Il Padre, che ha generato un Figlio per amarlo, ha creato il fratello, copia minore di quel Figlio, perché noi possiamo amarlo. Il fratello è immagine di Dio: sua progenie, frutto del suo sangue: sì che in lui si ama Dio per effigie e per rappresentanza. Né basta: il fratello è tale perché figlio d'uno stesso Padre, Dio; ridivenuto figlio di Dio per l'incarnazione, passione e morte di Gesù. Si può dire che il fratello ci è stato dato perché ci ricordi, per similitudine, Dio [...].
Il quale, perché infinito, non si può vedere con pupille limitate: lo si vede, come in uno specchio, nel fratello. Infinito, Dio non si può amare con servizi congrui alla sua infinità. Lo si può servire nei fratelli, in cui è Cristo, poiché i fratelli abbisognano di servizi limitati, congrui alle nostre possibilità.
Mentre ripercorriamo con le labbra le dieci “Ave Maria”, seguiamo con gli occhi del cuore della Tuttasanta questo mistero, che segna l’inizio della vita pubblica di Gesù. Lo contempliamo insieme a quella folla dolente di peccatori, di tribolati, di “mendicanti di Dio”, che si reca a farsi battezzare: Gesù non ha bisogno di un battesimo, ma viene Lui a battezzarci nella potenza dello Spirito Santo; Egli cioè scende nelle acque perché quelle ricevano il suo Spirito, perché possano dunque rendere efficace il battesimo che noi stessi abbiamo ricevuto, che è un essere sepolti con Lui per risorgere con Lui. Egli dunque si immerge nelle acque perché noi potessimo essere immersi in Lui; egli si rende partecipe della povertà della nostra umanità perché tutti noi potessimo essere resi partecipi della sua ricchezza di Figlio di Dio. Dalla sua pienezza, infatti, noi tutti abbiamo ricevuto.
Nel precedente incontro abbiamo letto nel “discese all’Inferno” il mistero della salvezza in Cristo morto e risorto offerta a tutti gli uomini da sempre e per sempre. Questo però non vuol dire che tutto è solo cosa di Dio. Per coloro che li hanno ricevuti, quindi per noi, Battesimo e Cresima sono base della missione cristiana. La salvezza, per quanto dipende da Dio, è offerta in modo misterioso alla libertà di tutti gli uomini, di tutti i tempi e di tutti i luoghi, dalla misericordia infinita della grazia di Dio…
Nell’itinerario di “rivisitazione” dei documenti del Concilio Vaticano II non può mancare un’attenzione particolare alla Costituzione pastorale Gaudium et Spes sulla Chiesa e il mondo contemporaneo. Tra tutti i documenti conciliari forse questo poteva essere considerato meno interessante per chi aveva abbracciato la vita monastica claustrale, la quale è, per sua natura, vocazione di “separazione dal mondo”. Ma già alla lettura del Proemio ci si poteva convincere che non era affatto così. Personalmente, lo sentii subito molto consono al mio modo di intendere e vivere la mia vocazione, che era andata maturando proprio nei difficili anni della guerra e dell’immediato periodo post-bellico, quindi a contatto con la più atroce e insensata violenza, a contatto con il dolore umano, nell’esperienza dell’impotenza a lenire tanta sofferenza e a fasciare le ferite di tanti cuori…