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Venerdì, 27 Maggio 2011 13:20

Imparare ad amare è un'arte appagante Featured

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Non commettere adulterio

di Ottavio De Bertolis, s.j.

A conclusione di queste riflessioni sul sesto comandamento, possiamo quindi dire alcune cose molto semplici. Innanzi tutto, che la sessualità è un impulso molto potente in ognuno, e che quindi deve essere ben vissuto, perché questa forza deve essere ben incanalata: non si tratta quindi di negarla o reprimerla – si farebbe solo peggio – ma di integrarla in un contesto di vita pienamente umana, di relazioni affettive e profonde e non false o illusorie. Insomma, il sesto comandamento ci invita ad imparare ad amare, perché, nonostante il fatto che tutti ne siamo “naturalmente” capaci, questo non significa che ci riesca sempre bene. In fondo, dobbiamo dire che anche l'amore, come qualunque altra realtà umana, ha bisogno di essere redento: ed è questo del resto il senso profondo del sacramento del matrimonio, che è volto a liberare la coppia da ambiguità o distorsioni che sempre possono sorgere in questa relazione.

La persona casta non è dunque una persona irrigidita, anaffettiva o incapace di entrare in relazioni profonde anche affettivamente con le persone, ma al contrario è capace di interazione, di compassione, di tenerezza. E va osservato che in questo senso la castità è una virtù proposta a tutti, anche agli sposati: essa infatti non è, come si potrebbe credere, il non avere rapporti sessuali, ma il vivere l'amore in modo pienamente e veramente umano, e a questo tutti, sposati e non, siamo chiamati. Così è importante per una coppia non rinchiudersi nel proprio circolo: l'amore a due dovrebbe riuscire ad alimentare anche l'apertura agli altri oltre la propria famiglia. In questo senso, sbocco naturale dell'amore umano sono i figli. Come abbiamo già visto considerando il quarto comandamento, dal fatto che tutti siamo padri o madri, non è detto che tutti siamo bravi padri o madri: paternità o maternità non è solo un dato naturale. La genitorialità, l'essere fisicamente o biologicamente padri o madri, non fa di noi necessariamente veri, cioè bravi, padri o madri, ma dobbiamo imparare ad esserlo. Allo stesso modo, il fatto che siamo sessuati, cioè fisicamente dotati per la riproduzione, non fa di noi automaticamente persone capaci di amare o una vera coppia. Ci si può accontentare o ridurre a un'apparenza.
Essere marito e moglie è come essere prete: non si può fare finta di esserlo, ma o lo si è o no. In questo senso, gli atti esterni devono esprimere una verità di ciò che si è, altrimenti, appunto, sono una commedia, un “far finta” di essere quel che non si è, come se si potesse togliere dall'essere marito e moglie quell'unità, stabilità e definitività che questo richiede. In questo senso, è interessante osservare l'ipocrisia del parlare di rapporti prematrimoniali: che ci sia un matrimonio è appunto ancora tutto da vedere, e per il momento sono solo dei rapporti sessuali. Con il che non abbiamo detto che siano quanto di peggio o di più grave possa accadere in materia di castità, però almeno sono prematuri e molte volte illusori: e le illusioni le paga il più delle volte la donna.
Il matrimonio è stabile non per qualche motivo metafisico, ma perché questo corrisponde proprio al desiderio profondo dell'amore, che chiede che sia per sempre e con uno solo: certo, ci siamo disillusi e abbiamo imparato a dire che non è vero, siamo diventati cinici. In fondo, la conseguenza del divorzio è che ci ha impedito di credere all'amore: ci ha lasciato un sottoprodotto. E lo vediamo molto bene specialmente nei giovani: bisogna avere un grande coraggio e motivazioni molto profonde per andare controcorrente. L'amore va conquistato, anche lottando.
Il matrimonio cristiano, che si è imposto solo nel corso dei secoli e andando contro i costumi di società pagane precedenti, proprio per il suo carattere di definitività e libertà per entrambi i coniugi, e non solo per il maschio, e per la tutela della prole che ne derivava, ha liberato la donna dall'essere oggetto del potere maschile, paterno prima e maritale poi. La convivenza riporta indietro, al tempo precedente queste conquiste, e riconsegna il rapporto di coppia al capriccio e alla forza. E' triste vedere d'altra parte che molte persone convivono non per cattiveria o perché siano consapevoli di quel che abbiamo detto, ma semplicemente per delusione o tristezza: come si può oggi credere all'amore stabile? In fondo, molti non si sposano per paura, e in un certo senso sono comprensibili. Sta alla Chiesa, cioè agli sposi cristiani, mostrare che il desiderio umano di un amore vero, stabile e fecondo, è ancora e sempre possibile, nonostante tutto.

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