Padre Nostro e delle Ave Maria. Questi episodi sono detti “misteri” e già qui dovremmo fermarci: non si tratta infatti di semplici fatti accaduti tanti anni fa, ma di realtà che mostrano visibilmente il Dio invisibile, quello che Lui ha amato, voluto, mostrato di sé stesso e che ci è stato reso manifesto in Gesù Cristo. A questi fatti noi siamo continuamente resi presenti: infatti non “rimangono lì”, chiusi nel loro passato, ma continuano a sprigionare da sé significati che continuamente ci interpellano e a produrre in noi gli stessi effetti di grazia che ebbero in quelle persone che ne furono protagoniste e contemporanee. Per questo sono detti appunto “misteri”, cioè segni efficaci, capaci di operare in noi che li contempliamo.
Mi pare che anche Maria, e a maggior ragione, potrebbe dire quel che dice l’evangelista Giovanni all’inizio della sua prima lettera: “ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato […] quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi” (1 Gv 1-3). Il Rosario è essenzialmente questo: vedere, udire, ascoltare, toccare con mano Dio Padre, come si rivela a noi in Gesù, perché chi vede il Figlio vede anche il Padre. Lo Spirito poi ci rende contemporanei al fatto o mistero che contempliamo. Capite dunque che per questo il Rosario è una preghiera che richiede un ritmo pensoso, un lento indugiare, un “sentire e gustare” le cose di Dio; al contrario, purtroppo spesso è detto velocemente e quasi di corsa, e così non va, perché diventa un chiacchiericcio e un brusìo insignificante. Dobbiamo, come singoli e come comunità, re-imparare a pregare con il Rosario in modo attento, degno e devoto. Per questo, quando enunciamo un mistero, possiamo anche fermarci, prima di recitare le preghiere, e stare in silenzio, o leggere ed ascoltare la pagina della Scrittura richiamata.
E’ meglio recitare solo una decina, ma farlo bene e con frutto, che una corona intera, correndo e non facendo attenzione a quel che diciamo. D’altra parte, è vero che non dobbiamo nemmeno cercare chissà quali voli intellettuali o elevazioni mistiche: basterà domandarsi “che cosa significa questo mistero per me, in quel che sto vivendo?”. S. Ignazio, il fondatore dei gesuiti, ci dice che è sufficiente trarre dalla contemplazione dei misteri “qualche frutto”, non tutti i frutti possibili e immaginabili; ogni mistero, come vedrete, contiene in sé una grazia, e dunque un frutto particolare, e lo Spirito ce lo rivelerà. Anzi, ce ne rivelerà molti, come vedrete proseguendo la preghiera quotidianamente. Sarà una sorpresa vedere come dietro poche righe di Vangelo stanno scritte molte cose. La recita delle preghiere è come il tempo che passa: mentre le labbra si muovono, prima nella preghiera che il Signore stesso ci ha insegnato, e che possiamo fare con maggior calma, pensando alle parole che diciamo, e poi benedicendo Gesù e Maria nella salutazione angelica e raccomandandoci a lei ora e nell’ora della nostra morte, la mente e lo sguardo interiori rimangono nel mistero contemplato.
Naturalmente, non è possibile evitare le distrazioni: si tratta non di raggiungere una fissità impossibile, ma un “sostare” in quel che abbiamo veduto, ascoltato, contemplato, quasi rimanendo in lui. Al termine, il Gloria ci riporta alla lode della Trinità, di Dio Padre come si è a noi rivelato nel Figlio, e allo Spirito, che ci ha ricordato, nella preghiera trascorsa, le sue parole. Nei prossimi mesi ci soffermeremo su tutti e singoli i misteri, per fornire quasi una traccia di preghiera e un sussidio.