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Mercoledì, 31 Ottobre 2012 15:31

Nulla ti turbi, continua a credere Featured

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di don Mario Carrera

«Nessuno m’impedisce di calcolare la processione degli equinozi o di disintegrare gli atomi. Ma a che cosa servirà fabbricare la vita, se si è perduto il senso stesso della vita?». La frase è di George Bernanos ed è sempre di estrema attualità.      
Abbiamo iniziato con «L’Anno della fede» un cammino alla ricerca della nostra identità di credenti. Il fiume della vita di fede parte dalla sorgente del battesimo per giungere senza interruzioni alla foce del nostro esistere e sfociare nella vita eterna.
Il vivere alla ricerca di senso è l’anelito di ogni persona; dai valori coltivati scaturisce, infatti, l’orien­tamento da imprimere al proprio essere presenti nella storia. Da sempre, il cielo, chiuso nella stanza dell’anima, reclama responsabilità concrete e spazi infiniti. Diceva Dietrich Bonhoeffer che le cose penultime acquistano significato delle cose ultime: è l’eternità che dà senso al tempo. L’aspettativa  del «dopo» è l’interrogativo di tutti.  
Questo interrogativo è stato al vertice della preoccupazione anche per gli apostoli e si è fatto più acuto al momento del commiato di Gesù da loro.

 

Erano avvolti nell’atmosfera del Cenacolo, un clima caldo di affettività e gravido di un futuro rivoluzionario. Avevano consumato la cena insieme, Giuda stava per uscire a consegnare Gesù alla soldataglia, il Maestro si preparava a muoversi verso l’orto degli ulivi e vivere l’immediata vigilia della sua passione.   Gli apostoli avevano ascoltato le sue parole, pregato insieme, ma una domanda premeva  sul cuore: «Abbiamo capito che devi andare, ma noi non sappiamo dove; non conosciamo la strada, come possiamo continuare a starti vicino?».
Gesù ha una risposta tranquillizzante. «Non turbatevi, ma continuate a credere. Vado a prepararvi il posto, una dimora nella casa del Padre».
Queste parole, che leggiamo all’inizio del capitolo 14° di Giovanni, sono pronunciate prima che insieme si muovessero per recarsi al Getzemani, dove, sotto gli ulivi, Gesù sarebbe entrato in un’angoscia terribile che l’avrebbe fatto attraversare il mistero della morte.
Il Maestro dice ai suoi discepoli che il suo morire sarà l’ingresso alla casa del Padre e li incoraggia a non aver paura: «Io vado a prepararvi un posto».
In questo episodio, come in una medaglia, c’è una duplice faccia: nella prima, Gesù deve affrontare la morte come ogni mortale, nell'altra, c’è il «dopo», i luoghi dell’infinito, oltre la soglia della morte.
La morte di Gesù diventa il lasciapassare verso la dimora definitiva. «Nella morte non scompariamo in un luogo ignoto e buio, bensì andiamo in un luogo familiare». Gesù ha fatto il viaggio di andata e ritorno;  in questo viaggio nella casa del Padre ha preparato la nostra definitiva dimora.
è stato fatto notare che «l’interpretazione che Gesù dà della propria morte vale in un certo senso anche per la morte delle persone alle quali siamo legati da amicizia e amore. Quando le persone a noi care muoiono, portano già nella dimora eterna una parte di noi. Tutto ciò che abbiamo condiviso con loro, gioia e dolori, amore e sofferenza, tutti i discorsi fatti, le intimità vissute: morendo portano tutto nella casa che preparano per noi», per condividere, domani, tutto il vissuto positivo per tutta l’eternità.
C’è una bella immagine del monaco benedettino Anselm Grün, il quale fantastica paragonando il suo cammino a un sentiero che attraversa un prato e deve poi guadare un fiume. In merito scrive: «Arrivo a un ruscello e per poterlo saltare meglio, getto prima dall’altra parte il mio zaino. I morti, con i quali ho condiviso la mia vita, hanno già portato con sé il mio zaino oltre la soglia della morte. Perciò posso confidare che mi sarà più facile, morendo, saltare di là del ruscello e arrivare là dove troverò il mio zaino, le cose importanti nel mio cammino esistenziale. I morti decorano la dimora eterna con ciò che di mio hanno già portato oltre la soglia».
In quel venerdì di tenebra, Gesù, appeso al legno della croce, dicendo al ladro «oggi sarai con me in paradiso». Getta, oltre la siepe del tempo, il suo e il nostro fagottino pieno di fango e di pallide scintille di luce.

 

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