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Mercoledì, 19 Dicembre 2012 10:57

La morte cristiana di Giacomo Leopardi

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di p. Ferdinando Castelli

Che cosa avvenne veramente il 14 giugno 1937, giorno della morte del poeta?

 

Giacomo Leopardi, morto cristianamente? L'affermazione a molti potrebbe sembrare strana. Non è il poeta di Recanati l'assertore del nulla? del materialismo ateo e antireligioso dei filosofi sensisti del suo tempo? E come è possibile dimenticare la terribile pagina che egli scrisse nello Zibaldone (23 novembre  1820) contro il cristianesimo della madre, cinico e nemico della vita? Due studiosi hanno ribaltato l'immagine di un Leopardi anticristiano, morto senza fede, e dimostrato il contrario: N. Storti nel volume Fede e arte in Giacomo Leopardi e D. Barsotti in La religione in Giacomo Leopardi.  Esami­niamo con pacatezza la questione.

È chiaro che i Canti, lo Zibaldone e le Operette morali rivelano una visione pessimistica e materialistica; ma - chiediamoci - si tratta di un'adesione piena e convinta a questa filosofia o non piuttosto un'adesione né piena né definitiva, ma incerta e dubbiosa? Lo Storti opta per questa seconda ipotesi. Rivela che accanto ad affermazioni "terribili" si trovano in Leopardi interrogativi che, pur senza la risposta di fede agostiniana, riecheggiano sant'Agostino: “E mi sovvien l’eterno […]. Dimmi:  ove tende / questo vagar mio breve, il suo corso immortale? […] Che fa l'aria infinita e quel profondo / infinito seren? che vuol dire questa / solitudine immensa? ed io chi sono?  (Infinito e Canto notturno di un pastore errante dell’Asia).
Se il Leopardi ha rinnegato il cristianesimo, dobbiamo chiederci di quale cristianesimo si trattasse.   "Aveva scritto del cristianesimo - scrive D. Barsotti - ma lo aveva visto dal di fuori, ne aveva trattato come di una dottrina,  non ne aveva avuto una conoscenza reale".  Ad ogni modo, “il rifiuto ad ogni fede religiosa non fu mai, nel poeta, assoluto e pacifico".  Più che una negazione della fede cristiana, la sua fu una rivolta contro il male: perciò la sua poesia, pur non essendo cristiana,  fu "religiosa”. "Leopardi è il poeta che meglio rappresenta l'uomo moderno, che lotta contro Dio e tuttavia non può vivere senza di Lui".
Ripudiato il Dio del cristianesimo, l'uomo si è rifugiato nei miti (Leopardi li chiama "fantasmi"), e ne ha proclamato il culto. Il poeta ha avvertito il richiamo di questi miti - Natura, Storia, Società, Ragione - e in alcuni ha anche creduto, ma ha sempre finito per comprenderne l'inconsistenza e ripiegare sulle verità cristiane. In merito, c'è un mirabile testo dello Zibaldone.
"Dopo la cognizione pertanto, non possiamo tornare alle illusioni,  cioè ripersuadercene,  se non conoscendo che son vere. Ma non son vere se non rispetto a Dio e a un'altra vita. Rispetto a Dio ch'è la virtù, la bellezza ecc. personificata; la virtù sostanza, e non fantasma, come nell'ordine delle cose create. Rispetto a un'altra vita, dove la speranza sarà realizzata, la virtù e l'eroismo premiato ecc.,  dove insomma le illusioni non saranno più illusioni ma realtà.
L'esperienza conferma che l'uomo qual è ridotto, non può essere felice saldamente e durevolmente (quanto può esserlo quaggiù) se non in uno stato (ma veramente) religioso,   cioè che dia un corpo e una verità alle illusioni  senza le quali non c'è felicità, ma ch'essendo conosciute dalla ragione, non possono più parer vere all'uomo, come paiono agli altri viventi,  se non per la relazione - e il fondamento e la realtà che si suppongono avere in un'altra vita”.
Questo testo, sorprendente e significativo, nutrito di filosofia e di pedagogia, non soltanto legittima la vaga speranza in un'altra vita, postulata dalle illusioni della vita presente, ma esige un'altra vita come fondamento necessario alla realtà e alla verità delle cose. Il perché Leopardi non si stabilì in queste prospettive cristiane ci sfugge, ma visse sempre tallonato dalle sue aspirazioni - felicità, amore, verità - sempre insorgenti e sempre frustrate.
È  morto cristianamente? Dopo accurate ricerche, Storti - addetto all'Archivio Segreto Vaticano - ritiene che Leopardi, negli ultimi tempi della sua vita,  sia ritornato alla fede della sua prima adolescenza e che la sua morte sia stata coscientemente "cristiana". Sappiamo che le notizie delle ultime ore di Leopardi a Napoli sono state date da Antonio Ranieri. Ora è storicamente accertato che costui era "un faccendiere senza scrupoli, posseduto da una sfrenata bramosia di guadagnarsi nome e simpatia tra i grandi uomini del tempo,  di dubbia lealtà e di parola volubile e infida"; un uomo, perciò, che esponeva gli avvenimenti ora in un modo ora in un altro, secondo l'opportunità e il desiderio delle persone che frequentava. Di qui le diverse versioni della morte del poeta. Al padre Monaldo, cattolico fervente, scrisse, il 26 giugno 1937, che Giacomo era morto "non senza essere munito e antecedentemente ed allora stesso dei più dolci conforti della nostra santa religione". In seguito affermò il contrario.
Che cosa avvenne veramente il 14 giugno,  giorno della morte del poeta? Lo Storti a tale proposito riferisce di un importante documento, rinvenuto dall'oratoriano G. Taglialatela nel 1909: l'atto di morte di Leopardi, firmato dal parroco della SS. Annunziata a Fonseca di Napoli. In esso si legge:  "A 15 giugno, D. Giacomo Leopardi Conte, di anni 38, munito dei SS. Sag.ti morto a l4 d.". Storti riporta un’altra testimonianza che conferma la testimonianza del parroco. Si tratta di una lettera del notaio Leonardo Anselmi: "Mi trovai in casa Ranieri il giorno della morte del Conte. Verso le quattro pomeridiane il Leopardi chiamò la sorella di Antonio Ranieri, la quale vestitasi in fretta uscì di casa e ritornò col parroco, il quale verso le sei pomeridiane gli portò il viatico. La morte avvenne alle otto o alle nove di sera. A tutto questo mi trovai presente e mi ritirai verso la mezzanotte". Del resto lo stesso Ranieri confessò ad Alessandro Stefanucci Aba, noto magistrato del tempo:  "In confidenza e in segreto ti dirò che Giacomo mi aveva fatto giurare di chiamargli il prete,  se lo vedessero in pericolo. E così fu fatto che ebbe il prete, il Viatico e tutti i Sacramenti. Perché dunque, replicò lo Stefanucci al Ranieri, non l'ha pubblicato? Fossi stato un minchione, ripigliò Ranieri, avrei rovinato presso i liberi pensatori il Leopardi,  la cui fama presso di loro era tutta nell'incredulità".
Un altro documento importante è una lettera del gesuita Francesco Scarpa,  inviata al p. Carlo Curci,  in cui si parla della "conversione" di Leopardi.  Il poeta nel 1836 si sarebbe confessato con lui nella chiesa del Gesù  Nuovo di Napoli,  dopo un lungo colloquio, e avrebbe proseguito "a confessarsi dopo di tratto in tratto per quattro o cinque mesi". Storti ritiene che l'attendibilità di tali documenti sia indubbia.  Interessante è anche la lettera che il poeta scrisse al padre il 20 maggio 1927 dove si legge:  "Anch'io in questi giorni ho ricevuto i SS. Sacramenti", e un mese dopo:  "Non posso abbastanza lodare la sua pietà dei soccorsi religiosi implorati,  com'Ella mi scrive. Iddio certamente gliene renderà merito, ed esaudirà le sue e le nostre ardentissime preghiere".  Come queste testimonianze possano conciliarsi con certe espressioni religiosamente equivoche o negative delle opere del Leopardi, è un mistero.

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