San Giuseppe e il Beato Giovanni Paolo II
di Tarcisio Stramare
Dopo Maria, Madre di Dio, non c’è nessun santo che occupi tanto spazio nel magistero pontificio quanto san Giuseppe, suo castissimo sposo. E tuttavia, all’ombra di così grande “Sposa”, san Giuseppe passa talmente inavvertito, che qualcuno si meraviglierà scoprendo questa sua marcata presenza soprattutto in un papa notoriamente “mariano” come Giovanni Paolo II. Ogni qual volta si pensa a lui viene in mente, infatti, la sua singolare devozione verso la Madre di Dio, espressa senza equivoci nel suo stemma pontificio con la grande lettera “M” (Maria) e con la scritta “Totus tuus” (Tutto tuo).
Nei suoi viaggi apostolici era normale che fosse inclusa una visita ad un santuario mariano, espressione dei suoi sentimenti filiali, ma anche del riconoscimento del “ruolo materno” di Maria verso la Chiesa. Ma sappiamo anche quanto Giovanni Paolo II, da sempre interessato all’uomo, ai suoi valori e compiti, tenesse in alta considerazione il “ruolo maschile” nel Vangelo e nella Chiesa, e questo partendo proprio dalla considerazione della figura di san Giuseppe, come egli stesso afferma, ricordando le sue soste nelle chiese a lui dedicate sia a Wadowice che a Cracovia, nelle quali amava spesso soffermarsi in preghiera. “La figura di san Giuseppe fornisce speciali spunti e abbondante materiale per queste riflessioni”, in particolare sul ruolo prettamente maschile, quello protettivo, paterno, che “sembra non soltanto primario ma anche essenziale rispetto a qualsiasi altra sua attività all’esterno, sociale o organizzata”.
“La figura di san Giuseppe ha un proprio grandissimo valore specifico nel Vangelo e questo ruolo di uomo che essa incarna è non soltanto manifestazione di un naturale rapporto di forze e delle relazioni che dominano nella vita umana, ma è anche manifestazione di quei rapporti di forze e di quelle relazioni che dominano nel regno di Dio sulla terra, cioè nella Chiesa”. è proprio riflettendo su questo ruolo maschile, che “la Chiesa procede senza posa nella strada dell’interpretazione di questa figura e continuamente trova in essa ricchezze prima sconosciute o, meglio, non poste in luce, dal momento che le diverse vicende dell’umanità influiscono a modo loro su questo processo”.
Evidentemente Giovanni Paolo II già da giovane, ma soprattutto da vescovo impegnato nel governo della diocesi di Cracovia, vedeva in san Giuseppe “il modello” del proprio comportamento: “L’episcopato è, indubbiamente, un ufficio, ma bisogna che il vescovo lotti con ogni energia per non diventare un ‘impiegato’. Egli non deve dimenticare di essere un padre. Quando penso a chi potrebbe essere considerato come aiuto e modello per tutti i chiamati alla paternità – nella famiglia o nel sacerdozio, e tanto più nel ministero episcopale – mi viene in mente san Giuseppe”.
Questo modo “alto” di accostarsi alla figura di san Giuseppe non è certamente quello al quale ci ha abituati la predicazione di lunghi secoli, espressa in tanti quadri delle nostre chiese, nei quali san Giuseppe è spesso raffigurato non solo come una figura marginale ma bisognosa essa stessa di essere protetta, piuttosto che “protettiva”, come il ruolo affidatogli di sposo di Maria e di padre di Gesù aveva certamente richiesto.
In occasione dell’introduzione del nome di san Giuseppe nel Canone Romano della Messa (1962), voluta da Giovanni XXIII, Mons. Karol Wojtyla, allora Vicario capitolare dell’arcidiocesi di Cracovia e presente al Concilio come padre conciliare, diceva: “Proviamo ad esaminare il significato di questa decisione, che a qualcuno, lontano dalla realtà della Chiesa, può sembrare insignificante e di scarsa importanza. San Giuseppe merita un onore particolare per la semplice ragione che è così vicino al Cristo e a sua Madre.
Nessuno come lui è stato iniziato all’incarnazione del Figlio di Dio. Su di lui per lungo tempo è pesata la speciale responsabilità del destino del Verbo incarnato a Betlemme, durante l’esilio in Egitto, a Nazaret. Egli, insieme con Maria, entrò per primo nella vita di nostro Signore e più a lungo vi rimase.
Gli Apostoli entrarono in questa vita più tardi e per breve tempo restarono con Cristo Signore”. Secondo il giovane mons. Wojtyla, la gioia con la quale i Vescovi avevano accolto, prima, la notizia che il Santo Padre proclamava san Giuseppe patrono del Concilio e, successivamente, la decisione di introdurne il nome nel Canone della Messa, derivava dalla consapevolezza “che la Chiesa deve trovarsi là dove l’umanità è stata elevata mediante l’incarnazione del Figlio di Dio. Là dove humanis divina iunguntur, dove ha luogo l’incontro dell’elemento divino con l’umano.
è un incontro e poi un’evoluzione creativa, da cui, malgrado tutte le difficoltà e gli insuccessi, emerge la nuova forma della vita umana, il nuovo volto della terra. San Giuseppe è l’uomo che nei piani della provvidenza si è trovato straordinariamente vicino al primo punto di contatto dell’elemento divino con l’umano.
Certamente questo primo incontro e questa prima tappa della vita divina nella storia dell’umanità sono stati affidati alla sua custodia. Sappiamo che egli fu il tutore perfetto; per questo anche il Concilio, che nella fase attuale della vita umana desidera esprimere e consolidare l’incontro del divino con l’umano, lo ha scelto come patrono”.
Abbiamo qui in germe la dottrina che il futuro pontefice Giovanni Paolo II svilupperà qualche decennio dopo nell’Enciclica “Il Redentore dell’uomo” (1989), con la quale, unendo strettamente il mistero della Redenzione al suo fondamento, ossia al mistero dell’Incarnazione, illumina ampiamente il ruolo della “Madre del Redentore” e congiuntamente quello del “Custode del Redentore”.
Nessuno sconfinamento dall’ambito della Redenzione e nessuna forzatura, ma naturale sviluppo di quanto è avvenuto e accade appunto là dove humanis divina iunguntur. In questo “spazio”, che abbraccia tutta la vita di Cristo, ossia tutto il mistero dell’Incarnazione, dal momento del concepimento di Gesù fino all’invio dello Spirito Santo, sono inclusi necessariamente i misteri della vita nascosta di Gesù, dei quali san Giuseppe è stato, “insieme con Maria”, il primo depositario, partecipando fin dal primo inizio all’autorivelazione di Dio in Cristo con il prestigioso ruolo di “ministro della salvezza”.
è sembrato naturale a Giovanni Paolo II sviluppare la parte di san Giuseppe nella storia della salvezza, nella quale “san Giuseppe è stato chiamato da Dio a servire direttamente la persona e la missione di Gesù mediante l’esercizio della sua paternità: proprio in tal modo egli coopera nella pienezza dei tempi al grande mistero della redenzione ed è veramente ‘ministro della salvezza’” (RC, n.8).
In questa definizione sono chiaramente delineate la figura e la missione di san Giuseppe nella vita di Cristo e della Chiesa, ossia la sua identità nel piano dell’Incarnazione e della Redenzione. Quanto la Chiesa apostolica aveva testimoniato nei Vangeli, i Santi Padri e i teologi avevano sviluppato nei loro scritti e la pietà dei fedeli aveva sempre conservato nel suo cuore, Giovanni Paolo II lo ha fatto confluire nell’Esortazione apostolica “Il Custode del Redentore”, sottolineando l’attualità di questa “insigne figura”: “Nel corso delle generazioni la Chiesa legge in modo sempre più attento e consapevole una tale testimonianza, quasi estraendo dal tesoro di questa insigne figura ‘cose nuove e cose antiche’ (Mt 13,52)” (n.17).
Grazie a Giovanni Paolo II la Chiesa possiede oggi la “magna carta” della teologia di san Giuseppe, dalla quale appare che la “bellezza” della sposa Maria non solo nulla toglie alla “insigne figura” del suo sposo Giuseppe, ma la illumina con il suo riflesso.