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Giovedì, 22 Dicembre 2011 10:01

La carità, intelligenza creativa Featured

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Lettera aperta del Postulatore Generale don Mario Carrera



All’indomani della canonizzazione di don Guanella, con solennità, nella basilica di San Pietro è risuonata la pagina evangelica di Matteo 25, in cui la fame dell’uomo è identificata con la fame di Dio.
Mi sembra di leggere in questa concomitanza un invito provvidenziale a continuare con una nuova tensione e rinnovato entusiasmo sul cammino tracciato dal solenne magistero della Chiesa con il rito della canonizzazione.
Nella filigrana disegnata dalla Provvidenza in questo avvenimento, dalla larga ed entusiasta partecipazione dei pellegrini al rito, dall’eco  riservato all’avvenimento dai mezzi della comunicazione, si è avuta l’impressione di cogliere un pressante invito del Fondatore a guardare con maggior determinazione il ventaglio di povertà che la società attuale ci mette di fronte sia sul piano spirituale come in quello sociale.
Il Santo Padre ci ha ricordato che «don Guanella, guidato dalla Provvidenza divina, è diventato compagno e maestro, conforto e sollievo dei più poveri e dei più deboli […] Premurosa attenzione poneva al cammino di ognuno, rispettandone i tempi di crescita, coltivando nel cuore la speranza che ogni essere umano, creato ad immagine e somiglianza di Dio, gusta la gioia di essere amato da lui – Padre di tutti – e può trarre e donare agli altri il meglio di sé».  
Più che mai in questa circostanza «Il meglio di sé» è richiesto a noi discepoli di questa profezia di carità.

Abbiamo celebrato la canonizzazione con lo slogan «La santità salverà il mondo»,  una verità che oggi è il filo conduttore del magistero dell’attuale pontefice e che merita di diventare respiro naturale del nostro vivere a servizio dei poveri, seduti sui gradini della scala delle sei tipologie di poveri  dei quali parla l’evangelista Matteo al capitolo 25 del suo vangelo.  Quei poveri sono la carne di Dio che ritorna in paradiso.  La fame del povero, le sue lacrime, la sete, la malattia, le infermità sono ferite brucianti nella stessa carne di Dio. La santità, praticata da don Guanella, è consistita nel tentare di far brillare, con passione, costanza e in spirito di servizio, la luce di Dio dentro le pieghe del disagio del vivere.
Tutti siamo consapevoli che la santità è il respiro della vita e traspare dalla luce della nostra testimonianza, quale «segno» e «strumento» di Cristo stesso presente nella nostra storia quotidiana.
L’esperienza, però, ci avverte del pericolo di consumare la vita nel «fare», correndo il rischio di frammentare la nostra attività, rendendola opaca, incapace di creare una trama in un tessuto evangelico, capace di coinvolgere collaboratori laici e così creare relazioni reciproche, motivate e profonde.
Tutti costatiamo che nel nostro momento storico la povertà più perniciosa è la frammentazione del nostro «io», incapace di gratuità e fasciato da una creatività personale e isolata che sente e vive i legami comunitari come limitazione dei propri carismi e della libertà di iniziativa.
Il traguardo di questa frammentazione è la stagnazione: non si riesce a vivere i doni e i talenti come in un arcipelago variegato, ma si diventa isole circondate da acque stagnanti.
E’ fuori dubbio che la canonizzazione, voluta da Dio in questa stagione della nostra storia di congregazioni, in un momento di forte espansione, è l’occasione per un sussulto di generosità e un pressante invito a passare da un agire nel guscio della tradizione a operare per una maggior «convinzione»; una convinzione radicale di essere chiamati giorno dopo giorno, a un servizio ai poveri, motivata alla sorgente della preghiera così da disporre la nostra fede all’ascolto della voce di Dio che si fa grido dei bisognosi nelle realtà sociali dei diversi continenti in cui viviamo.
In una società, troppe volte «esausta»,  è necessario recuperare l’ottimismo di Dio, essere consapevoli di essere portatori di luce in un mondo fasciato di nebbia. Questo vale soprattutto per le giovani generazioni: giovani costretti a vivere nel nostro mondo occidentale senza presente e senza futuro. Vale per il mondo  degli adulti lacerati da preoccupazioni finanziare, educative, relazionali.  E’ di attualità per  gli anziani, parcheggiati in angoscianti solitudini. Tutte queste realtà ci inducono a ritenere che sia giunto il momento forte di mettere «il Dio che fa» al centro della nostra vita di consacrati, un centro pulsante, un’energia in costante tensione verso la motivazione della gratuità del dono ricevuto da regalare al prossimo bisognoso.
A San Paolo fuori le mura, alla vigilia della canonizzazione, abbiamo vegliato e pregato sul tema «Amati, scelti, inviati». La consapevolezza di un dono che non è altro che il frutto di un’interiorità che affiora.
Per dare una parola di concretezza alla voce dei desideri, il gruppo di persone che ha lavorato, condiviso con il postulatore, la speranza della buona riuscita dell’evento della canonizzazione, sottovoce, ma con ferma consapevolezza  suggerisce che ogni discepolo del carisma di San Luigi Guanella si scelga un prossimo nelle sue vicinanze e s’interroghi non solo sui problemi del mondo, ma sulle condizioni di vita di chi ci è davvero «prossimo»: il vicino nella comunità, il vicino nella vita pastorale, il vicino che bussa alla porta, lo sfrattato, il divorziato, l’handicappato, il carcerato, genitori di figli con problemi, gli adolescenti, gli ammalati, gli anziani, insomma,  tutte le persone  indicate nella scala  delle opere di misericordia corporali e spirituali.
Era nostro desiderio che la canonizzazione fosse immortalata con un’opera concreta di carità. Questo non è stato possibile, non era nei progetti di Dio.
Per merito degli iscritti alla Pia Unione di san Giuseppe si è condiviso il pranzo nel giorno della canonizzazione, offrendolo a migliaia di assistiti nella nostre case «in terra di missione», il necessario per la gioia di un pranzo partecipato.
Vorremmo che l’evento della canonizzazione ponesse l’accento su una realtà, sottolineata anche nella presentazione del cardinale Prefetto, Angelo Amato, al Santo Padre in Piazza San Pietro, qual è la Pia Unione del Transito di San Giuseppe. E’ un’intuizione spirituale del Fondatore, più che mai urgente e necessaria, un convergere di preghiere, una «crociata» di  cordiale attenzione alla povertà più radicale della condizione umana, qual è la morte.  Per questo auspichiamo che in tutte le nazioni dove è presente l’Opera don Guanella si istituisca una filiale della  Primaria Pia Unione del Transito, in modo che si incentivino le persone a pregare per i morenti del mondo.   
Tra le proposte in cantiere per la Pia Unione su queste problematiche, è preventivato un convegno su «L’elaborazione del lutto» per il 2013, centenario della stessa Pia Unione.
Un impegno di collaborazione con i cappellani della carceri per la diffusione della buona stampa nelle strutture penitenziali di quattro città italiane: Milano, Roma, Napoli, Messina (per la vicinanza con la nostra parrocchia) o Palermo.
Attraverso le nostre suore abbiamo chiesto di poter acquistare 200 Nuovi Testamenti in lingua rumena da distribuire nelle carceri di Roma.
Il nostro passato è un granaio di bene compiuto, ma soprattutto il nostro futuro è un campo sterminato di bene da compiere.
Molti mi hanno chiesto il contenuto del colloquio del Papa con il postulatore nel giorno della canonizzazione. Benedetto XVI mi ha detto «Voi fate tanto bene continuate su questa strada. Continuate a fare tanto bene».
Il bene da compiere ha mille volti, per questo la strada tratteggiata dalla carità si appella alla nostra fede, all’intelligenza e alla creatività.
La canonizzazione di don Guanella è stato un evento unico e singolare per una congregazione, una pietra miliare che segna un percorso e rimanda con energia e forte tensione verso una meta futura.
Le intuizioni carismatiche e profetiche del nostro Fondatore, sparse nei suoi scritti e testimoniate dalle sue opere sono il patrimonio del nostro passato. Alla storia si aggiungono anche le esperienze caritative in Italia e nei diversi continenti del pianeta. Questo patrimonio di amore spinge la nostra generosità ad ascoltare il gemito dei nuovi poveri che si affacciano alla ribalta della nostra storia contemporanea. Le povertà, come le stagioni, cambiano volto secondo i contesti culturali, economici e ambientali, per questo è necessario invocare la luce divina per saper leggere nel calendario di Dio l’«ora della misericordia».
Allora lo Spirito Santo, datore di ogni bene, «Padre dei poveri  e luce dei cuori» ci liberi dal nostro spirito borghese, fecondi con l’acqua zampillante le nostre aridità, riabiliti le nostre energie a risanare le ferite della vita e faccia risuonare nel nostro servizio ai poveri la gioia del dono di sé al prossimo sofferente.

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