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Giovedì, 16 Giugno 2011 14:51

Il santo vive la santità come condivisione di valori Featured

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di Enrico Ghezzi

L’occasione della canonizzazione di don Luigi Guanella, ci spinge, piacevolmente, a chiederci: che cos’è la ‘santità’? Una risposta semplice e immediata, che possiamo spiegare anche ai nostri bambini, può essere: ‘santi’ sono coloro che ‘seguono’ Gesù, perché hanno ‘ascoltato’ la sua parola.  Infatti le comunità dei primi cristiani, secondo l’uso in S. Paolo, erano chiamati santi: «A tutti quello che sono a Roma, amati da Dio e santi  per chiamata» (Rm 1,7; At 9,13-15; 1Cor 1,2; Ef 1,1). Qui, nel NT come già nell’At con la chiamata di Abramo nel quale sono ‘benedette tutte le nazioni’, la santità è preceduta dalla ‘chiamata’ alla sequela di Gesù: i primi cristiani venivano così indicati perché, attraverso il ‘battesimo’, che è la chiamata alla fede, i cristiani erano stati ‘illuminati e santificati dallo Spirito Santo’.

Come poi spiegherà ancora  l’Apostolo nel cap. 5, ai Galati, lo Spirito Santo ci dona la grazia di una vita santa, alla sequela di Gesù.
Possiamo perciò dire che la storia del cristianesimo, in questi venti secoli di esistenza, è la ‘storia’ di un popolo che segue la chiamata di Gesù ed è santificato dal suo Spirito: dagli apostoli ai martiri, dai Padri apostolici ai padri della chiesa, da Francesco a Chiara, a Teresa di Calcutta fino ai santi della nostra epoca. Germi di santità sono cresciuti in questa nostra umanità, sia pure in un  intreccio di peccato e di male, capace tuttavia di lasciarsi ispirare, in ogni epoca, dai valori del vangelo spesso vissuti anche da uomini di religione e cultura diverse, ma aperti all’azione dello Spirito.
Questo divenire e spiegarsi della santità nella storia, dà senso al titolo di questo scritto. Il Concilio Vat. II, nei suoi straordinari documenti, si è spesso interessato alla testimonianza della santità: di fatto, il senso ultimo del vangelo, nel quale il Concilio ha cercato di affondare le radici, non è altro che il tentativo di annunciare al mondo il progetto di Dio, per dare senso e valore alla propria esistenza. Cosa saremmo noi uomini, se ci mancasse questo progetto di Dio nascosto fin dalla creazione del mondo e sviluppato nella salvezza operata da Cristo? Tra creazione e salvezza, si snoda la storia dell’umanità, della sua vita civile, del suo lavoro, della famiglia, della procreazione e del progressivo sviluppo scientifico e sociale. Di tutto questo il Concilio si è fatto carico, aprendo alla chiesa e al mondo una prospettiva di speranza.
Per quanto possa sembrare un tema riferito soltanto allo svolgimento della Liturgia nella Chiesa, come è definita la Costituzione Sacrosantum Concilium, già qui ci sono radici che spiegano non soltanto il senso del nostro rapporto con Dio, la preghiera, la santità, la lode ecc., ma anche la necessità che sia il valore spirituale a dare senso al nostro agire.
Voglio dire che la ‘santità’ è, innanzitutto, una condivisione di ‘valori spirituali’ che tendono a formare una condivisione di valori umani, sociali, solidali. Il Concilio, afferma fin dall’inizio di questa Costitu­zione, è alla ricerca «di contribuire all’unione di tutti i credenti in Cristo, di rinvigorire ciò che giova a richia­mare tutti nel seno della Chiesa» (S.C., 1): c’è dunque, alla base del nostro sentirci cristiani, una esigenza  di solidarietà spirituale, che nasce dalla nostra fede comune in Cristo: perché i cristiani siano testimoni nel mondo e di fronte agli altri (cfr. 2), bisogna che ci sia una profonda solidarietà di fede in Cristo Gesù, che viene vissuta soprattutto «nel divino mistero dell’Eucaristia» (2). Perciò, le opere ‘visibili’, le realtà terrene, le azioni della nostra vita quotidiana, come la carità, l’amore ai poveri, la lotta per la giustizia, tutto ciò che è ‘concreto’, è frutto di una azione divina interiore: «In modo che tutto ciò che in lei (nella Chiesa) è umano sia ordinato al divino, il visibile all’invisibile, l’azione alla contemplazione…» (S.C.,2). è in questa concezione antropologica cristiana, che dobbiamo cercare le motivazioni del nostro agire nel mondo e nella società: se l’apparire delle realtà materiali può sembrare fugace, se il tempo della Chiesa, le sue vicende  a volte dolorose, possono farci prefigurare l’idea di una fragilità del nostro sistema di fede, dove nascono dubbi, incertezze, allontanamento di nuove generazioni dalla Chiesa stessa, bisogna allora avere la grazia di tornare alla radice dei valori che hanno costruito venti secoli di storia cristiana: e non per niente, la prima solenne dichiarazione del Concilio, è stata quella di iniziare dalla ‘fonte’ dell’esistenza cristiana, cioè il ritorno a Cristo glorioso nel quale c’è l’essenza stessa della Chiesa: «I fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura vera Chiesa…» (ibid.).
C’è una solidarietà che è il fondamento della nostra esistenza cristiana e umana,  su cui poggia il progetto di Dio, nel quale ognuno di noi è chiamato a donare se stesso con generosità; la Liturgia che non è un evento individuale ma un concerto di comunione corale di lode al Signore, quando viene celebrata ogni domenica nell’Eucaristia, rinnova nel popolo e nel mondo i valori di condivisione alla salvezza di tutte le genti. Penso che non ci sia maggiore progettualità per la nostra umanità, che riscoprire la bellezza e l’originalità dell’opera di Dio nella nostra storia.
La Costituzione Sacrosantum Concilium afferma infatti questo progetto ricordando la lettera a Timoteo (1 Tm, 2,4) e l’inizio della lettera agli Ebrei (1,1): «Quando venne la pienezza dei tempi, (Dio) mandò suo Figlio, Verbo fatto carne, unto di Spirito Santo, ad annunziare ai poveri la buona novella, a risanare i cuori affranti… Infatti la sua umanità, nell’unità della persona del Verbo, fu strumento della nostra salvezza» (S.C., 5). Nella santità «del Verbo di Dio fatto carne» (Gv 1,14), affonda  la possibilità della nostra santità per santificare il mondo.

 

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