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Venerdì, 01 Giugno 2012 13:36

Nuova evangelizzazione al Trionfale

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Bacciarini parroco

 

di NINO MASSARA

«Il parroco anche nella più piccola parrocchia del mondo,
è sempre un capitano nella grande famiglia di Cristo
e l’idea di una vasta solidarietà è inseparabile con il suo apostolato»


Esiamo nel lontano 1912.
Nessuna meraviglia. Lo ha, da tempo, anticipato Giovanni Paolo II: lo conferma ogni approfondimento culturale in merito; lo dice lo stesso termine. Da sempre, l'evangelizzazione o è nuova, o non è. Novità di un annunzio bello, atteso, che sorprende, affascina e orienta verso un futuro diverso e gioioso.

È il messaggio di Cristo, anzi, l'incontro con Lui, l'evangelizzazione che cambia la vita personale e, allo stesso tempo, il mondo in cui viviamo. Non si tratta, certo, di un cambiamento solo di facciata, vuoi della pastorale, come delle strutture o della gestione di una parrocchia. È cambiamento, anzitutto, interiore, profondo, di cui è sorgente e motore lo Spirito che ricrea e anima, come i singoli, così le comunità. Questa sarà faro e testimonianza credibile e rivoluzionaria in tutto il territorio per un vivere, anche civile, politico ed economico nuovo, fatto di fraternità, di solidarietà e di giustizia.
Certo occorre aprirsi, inventare nuovi percorsi pastorali. Almeno nelle vecchie Chiese d'Europa, la pastorale collaudata da secoli ripetitiva e statica, non risponde più ai cambiamenti epocali in corso, che si rincorrono di anno in anno. Del resto, guardiamo in faccia la realtà della pratica religiosa nelle nostre parrocchie. Quanti sono quelli che vengono in chiesa? Bene che vada non andiamo oltre il 30% di pecorelle entro il recinto. E le altre? E il mondo giovanile, degli uomini e delle giovani coppie? Pastorale e animazione missionaria, dunque. Lì è urgente, improrogabile. Occorre andare, e in tutti i sensi, verso gli uomini e la società che ci circondano e non aspettare che siano loro a venire. Non basta insegnare, o fare catechesi, occorre, prima, ripartire dall'annunzio e, soprattutto dalla testimonianza. È noto l'ammonimento di Paolo VI: "il mondo d'oggi vuole testimoni e non maestri: questi li accetta se, prima sono testimoni".
Ed ecco, allora, una componente tanto essenziale, quanto pregiudiziale per ogni evangelizzazione da parte del prete come del laico: la santità della vita.
Aggiungiamo, sì, il coinvolgimento dei laici e, particolarmente, della famiglia. Questa, mentre deve continuare a essere campo privilegiato di evangelizzazione, dovrà farsi soggetto di evangelizzazione e di missione nella corresponsabilità di una testimonianza che si fa presenza di Cristo a casa, all'ufficio, nel mondo del lavoro e del pubblico. Tutti in missione, insomma.
I contenuti della fede da presentare all'uomo d'oggi sono quelli di sempre: essenzialmente Cristo morto e risorto, unica salvezza integrale del mondo. La carità via privilegiata alla evangelizzazione.
Don Bacciarini è parroco di nuova evangelizzazione perché santo, perché missionario, perché coinvolge i confratelli, le consorelle, i laici nell'avventura del cambiamento dei percorsi pastorali, tenendo conto proprio dell'ambiente specifico a cui è stato mandato. Parte proprio dall'analisi della situazione di quel territorio e di quel popolo; si consegna con un programma pastorale, fin dal primo presentarsi alla comunità parrocchiale; privilegia l'aggancio dell'interessarsi ai problemi concreti della gente. Soprattutto esce e va là dove la gente vive. Sale e scende le scale instancabilmente; ascolta, smuove dall'indifferenza romana, chiama a collaborazione.
Un apostolato nuovo per quei tempi e, comunque, nella Roma di inizio Novecento. Dunque: analisi del territorio, individuazione dei grandi obiettivi, diremmo oggi, della pastorale, strutturazione di un programma, coinvolgimento. Bacciarini fa tutto questo. Una carrellata, ora, seguendo il suo primo biografo mons. Emilio Cattori e spulciando anche tra le sue lettere pastorali. Sì, da Vescovo emanerà una lettera pastorale proprio sulla parrocchia, dove inizia con la testimonianza del suo vissuto di bambino in quella, a lui tanto cara, delle sue Alpi svizzere.
La parrocchia è "mistico albergo", "giardino allettante", "cenacolo", "sorgente di emozioni incancellabili", "focolare della fede", "famiglia cristiana, raccolta e stretta intorno al parroco", "asilo di pace", "scuola del bene".
La situazione di partenza al Trionfale: "la popolazione va tenuta lontana da un alto strato di pregiudizi, di abitudini inveterate, di ignoranza, di vergogna". Rincara la dose suor Paolina Bertani nella sua "Piccola storia della Fondazione di San Giuseppe in Roma": "Ora il quartiere non gode certo di buona nomea perché rifugia i rifiuti della città... perché anche il semplice passaggio di un sacerdote è fatto segno di scherno e motteggi o peggio, e può chiamarsi fortunato chi può traversare il quartiere indenne".
Dunque: "Nel quartiere occorreva una vera e santa rivoluzione". Pertanto si pone in atto un metodo eminentemente missionario: "Intraprende subito quel quotidiano girare per la parrocchia che finiva ad ammazzarlo di fatica ogni giorno; levatosi alle cinque del mattino... celebrava la Messa, si sbrigava ben presto e via...". Anni fa un confratello parroco romano, di oggi, in una riunione del consiglio presbiterale ci ammoniva che la fecondità pastorale di una parrocchia dipende molto dal numero dei campanelli dei portoni dei palazzi che il parroco suona quotidianamente.
Bacciarini con le sue visite giornaliere e mattiniere sa "sgusciare ogni miseria, scoprire ogni sorta di bisogni: battesimi di piccoli e di grandi... matrimoni da stabilire, infermi e vecchi da assistere, casi di povertà estrema... disoccupati, sfrattati, senza tetto, senza arredo, senza vestiario". D'altra parte, "quando nella sua parrocchia... si incantava con anime buone, fortemente temprate alla virtù". Da qui l'esigenza e la capacità di una programmazione pastorale rispondente e adeguata.
Alla base, pregiudiziale, l'amore, la disponibilità e lo zelo personale del pastore: "Eccomi a voi. Sono vostro per il bene di tutti, per la salvezza di tutti". Quindi le sue priorità: frequenza dei sacramenti, predicazione della Parola, associazioni laicali, i poveri, la gioventù, gli uomini.
Attorno a queste linee di programma, anche dettagliato, la mobilitazione delle risorse e delle presone in campo: confratelli, consorelle, associazionismo laicale, stampa, strutture.
In poco tempo le cose cambiano, si raccolgono frutti insperati: "Il tempio materiale divenne 'ecclesia' primitiva, l'assemblea dei fedeli, la chiesa vivente". Ancora: "Da vicinato di case, vicinato di anime".
La trasformazione del Trionfale era avviata. E alla grande.
"L'indifferenza romana", notata nel primo impatto con la popolazione, provoca e diventa ben presto zelo, coinvolgimento, testimonianza, modello apostolico anche per le altre parrocchie.
L'impostazione avviata allora diventa prassi collaudata che si prolungherà nel futuro. Ma la fioritura profetica ha le sue radici sempre e, comunque, nell'opera di Bacciarini, un pastore quanto mai attivo, intelligente e colto. Soprattutto santo. D'una santità che era frutto di preghiere, di contemplazione, di adorazione eucaristica e, soprattutto, di una sofferenza e di una croce che faranno definire Bacciarini da Benedetto XV "Giobbe dell'episcopato". Dunque conforme a Cristo nel dolore salvifico.
Aveva fatto suo il programma e il motto di don Guanella di cui Bacciarini era figlio appassionato: "Pregare e patire".

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