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Venerdì, 01 Giugno 2012 10:12

Da Baveno a Roma per via fluviale

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Basilica di San Giuseppe al Trionfale con la pietra rossa

di Fabio Pallotta

Quando le descriveva si illuminava. Vivace e colorito nel parlare il nostro don Guanella lo era sempre stato, ma quando l’accenno cadeva sulle colonne di Baveno della sua chiesa di San Giuseppe si sprecavano gli aggettivi: maestose, bellissime, perfette…
Dovettero essere davvero di un colpo d’occhio esclusivo quelle dieci colonne del famoso ‘Rosa di Baveno’ o ‘Rosso di Baveno’. Fu l’amico romano, l’architetto Aristide Leonori, a consigliarle per l’erigenda Basilica di San Giuseppe a Porta Trionfale; don Guanella degli amici si fidava, li conquistava quasi rendendone impossibile il tradimento, ma si fidava.
Per la sua ‘creatura’ di Roma non erano mancate e non sarebbero mancate in seguito le solite voci che accompagnano le opere grandi: pettegolezzi e insinuazioni di ogni varietà. Dove prende i soldi? Ma che schiaffo alla povertà! E crede di stare a Milano? Vuole venire a dare lezioni in Capitale?
Più o meno arrangiate le battute del sottobosco ecclesiastico erano intorno a questi temi abbastanza miserabili che però, da che esiste il mondo, trovano sempre apostoli zelanti.

Aristide Leonori aveva già utilizzato quel granito nella bella Cattedrale egiziana di San Giuseppe, al Cairo, iniziata nel 1904 e pronta per essere inaugurata proprio intorno al marzo 1909 quando don Guanella realizzava al Trionfale la posa della prima pietra.
Il Rosso di Baveno è un marmo di colore bianco-rosa che si estraeva nelle omonime cave ubicate a monte dell’abitato di Baveno. Si tratta di roccia magmatica appartenente ai cosidetti ‘Graniti dei Laghi’ che affiorano sulla sponda occidentale del Lago Maggiore. La diffusa occorrenza di ossido di ferro Fe2O3 regala a questo granito la suggestiva colorazione bianco rosa,  con punteggiatura nera. A dargli fama, grazie ad un privilegio concesso nel secolo XIV da Giangaleazzo Visconti, fu la dedicazione del granito di queste cave alla Fabbrica del Duomo di Milano.
La grana media e la notevole compattezza, oltre all’affiorare del quarzo, a schegge, ne facevano un granito imponente e al tempo stesso delicato, elegante. Don Guanella aveva sempre manifestato un certo interesse per l’elemento ‘colonna’ nella costruzioni delle sue chiese, primo tempio della Casa Madre in Como, il suo Sacro Cuore, alla bella chiesa del rinato villaggio di Olonio, dopo la bonifica realizzata nel Pian di Spagna, in Valtellina.
Il suo contatto per provvederne la chiesa di Roma fu Anacleto Cirla, dell’antica famiglia di artigiani scalpellini, che avevano dato origine a un’attività commerciale e artigianale a Monza nei primi dell’ottocento iniziando una “sostra” (deposito con tettoia per la lavorazione delle pietre) e, nel 1847, avevano acquistato a Milano la sostra sita strategicamente nella cosiddetta Ripa di Porta Ticinese. Infatti il Cirla aveva acquistato le cave del granito di Baveno, il cui trasporto di materiali avveniva tramite gli imbarchi di Suna, Fondotoce e Feriolo (Lago Maggiore), su barconi attraverso il Ticino, fino al Naviglio di Milano, dove la ditta possedeva la sostra per la lavorazione. Così, se l'estra­zione del marmo dalle cave era difficile e costosa, diventava un’at­tività economicamente conveniente proprio per il risparmio sui costi consentita dal trasporto fluviale lungo il  lago Maggiore, Ticino e i   Navigli milanesi, fino a dove oggi si trova l'attuale via Laghetto, in ricordo della piccola darsena dove i blocchi di marmo venivano infine sbarcati, proprio dietro il fabbricando Duomo. Le imbarcazioni viaggiavano esenti da pedaggi, per l'assenza di dazi, grazie ad un'altra concessione di Gian Galeazzo Visconti; sul marmo usato dalla fabbrica si apponeva la scritta ad usum fabricae operis, da cui derivò la popolare espressione viaggiare ad ufo, cioè gratis.
La ditta Cirla era specializzata, prima in Italia, nella lavorazione delle colonne con torni meccanici fatti costruire in Scozia. Era possibile ricavare colonne monolitiche lunghe fino a mt 8,50 con un diametro di mt 1,20. Così, per oltre un secolo le colonne ebbero grandissimo impiego per opere monumentali e chiese e furono esportate in diverse nazioni europee e oltreoceano. Aristide Leonori ne aveva commissionate molte per tante delle sue progettazioni, alcune delle quali in Roma. Le aveva indicate a don Guanella che non se ne staccò più fino a posa terminata.
Si era benedetta la prima pietra al Trionfale la domenica 6 giugno del 1909; il calendario liturgico celebrava - provvidenzialmente - la Santis­sima Trinità. Nel febbraio 1910 si definisce la trattativa col Cirla a proposito delle colonne e don Guanella ne gioisce; ma quel momento in poi c’è un andirivieni di pensieri che turbano l’architetto Leonori sul benedetto rosso di Baveno: costo dell’operazione, rischi del trasporto, difficoltà delle operazioni nel quartiere romano che si muoveva in un’economia molto più povera rispetto alle cattedrali per le quali solitamente aveva lavorato…
Sarà don Guanella, paradossalmente, a convincerlo nelle sue titubanze. Il 18 aprile 1910, da Roma, gli scrive: “Che ha deciso quanto alle Colonne di S. Giuseppe? Se la differenza di prezzo non è enorme si faccia coraggio”. Incredibili vicende, in cui la committenza si sforza di persuadere l’architetto!
Si trattava di dieci colonne, alte metri 6,60, oltre il capitello e la base, delle quali scriveva nell’autunno 1910 il Corriere d’Italia: “l’Opera di Roma si innalza sulle colonne di granito, il sasso rude che non paventa i secoli”.
Il costo di ogni colonna si aggirava intorno alla tremila lire; appena pubblicata sul Bollettino di Como la notizia dell’installazione di queste colonne nell’erigenda chiesa romana, l’amico Francesco Riva di Milano, benefattore di don Luigi da molti anni, si propose di ‘adottarne’ una come padrino; e fu l’occasione per girare la proposta ad ampio raggio. Così si aggiunsero in breve il cavaliere Francesco Piccioli di Roma e il prof. Francesco Petazzi che fu grande prelato della curia milanese, rettore prima del Collegio San Carlo e poi del Seminario di Venegono.
Se ne ruppe una nel trasporto a Roma e ovviamente si chiese al Cirla una riduzione da tremila a mille lire, oltre alla risistemazione della colonna sempre a suo carico e alla posa in opera tramite una borchia speciale.
“A  fondamento della  casa di tua perfezione erigi colonne solide” aveva consigliato nel catechismo per le sue Suore chiamato appunto ‘il Fondamento’ e accennava alle virtù; spesso parlava di fondamenta, di colonne, di pietre di base… nutrendo la convinzione che anche la nostra relazione con Dio segue un suo ordine e necessita di regole, ritmi, struttura. Nulla di capriccioso e di improvvisato; spontanea sì perché è un Padre, ma non buttata lì, che sarebbe segno di superficiale trascuratezza. Ci vogliono colonne in tutto.
Per qualcuno, magari, si trattava di sentimentalismi o di sfarzo; per don Guanella era anche una questione di fede: non erano solo colonne dignitose e nobili, ma venivano dalla sua Lombardia, erano della stessa pietra utilizzata per il caro Duomo di Milano, portavano il segno del vincolo intimo tra lui e la sua terra, tra la sua opera e l’amato card. Ferrari, tra San Giuseppe e Maria Ss.ma, titolare di quel maestoso Duomo. Stranezze dei santi...

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