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Giovedì, 05 Settembre 2013 13:46

La limpida gioia di Giuseppe e Maria dopo quel sogno

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di Mario Sgarbossa

Con l’annunzio notturno fatto dall’Angelo inizia (nel segreto di quattro mura) l’incom­parabile storia di Giuseppe, sposo di Maria e “padre” di Gesù. Perché virgolettare la parola “padre” quando anche i due evangelisti parlando di Giuseppe dicono esplicitamente padre di Gesù? E così lo chiama anche Maria davanti ai maestri nel Tempio: “Tuo padre ed io angosciati ti cercavamo...”.

Lasciamo la risposta ai Padri della Chiesa che, spiegando questo difficile momento nella vita di Giuseppe, hanno ripetuto le parole dell’angelo: “A Dio niente è impossibile”. Lo sappiamo da sempre.

Ambrogio, il santo vescovo di Milano, parlando di Maria sposa e vergine madre, si domanda: “Perché non ha concepito per opera dello Spirito Santo prima del fidanzamento?”. E risponde: “Probabilmente perché non si dicesse in giro che aveva concepito dalla colpa”.

Quanto al dubbio se ripudiarla o no, Ambrogio fa notare che Giuseppe, prima di essere avvertito dall’angelo di non farlo, avrebbe avuto il diritto di ripudiarla, secondo la legge. Giuseppe e Maria erano di fatto marito e moglie, “altrimenti Giuseppe come avrebbe potuto ripudiare Maria se non fosse stato certo di averla sposata legalmente?”. L’uomo d’oggi, disorientato da ben altri messaggi, non si pone simili domande, ma nella Chiesa dei primi quattro secoli, i cristiani ponevano domande su temi teologici e amavano discuterne con i loro presbiteri.

Il coetaneo vescovo di Aquileia, Cromazio, commenta: “E’ questo il celeste mistero, questo il sacramento arcano e nascosto da secoli... Maria aveva concepito per opera dello Spirito Santo e Giuseppe, all’oscuro del segreto di un così grande mistero, pensò di abbandonarla occultamente, ma poiché era un uomo giusto, non intendeva ripudiarla per non esporla all’infamia”.

I più zelanti l’avrebbero addirittura lapidata, uccidendola. Una inevitabile e ingiusta condanna anche per la Vergine Madre se non fosse stata tutelata dal grande cuore di Giuseppe, suo fidanzato-sposo.

Agostino, vescovo di Ippona in Algeria (354-430), a sua volta afferma che Giuseppe fu il custode e il testimone del pudore verginale, perché Maria non venisse considerata adultera, col rischio che si è detto.

Il primo vescovo di Torino, Massimo, morto nel 420, parla della singolare paternità di Giuseppe e dice di ammirarlo perché accolse Gesù come figlio pur non avendolo generato. E conclude che Gesù è nato in quel modo perché nessuno potesse prevedere la sua venuta, com’era generalmente intesa dalla gente. Infatti i giudei attendevano un Messia in grado di ripetere i trionfi di re Davide, anche se i nemici di Israele non erano i coriacei Filistei, o i re di Babilonia, ma il più temibile esercito romano.

è lecito domandarsi se Maria al ritorno da Ain-Karim abbia raccontato a Giuseppe quanto era avvenuto in casa di Zaccaria, a partire dal prodigioso riacquisto della favella, poi della profezia sul futuro ruolo del piccolo nato, destinato a preparare la strada all’imminente venuta del Messia: Giovanni sarebbe andato innanzi al Signore. In quella benedizione Zaccaria ringraziava il Signore per aver già fatto sorgere un Salvatore potente tra i discendenti di Davide.

Non era difficile dunque intuire che nel grembo di Maria fosse presente l’atteso Messia e di conseguenza quel dubbio di Giuseppe fosse dovuto al fatto che egli, nella sua umiltà, non si ritenesse degno del ruolo di custode del nascituro Salvatore.

La prospettiva di essere chiamato, con Maria, a far parte del piano divino della redenzione era talmente superiore alla sua stessa immaginazione da gettarlo più che mai nella nebbia del mistero.

Tanti teologi su questo inspiegabile silenzio di Maria si sono posti le stesse domande, ragionando sulla situazione in cui venne a trovarsi l’umile carpentiere di Nazareth. “Maria – scrive il teologo Bruno Forte, vescovo di Chieti, sulla Piccola introduzione alla fede, ed. San Paolo – sperimenta la carne di Dio, prima di vederla, sente il risuono dei battiti del suo cuore nascosto nelle tenebre del suo grembo, prima di ascoltarne le parole di vita. In Maria l’esperienza viene prima della visione e della Parola. E’ l’esperienza materna, femminile di Dio; la notte carica di presenza, prima del giorno fatto di colori e di suoni”.

A Giuseppe non era concesso sperimentare, ovviamente, la sensazione fisica del Dio fatto uomo. A lui era chiesto l’atto di fede.

Tuttavia, ecco cosa scrive il papa Leone XIII nell’enciclica Quamquam pluries: “è certo che la dignità di Madre di Dio poggia così in alto che nulla vi può essere di più sublime; ma poiché tra la beatissima Vergine e Giuseppe fu stretto un nodo coniugale, non c’è dubbio che a quell’altissima dignità egli si avvicinò quanto mai nessun altro... per cui se Dio lo ha dato come sposo alla Vergine, glielo ha dato non solo come compagno della vita, tutore dell’onestà, ma anche perché partecipasse per mezzo del patto coniugale, all’eccelsa grandezza di lei”. Ecco la provvidenziale rasserenante schiarita dopo le parole dell’angelo Gabriele che ha cancellato in Giuseppe ogni dubbio ma non ha illuminato del tutto la sua mente sul grande mistero, per cui da quella notte ha dovuto ripetere il suo atto di fede, affidarsi agli insondabili disegni di Dio e alla voce dell’angelo.

Giovanni Paolo II, nella esortazione apostolica Redemptoris custos n. 19, scrive: “Nelle parole dell’annunciazione notturna Giuseppe ascolta non solo la verità divina circa l’ineffabile vocazione della sua sposa, ma vi ascolta altresì la verità circa la propria vocazione... Giuseppe infatti è colui che Dio ha scelto per essere l’ordinatore della nascita del Signore, colui che ha l’incarico di provvedere all’inserimento ordinato del Figlio di Dio nel mondo, nel rispetto delle disposizioni divine e delle leggi umane”.

E Maria, entrata ormai nella casa di Giuseppe, poté affidarsi con piena fiducia alla guida sicura dello sposo e alle sue iniziative e alle scelte che ogni buon padre di famiglia deve fare.

di Mario Sgarbossa

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