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Venerdì, 09 Agosto 2013 13:48

La bellezza salva il mondo dei credenti Featured

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di Stefania Severi

La porta costituisce il luogo dello scambio tra ciò che è fuori e ciò che è dentro, in termini fisici e soprattutto metafisici. Una porta costituisce per lo scultore una sfida ed un traguardo per la propria carriera


Per ogni scultore, e questo vale anche per Benedetto Pietrogrande, la realizzazione della porta di una chiesa rappresenta un impegno importantissimo. L’artista è infatti consapevole dell’alto valore simbolico di tale lavoro: la porta costituisce il luogo dello scambio tra ciò che è fuori e ciò che è dentro, in termini fisici e soprattutto metafisici. Basta ricordare, su tutte, le porte del Tempio di Salomone, di cui nel I libro dei Re si dà esatta spiegazione circa i tipi di legno, le decorazioni e la copertura a foglia d’oro. Una porta, anche sotto il profilo squisitamente tecnico, presenta vari problemi: è una sfida tra ciò che è piano e ciò che è tridimensionale; implica una visione complessa dell’insieme che tenga conto di ciò che è a livello dello sguardo del fruitore e ciò che è al di sopra e al di sotto di esso; deve consentire la armonica fruizione sia del particolare che del generale senza disarmonie tra le varie parti; deve tener conto della relazione con la struttura architettonica; deve rispondere alle esigenze, ai valori ed alle intenzioni della committenza.

Insomma una porta costituisce per lo scultore una sfida ed un traguardo per la propria carriera. Benedetto Pietrogrande ha già realizzato, oltre a numerosissime opere pubbliche, prevalentemente sacre, tra le quali formelle della Via Crucis, altari, amboni, tabernacoli, fonti battesimali e statue devozionali anche monumentali, anche due porte bronzee: una per la chiesa di Scaldasole (Pavia), nel 1993, ed una per la chiesa di S. Martino degli Svizzeri in Vaticano, nel 1999. Per San Giuseppe al Trionfale l’artista è stato dunque chiamato a nuovo impegno ed egli ha saputo rispondere non solo con professionalità ma anche con particolare sensibilità in relazione ai contenuti al luogo.
C’è da premettere che lo schema compositivo è stato imposto all’artista; infatti egli doveva realizzare 10 formelle, di cm 65 x 65, in relazione alla preesistente porta lignea della Basilica, che si è voluta conservare non solo per meri motivi economici (infatti è evidente che una porta di tale mole completamente in bronzo avrebbe comportato costi molto più elevati), ma anche perché quella porta era stata del Duomo di Milano ed era giunta a Roma grazie proprio all’intervento diretto di Don Guanella. Ma era altresì nei voti del Santo dare maggior lustro alla Basilica da lui fondata con porte bronzee. Ecco, pertanto, che la soluzione prescelta, arricchire la porta già in situ con formelle bronzee, ha ottemperato alle varie esigenze.
Era a questo punto importate il dialogo tra committente e artista in relazione ai soggetti delle varie formelle. Una breve osservazione può chiarire l’annosa e pretestuosa diatriba tra libertà artistica e costrizione dovuta a soggetto proposto dalla committenza. Certa critica contemporanea sostiene che se ad un artista viene imposto un soggetto se ne limita automaticamente la libertà. Questa affermazione in realtà concepisce la libertà non come libera scelta espressiva ma come mera visione arbitraria, priva di riferimenti con la realtà. Ad esempio, il tema della fuga in Egitto, oltre ad essere imprescindibile in un’opera celebrativa di San Giuseppe, è un tema che si rifà ad un testo, in questo caso evangelico, ma sta poi all’artista svilupparlo nei modi che ritiene più adeguati. Si pensi al riguardo agli innumerevoli dipinti su tale soggetto, di tantissimi artisti di epoche diverse. E si pensi alle 22 incisioni realizzate da Giandomenico Tiepolo, tutte diverse tra loro e bellissime, a riprova che quel tema era per lui uno stimolo e non già un limite. Il soggetto è infatti per il vero artista un incentivo, un banco di prova per confrontarsi con chi tale soggetto ha affrontato prima di lui e riuscire a realizzarne una versione nuova e originale, la “sua”.
Ma l’opera di Benedetto Pietro­grande per San Giuseppe al Trionfale è una porta o un portale? In senso tecnico architettonico: la porta è costituita da uno o più elementi mobili che aprono e chiudono un passaggio; il portale è la struttura architettonica, semplice o complessa, alla quale la porta è incardinata. Tuttavia il termine portale si è diffuso anche ad indicare una porta di grande dimensione ed importanza. Pertanto entrambi i termini sono adatti ad indicare l’opera per San Giuseppe.
Venendo dunque nello specifico ad analizzare il lavoro di Pietrogrande, è necessario fare delle considerazioni sul suo modellato, che si caratterizza per una conduzione che tiene conto sia della forma naturale di riferimento sia di una esigenza di sintesi, tipica dell’arte a partire dal XX secolo. Ne conseguono piani sintetici ma mai schematici, che mantengono vivo l’effetto di un colpo di spatola o di pollice sulla creta originaria.
Su tali piani divergenti, luce e ombra si rincorrono con lievità, senza mai dar luogo ad effetti troppo marcati. Pertanto non è già il plasticismo della forma ma la lieve scabrosità delle superfici a caratterizzare l’insieme. Ci troviamo di fronte ad una plastica dal rilievo molto contenuto che si affida talvolta al graffito o ad un rilievo schiacciato - si sarebbe tentati di utilizzare il termine rinascimentale e donatelliano di “stiacciato” -  per ottenere i vari livelli di profondità. L’effetto è di una luminosità vibratile e diffusa, che va sicuramente ascritta alla grande tradizione artistica nella quale Pietrogrande è stato formato, che è quella veneta.
L’aver studiato all’Accademia di Belle Arti di Venezia costituisce non solo un dato biografico ma un segno distintivo della sua plastica. L’aver poi lavorato prevalentemente a Milano, dove è stato anche docente, ha in seguito conferito all’artista quell’inclinazione al dato naturale che è tipica di quella scuola regionale da tempo immemorabile. La luminosità dell’insieme delle formelle risulta particolarmente armonica grazie alla ampia trattazione dei piani di fondo, che consentono il diffondersi della luce lungo tutto il perimetro della porta, per bilanciare l’ombra del portale che avrebbe potuto creare oscurità più incisive. Ogni formella si caratterizza per un ritmo compositivo in se stesso organico ma che, al contempo, si armonizza con quello delle formelle vicine, in modo che l’intera sequenza risulti armonica.
Procedendo dall’alto verso il basso, da sinistra a destra, i soggetti delle formelle sono: Sant’Ambrogio e San Carlo Borromeo, la cui presenza è strettamente legata alla volontà di San Luigi Guanella che li avrebbe voluti sulla porta della “sua” chiesa; San Pio X e la Madonna della Provvidenza; quattro formelle relative a San Giuseppe, rispettivamente il sogno, la fuga in Egitto, il lavoro a Nazareth e il Transito; San Luigi Guanella con la beata Chiara Bosat­ta e il Venerabile Aurelio Bacciarini con don Leonardo Mazzucchi.

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