di Concetta Desando
«Ipoveri li avrete sempre con voi”. Gesù ci aveva avvertiti. Oggi come ieri, la povertà interessa ancora una fetta consistente del mondo. E non serve andare lontano, in Africa o in India, nei cosiddetti Paesi del Terzo Mondo: a volte basta girare l’angolo e te li trovi di fronte, i poveri. Oppure basta abbassare lo sguardo proprio lì, dove evitiamo di posare gli occhi perché distratti o infastiditi dallo “spettacolo indecente”: il mendicante che allunga la mano sul marciapiede o i bambini scalzi che entrano in metropolitana non sono certo roba per noi “gente impegnata”, troppo affannata nel tam tam quotidiano per prestare attenzione a certe cose. Per non parlare delle centinaia, migliaia, di profughi che scappano da terre povere e in guerra cercando rifugio sulle nostre coste.
Se poi a questa dimensione materiale della povertà, ne aggiungiamo una nuova, quella adatta a noi gente moderna, gente povera di valori, di sentimenti, di capacità di meravigliarsi ogni giorno, allora il discorso si fa ancora più complicato. Ognuno ha le sue piccole e grandi povertà
Se fosse ancora con noi, Don Luigi Guanella, il padre dei poveri, non troverebbe certo un mondo migliore rispetto a quello del suo tempo. Ma la sua opera rimarrebbe invariata: perché la sua passione per i poveri era legata a doppio filo alla passione per Dio. Servire i fratelli che vivevano in una condizione di disagio non era per lui un semplice atto di carità. Nel suo grande cuore, egli era profondamente convinto che l’uomo è opera di Dio, e che servire i poveri era un desiderio di Dio stesso prima ancora che un proprio personale progetto di vita. Compiere la volontà del Padre era per lui un bisogno vitale, quasi come respirare.
Nell’accoglienza dei poveri e nella missione di carità c’è tutto il cammino verso la santità di don Guanella. “Tutte le volte che avete fatto questo a uno dei più piccoli di questi fratelli, lo avete fatto a me”: aveva fatto di queste parole del Cristo il pilastro della sua vita. Era in grado di interpretare il bisogno dei poveri da tutte le angolazioni, dal basso verso l’alto. Oltre al bisogno materiale di un pezzo di pane, saziava anche quello spirituale con la fede: “Pane e Signore non deve essere poco, ma a sufficienza in tutte le case” diceva spesso, intendendo con ciò che l’uomo ha bisogno di pane, di un tetto, di un vestito, ma anche di Dio.
Con questo atteggiamento, oggi don Guanella scuoterebbe la coscienza di quanti si sentono in pace con se stessi perché danno due monetine al mendicante per strada o una manciata di spiccioli durante l’offertorio della messa. Certo, bel gesto. Ma non basta. La missione di don Guanella tra i poveri passava attraverso l’insegnamento di Gesu: “Sono venuto perché abbiate la vita, e questa in sovrabbondanza”. Il pezzo di pane, dunque, non basta: per lui era necessario che la vita, anche nella sua manifestazione più povera, venisse preservata da ogni tipo di aggressione materiale e ideologica. I poveri hanno bisogno di aiuto materiale, spirituale, fisico e psicologico. E allora si adoperava per costruire comunità attorno ai piccoli. Li chiamava “tesori”, perché in loro vedeva Gesù: un cuore che ama non può che essere attratto dai sofferenti, dai malati, dagli abbandonati, dagli indigenti, da quanti sono segnati dalla non bellezza. Al denaro e al successo, per raggiungere i quali oggi ci lanciamo tutti in una corsa sfrenata, don Guanella sostituisce i reietti, perché solo in loro possiamo ancora vedere le stigmate di Gesù Crocifisso. Non a caso Giovanni Paolo II definì “eroica” la carità dei guanelliani, perché “per scoprire la bellezza sotto la sua mancanza, sotto il suo contrario, è necessaria una carità particolarmente acuta e unica”.
Non solo. Don Guanella propone all’uomo di oggi di guardare ai poveri come “padroni”. È proprio in colui che manca di tutto che si compie la profezia sull’uomo e sulla dignità umana: sebbene privo di ricchezza, salute, stima, bellezza, intelligenza, cultura, l’essere umano è caro e prezioso davanti a Dio. Oggi è un insegnamento che suonerebbe più o meno così: le persone valgono per quello che sono, non per quello che producono. E, in questo senso, don Guanella invita gli uomini di ogni tempo a lasciarsi educare dai poveri, gli unici che ci aiutano a comprendere il messaggio di Dio che ha scelto di stare dalla parte dei deboli e dei piccoli.
Aveva una predilezione particolare per quelli che chiamava i “buoni figli”, i disabili mentali. In loro vedeva creature che hanno bisogno di tutto e si assunse la responsabilità di assisterli, curarli, aiutarli anche nei bisogni elementari. Un atteggiamento che non era solo pietà e carità, ma un grande, profondo amore verso l’uomo.
Non era certo contrario alla ricchezza don Guanella ma invitava i fortunati al dialogo con i meno fortunati: era fermamente convinto che, pur nella disabilità, se una persona si sente amata e vede riconosciuta la propria dignità di essere umano riesce a rialzarsi e a dare un senso alla propria vita. Oggi il messaggio guanelliano è sempre più attuale. “Milioni di bambini sono condannati a morte precoce, bisogna fare di più per sconfiggere la fame”: l’appello di Benedetto XVI alla Fao è una conferma dei poveri di oggi. Poveri di tutto, che muoiono per un pezzo di pane negato. “Le istituzioni internazionali - ha ammonito il Papa analizzando le cause della povertà di milioni di persone - sono chiamate ad operare coerentemente al loro mandato per sostenere i valori propri della dignità umana”. “La crisi che investe ormai tutti gli aspetti della realtà economica e sociale, ha ricordato Ratzinger, richiede “ogni sforzo per concorrere ad eliminare la povertà, primo passo per liberare dalla fame milioni di uomini, donne e bambini che mancano del pane quotidiano”. Ma se non si guarda alle cause, ha riflettuto il Papa, non si va lontano. Se non si incide contro gli “atteggiamenti egoistici che, partendo dal cuore dell’uomo si manifestano nel suo agire sociale, negli scambi economici, nelle condizioni di mercato, nel mancato accesso al cibo, e si traducono nella negazione del diritto primario di ogni persona a nutrirsi e quindi ad essere libero dalla fame, non ci si accorge neppure del fatto che il cibo è diventato oggetto di speculazioni, o è legato agli andamenti di un mercato finanziario che, privo di regole certe e povero di principi morali, appare ancorato al solo obiettivo del profitto”.
Si dice che Don Guanella sia una lettera che Dio ha mandato ai poveri. Quella lettera è ancora nella casella postale di ognuno di noi.