E' sufficiente leggere le scarne righe di Suor Paolina Bertani al suo arrivo al “Trionfale”: “Le catapecchie da una parte si contano non a decine ma a centinaia e sono abitate da famiglie numerose, composte anche da nove o dieci persone. Questi antri poi, devono servire a tutto: da camera da letto, da cucina e da ripostiglio. Sono privi di luce, di acqua, in una parola privi completamente di tutto il necessario alla vita di un uomo”.
Va da sé che in simili condizioni, gli effetti della pessima condizione igienico-sanitaria potava a livello esponenziale la mortalità infantile, oltre un decimo dei bambini nati non raggiungevano l’anno di vita, e l’affermarsi della tubercolosi, prima delle malattie sociali per diffusione.
L’aver proclamato Roma capitale del Regno d’Italia accentrò in essa l’apparato burocratico dello Stato, favorendo così produzioni legate ai suoi bisogni e lasciando in seconda linea l’imprenditoria industriale. Conseguentemente ebbe qualche oscillazione la capacità rivendicativa del movimento operaio romano di sinistra, incapace di una linea decisa nel riunire le diverse associazioni, invece molto attivo soprattutto nel Nord Italia a sostenere i diritti dei lavoratori.
L’unico vero collante trasversale di tutti i partiti e i movimenti di sinistra era l’anticlericalismo: fu questo che nel 1907 portò il Gran Maestro della massoneria italiana Ernesto Nathan a diventare sindaco di Roma. Alla sua Amministrazione va tuttavia riconosciuto il ruolo di promozione di edifici scolastici, di giardini d'infanzia e la municipalizzazione dei trasporti e dell'energia elettrica. Furono anche introdotte la guardia ostetrica e le stazioni di sanità nelle borgate.
Il sessennio dell’Amministrazione Nathan troncò decisamente la tendenza moderata del liberalismo comunale che, grazie anche all’azione intelligentemente moderata dell’Unione Romana, era sempre stato in buona collaborazione con l’area cattolica.
Si assistette ad episodi di giacobinismo francese: assalti a processioni, ingiurie contro il clero e accese polemiche contro i vertici della Chiesa, definita “frammento di un sole spento, lanciato nell’orbita del mondo contemporaneo”.
Sono questi gli anni in cui don Guanella inizia le sue opere in Roma: quella di Bosco Parrasio, poi a San Pancrazio e quelle di Monte Mario e del Trionfale.
Si capisce perché la cronaca succitata riferisce: “Il quartiere non gode certo di buon nome perché rifugia i rifiuti della città e le stesse congregazioni religiose non si decidono a stabilirsi in esso, perché anche il semplice passaggio del sacerdote è fatto segno a scherzi e motteggi o peggio, e può chiamarsi fortunato chi può traversare il quartiere incolume”.
D’altra parte, è la stessa suor Bertani a rimarcarlo, “questa povera gente è degna anche di compatimento a causa dell’ignoranza in cui versa". Una lacuna che, per quei pochi in grado di leggere i giornali, era colmata da stampe poco significative, stando al giudizio di un osservatore straniero: “Roma è una città di molti giornali, ma non di grande stampa. L’opinione pubblica si elabora a Milano, a Torino, forse a Napoli; Roma non è ancora la capitale dei giornali. Mentre i fogli radicali di Milano, come Il Secolo, la Perseveranza, o quelli di Torino, come il piccolo giornale di don Margotti, L’Unità cattolica, invadono la penisola, le tipografie romane non diffondono i loro fogli oltre i confini della provincia”.
Una stampa comunque di forte spirito anticlericale, che vedeva ovunque il pericolo di una intromissione vaticana nella vita politica italiana e nell’amministrazione cittadina.
Ma un altro analfabetismo che preoccupava soprattutto i pastori d’anime era quello religioso.
Il Trionfale registrava circa quarantamila abitanti e aveva come unico riferimento la piccola chiesa in via Ottaviano, officiata dai padri Domenicani. Con fine umorismo, ma quanto mai attuale anche ai nostri giorni, la cronaca annota: “Se con difficoltà vanno alla Messa quelli della città che hanno chiese a due passi da casa, figuriamoci quelli del quartiere Trionfale che devono fare circa un quarto d’ora di cammino”.
Ma c’era anche un altro grave inconveniente nella qualità culturale di un certo clero, stando da un anonimo redattore, che scrive: “altre [parrocchie di Roma] sono grandissime e da dividersi; i confini sono mal segnati e da rettificarsi; infine non sono rette che dal povero parroco, aiutato da un misero e gramo prete che si chiama viceparroco, molte volte ignorante di latino e mezzo imbecille”.
Per questo Leone XIII nominò un’apposita commissione per procedere ad una ripartizione più equa e razionale delle parrocchie di Roma; opera che continuò sotto il suo successore Pio X.
Lo stile era quello di dare una soluzione almeno sommaria ai vari problemi umani e religiosi della popolazione, costruendo nuove strutture parrocchiali e inviando nella periferia sacerdoti, suore e laici, con lo scopo di “rispondere ad una grande questione: l’ascensione degli umili, dei poveri”. Quindi non solo assistenza, ma promozione umana.