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Giovedì, 06 Settembre 2012 11:06

La grazia della liturgia nel tempo d'autunno Featured

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di Madre Anna Maria Cánopi

Come la natura in autunno si riveste a festa con il suo abito dai variegati colori, e dà gioia ai cuori offrendo gli alberi carichi di frutti maturi e le vigne pronte per la vendemmia, così anche la Chiesa nei mesi di settembre e ottobre ci offre un calendario liturgico ricco di bellissime feste, particolarmente care al popolo cristiano.
Proprio all’inizio di settembre, ecco la festa della Natività di Maria. Un’antifona della liturgia così si esprime con una bellissima melodia gregoriana: «La tua nascita, o Vergine Madre di Dio, ha annunziato la gioia al mondo intero, perché da te è nato il Sole di giustizia: Cristo nostro Dio. Egli è colui che ha tolto la condanna e ha portato la grazia. Ha vinto la morte e ci ha donato la vita». Motivo della gioia di questa festa è, dunque, l’opera della salvezza che Dio ha compiuto.  Per attuare il suo disegno, egli ha voluto servirsi di una donna, di una creatura umile e semplice, preparata per dare alla luce il Cristo salvatore. Maria è l’Aurora piena di speranza del Giorno nuovo che più non conosce tramonto, nel quale già siamo entrati, in speranza, e verso il quale camminiamo, saldi nella fede e sospinti dall’amore.

Grazie a lei che, piena di grazia e senza macchia di peccato, ha riportato nell’umanità la bellezza originaria, il sorriso di Dio risplende di nuovo nel mondo. Per questo la liturgia bizantina invita tutti alla gioia: «Dalla radice di Jesse e dalla stirpe di Davide nasce per noi la fanciulla Maria e tutto il creato è rinnovato e divinizzato. Rallegratevi insieme, cielo e terra; lodatela, tribù delle nazioni. Si rallegri il cielo ed esulti la terra».
Nel faticoso pellegrinaggio che è la vita terrena, la santa Vergine è perciò sempre accanto a noi, per sostenerci e custodire viva in noi la luce della speranza. Ci è vicina quale Madre che possiamo sempre invocare, come ci invita a fare la bella memoria liturgica del Nome di Maria il 12 settembre; Madre di tenerezza che ben conosce l’umano patire. Troviamo, infatti, nel mese di settembre, altre due feste che ci aiutano a sempre riscoprire e “ricordare” il significato e il valore dell’umana sofferenza, da cui scaturiscono la salvezza e la gioia: la festa dell’Esaltazione della Croce (14 settembre) e la memoria della B. Vergine Maria Addolorata (15 settembre).
Là sul Calvario, dove scendono le tenebre, il volto addolorato e dolcissimo della Madre è l’unica luce di conforto che risplende presso il cuore squarciato del Figlio. In lei si manifesta la “divina” pietà, in lei si fa presente il cuore tenerissimo del Padre per il Figlio prediletto immolato a salvezza di tutti i figli feriti a morte dal peccato.
Al “sì” dell’amore più grande, testimoniato da Gesù nell’ora della sua morte, corrisponde il “sì” di Maria che comporta il più grande dolore, ma che diviene fonte di grande consolazione.
Dall’alto della Croce, Gesù fa la sua ultima consegna: «Donna, ecco il tuo figlio… Figlio, ecco la tua madre» (Gv 19,26-27). In questo ultimo dono di Gesù viene dichiarata la missione di Maria per l’umanità fino alla fine dei secoli.
L’apostolo Giovanni, affidato da Gesù alla Madre e ricevutala in consegna, da quel momento la prese con sé. Là sul Calvario è già in atto il mistero della Chiesa: mistero di “comunione”. E noi tutti eravamo presenti a quella suprema consegna. Eravamo là anche noi con Maria per essere con il Signore, nella com-passione e nell’offerta totale, per essere partecipi delle sofferenze dei fratelli, nostri compagni di viaggio.
Il sacrificio di Cristo consumato sul Calvario, si rinnova ogni giorno nella celebrazione della Messa e deve continuare lungo la giornata.
Queste feste ci stimolano a non essere smemorati della nostra vocazione di cristiani, a non vivere ad un livello puramente istintivo, naturale, in balia della corrente e della mentalità mondana, ma a “considerare” attentamente le situazioni che costituiscono l’esistenza quotidiana per viverle con fede e dare il nostro contributo all’opera della salvezza universale.
Ad illuminarci, guidarci e custodirci nelle vie della vita, il Signore ci manda anche i suoi angeli, i suoi fidati messaggeri, che la Chiesa celebra il 29 settembre nella festa dei Santi Arcangeli Gabriele, Michele e Raffaele e il 2 ottobre nella memoria dei Santi Angeli custodi.
Per alcuni sentir parlare di angeli è come scivolare nel mondo delle fiabe, ma per altri, per noi, è come dare espressione ad una esperienza semplice e quotidiana della loro vita. Ciò dipende dal modo di guardare le cose, di leggere gli avvenimenti. Tutto cambia se c’è la fede.
C’è infatti una creazione materiale che vediamo con gli occhi corporei, ma c’è anche una creazione invisibile – eppure realissima – che possiamo percepire presente solo con i sensi spirituali, mediante la fede, la preghiera, l’illuminazione interiore che ci viene dallo Spirito Santo.
Chi sono, dunque, gli angeli? Essi sono innanzitutto per noi un segno luminoso della divina Provvidenza, della paterna bontà di Dio, che nulla di necessario lascia mancare ai suoi figli, anzi, dà in sovrabbondanza: intermediari tra la terra e il cielo, gli angeli sono creature spirituali e invisibili messe a nostra disposizione per guidarci nel nostro cammino di ritorno alla casa del Padre. Essi vengono dal cielo – cioè da Dio – per ricondurci al cielo e per farci pregustare fin d’ora qualcosa delle realtà celesti.
La custodia degli angeli può essere sperimentata talvolta anche in modo molto concreto e sensibile, purché la si sappia riconoscere. Si tratti di incontri “casuali” (che diventano però fondamentali e determinanti nella vita di una persona) o di un aiuto improvviso e insperato che si riceve in una situazione di pericolo; o ancora di un’intuizione improvvisa che permette di accorgersi di un errore, di una dimenticanza… Come, in queste circostanze, non sentirsi guidati, protetti e amabilmente soccorsi? Davvero, gli angeli non sono da relegare nel mondo delle favole. Essi sono presenze reali e ci proteggono da tanti pericoli di cui nemmeno ci accorgiamo; soprattutto dal pericolo di diventare empi, di non ascoltare il Signore e di non obbedire alla sua Parola. Gli angeli ci suggeriscono sempre pensieri retti e umili, sentimenti buoni; ci rendono capaci di compiere in ogni istante la volontà del Signore. Purtroppo ci sono anche altri spiriti che si avvicinano a noi per sedurci, per distoglierci dal bene e tentarci al male spesso camuffandolo dietro ad apparenze lusinghiere, per separarci da Dio.
Gli angeli santi sono invece al nostro fianco per “educarci”, cioè per condurci fuori dalle angustie del nostro “io” orgoglioso e introdurci in Dio, nei suoi pensieri, nei suoi sentimenti. Se ci affidiamo a questi invisibili compagni di viaggio, da loro impariamo ad amare Dio, perché a Lui i loro occhi sono sempre rivolti (cf. Mt 18,10). Non sono soltanto custodi dei bambini, ma a loro è affidata ogni persona, ed anche ogni comunità, ogni famiglia, ogni città e nazione.
Se coltiviamo la devozione agli angeli custodi, diventiamo sempre più consapevoli e memori di essere cittadini del cielo e siamo spinti a comportarci in modo da essere graditi a Dio e a tutti coloro che sono già in Lui, che godono del suo amore e contemplano la sua gloria.
Ognuno di noi potrebbe testimoniare d’aver sperimentato la presenza degli angeli almeno in qualche particolare momento della sua vita. Mi piace riportare qui un suggestivo ricordo di un sacerdote scrittore del secolo scorso.
«Mi contava un santo sacerdote (qualcuno c’è ancora) che proprio il giorno degli angeli custodi, celebrando nella sua chiesetta di San Giovanni al Fonte, con assistenza di fedeli, gli accadde di sentire per tutto il tempo della Messa un vasto frullar d’ale, né sapeva donde venisse. Pensò trattarsi, come fosse cosa naturale, d’una adunata d’angeli (il suo e quello dei presenti) che recitavano la Messa insieme a lui. Non ho mai udito un racconto più stupendo di questo, né che m’abbia data maggior commozione. Se non fosse quella provata una volta, quando, capitato sul fare della sera presso la soglia di una vecchia Abbadia, da quei monaci gravi sentii cantare l’Ora di Compieta; e dalla voce del padre priore intesi l’orazione finale che è un inno agli angeli: “Visita, o Signore, questa tua abitazione, e allontana le insidie degli spiriti mali; i tuoi angeli abitino in essa, e la custodiscano in pace”. In quel momento, sotto il suono dell’ultima campana, mi parve di vedere tanti angeli che, uscendo dall’alto, si raccoglievano in tutte le famiglie come l’ultima benedizione della giornata. E tornato alla mia camera nuda come cella, chiudendo l’uscio e accostando gli scuri, tremavo dalla gioia che mi dava il sapere, quasi anzi il vedere, che ci avevo rinchiuso un angelo proprio tutto per me» (Cesare Angelini, Discorso con l’Angelo).
Questa non è da considerarsi un’esperienza rara, ma normale e quotidiana per il cristiano. Non dice la Scrittura: «Voi vi siete accostati a miriadi di angeli» (Eb 12,22)? Inoltre, non dovremmo mai dimenticare che noi stessi possiamo compiere gli uni verso gli altri un servizio simile a quello degli angeli e farci buona compagnia lungo il cammino della vita per giungere insieme a contemplare il volto di Dio.

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