In questo mistero contempliamo come Gesù Cristo annuncia il Regno di Dio, la sua vicinanza e la sua presenza in mezzo agli uomini: perdonando i peccatori, guarendo i malati, annunciando la Parola. In un solo termine, potremmo dire che Gesù annuncia il Regno, e annunciandolo lo fa presente, “consolando” il suo popolo: la presenza di Dio in mezzo a noi è sempre una presenza di consolazione. Questa presenza sgorga dalla parola che Gesù ci dice, e si riempie di tantissimi colori diversi. Per qualcuno il Regno che viene è innanzi tutto una chiamata a lasciare tutto, farsi libero dai propri ripiegamenti sulla propria vita, a diventare libero per seguire Gesù, come per il pubblicano Levi-Matteo. Per altri, come per l’adultera, è l’esperienza che Dio è più grande del proprio peccato, che non siamo da Lui condannati e giudicati, ma accolti e benvoluti. Per altri, come i lebbrosi, è il fatto inspiegabile di essere risanati, nel corpo o nell’anima, di uscire da una qualche somiglianza con la morte, che i lebbrosi mostrano nel loro corpo, per entrare in una dignità nuova e più grande. Per altri, come gli indemoniati, è scoprire che esiste una Parola che è più forte delle catene che ci legano, delle schiavitù che ci vincolano, delle infelicità che ci attanagliano, è vivere l’incontro inaspettato con Colui che viene a farci liberi e figli di Dio, da estranei o nemici che ci ritenevamo; e così via, in tante forme quante sono le figure che i vangeli ci mostrano, e che si possono concretizzare in noi stessi, nelle nostre vite.
La parola di Gesù infatti è come un prisma, nel quale la luce di Dio si rifrange in molteplici colori e varie sfaccettature, ed entra nelle nostre vite con modalità diverse, ma sempre liberando, guarendo, consolando. Direi che contemplando questo mistero possiamo chiedere che il Regno di Dio per noi non sia una teoria, come a volte si ritiene. La fede infatti non è un libro che si legge, una ideologia che professiamo, anche se possiamo scrivere un libro su di essa oppure trarne una dottrina e un insegnamento, ma è innanzi tutto un incontro, vorrei dire un fatto, o una serie di fatti, che ci rivelano, come nascosto dietro le tende, Qualcuno. Questo Qualcuno è Gesù che ancora, come ai tempi della sua vita terrena, passa, sanando e beneficando tutti; dalle sue vesti, dal suo mantello, che è la Parola di cui è rivestito e portatore, sgorga una forza che sana e guarisce, e noi ci troviamo dunque come l’emorroissa, risanata e guarita, nonostante la sua triplice inguaribile impurità, di donna, di pagana, del sangue impuro che da lei sgorga. Oppure, come la samaritana, siamo smascherati nelle nostre piccole furberie, nei nostri pregiudizi, nelle nostre ambiguità e contraddizioni, e la Parola ci rivela per quel che siamo; ma non ci umilia, piuttosto ci solleva, e ci rende anche noi portatori e annunciatori dell’esperienza che abbiamo vissuto.
L’agire della Chiesa, cioè di tutti noi, non è altro infatti che essere trasparenza di quel che noi stessi abbiamo toccato con le nostre mani, visto con i nostri occhi, ascoltato con le nostre orecchie, come dice San Giovanni nella sua prima lettera. E come potrebbe dire certamente anche Maria, che sentiva dalla gente quanto il suo Figlio compiva, ci rifletteva, custodiva quanto accadeva intorno a sé nel suo cuore, lo confrontava con le parole dei profeti che sentiva annunciare nella sinagoga, riportandole al Figlio che aveva generato e che, unica, sapeva chi era veramente, perché sola sapeva come lo aveva generato. Anche in questo mistero Maria ci appare come la vergine saggia, che illumina la sua vita con l’esercizio continuo e fedele della meditazione della Parola di Dio, con il suo rifletterla e come scrutarla presente nella propria vita, nei segni che Gesù compie, nel vederla attuata e compiuta in quanto il suo Figlio dice e compie.
Possiamo pregare dunque per tutti noi, per le persone di questo mondo: perché anche oggi e anche da noi Gesù vuole farsi incontrare, e vuole che la sua Parola liberi, guarisca e consoli. Possiamo pregare perché questo incontro si compia nella grazia dello Spirito Santo e, infine, per essere noi stessi strumento e come guida agli altri per questo incontro che noi stessi abbiamo sperimentato.
Dalla vita di Abele in poi, l’uomo ha scoperto che la preghiera è la fonte di energia più potente che le persone possono sperimentare. In tutta la Bibbia la preghiera appare come il respiro di ogni vivente. Questo respiro, evidentemente, era l’anima della famiglia di Nazareth. Per Giuseppe, Maria e Gesù, l’invito alla preghiera era segnato in cinque momenti della giornata, quasi per dare una continuità alla lode, obbedendo alla parola che Gesù avrebbe insegnato ai discepoli come leggiamo nell’evangelo di Giovanni: «Senza di me non potete fare nulla» (15,5) e in quello di Luca: «Bisogna pregare sempre» (Lc 18,1).
Per molti oggi questa «Parola» di Dio cade nel vuoto. Troppe volte Dio non fa più parte delle nostre abitudini. L’ateismo non è più soltanto il problema di pochi. «Dio non serve a niente», è l’obiezione più facile. In effetti, Dio non esiste per «servire» a qualche cosa, come molti ancora pensano; Dio non è il medico dei casi disperati, né un’agenzia di assicurazioni con dei pegni pagati con giaculatorie o pellegrinaggi, né un alibi per spiegare quello che l’uomo non capisce o ancora non riesce a fare.
Credere in un Dio così, è sedere nell’anticamera dell’ateismo.
Non è semplice fare un’analisi del complesso problema dell’irreligiosità moderna. Alla base del fenomeno dell’ateismo e dello scetticismo religioso c’è spesso l’ignoranza dell’autentico messaggio cristiano. Per questo la Chiesa ha teso la mano agli atei anche con l’Esortazione «La gioia dell’evangelo».
Nati e vissuti nella fede della Chiesa, i cristiani hanno bisogno di riscoprire la grandezza e le esigenze della vocazione battesimale. è paradossale che il battesimo, il quale fa dell’uomo un membro vivo del Corpo di Cristo, non abbia molto posto nella coscienza esplicita del cristiano e che la maggior parte dei fedeli non sentano l’ingresso nella Chiesa attraverso l’iniziazione battesimale come il momento decisivo della loro vita.
Il battesimo dato a noi nel nome di Cristo è manifestazione del preveniente amore del Padre, partecipazione al mistero pasquale del Figlio, comunicazione di una nuova vita nello Spirito; esso ci pone dunque in comunione con Dio, ci integra nella sua Famiglia; è un passaggio dalla solidarietà nel peccato alla solidarietà nell’amore.
L’uomo moderno sembra davvero convinto di essere padrone del suo destino. L’uomo e la donna oggi hanno sostituito la speranza teologale con una speranza umana e terrena.
Oggi, però, si accorgono di avere avuto troppa fretta nel proclamare la loro completa autonomia e nel gridare che Dio non c’è, o è inutile. L’ubriacatura del progresso ha reso l’uomo cieco di fronte a questi squilibri che esistono nel mondo e ai fenomeni nuovi, preoccupanti nella loro stessa novità. L’esperienza scottante di due guerre mondiali, i campi di sterminio, le paurose devastazioni delle bombe atomiche, lo squilibrio prodotto nell’ecologia, l’inquinamento atmosferico, le fosche e apocalittiche visioni dei futurologi, gli ripropongono il problema di una «salvezza» che ha dimensioni più vaste e più profonde.
La luce è uno dei bisogni primordiali dell’uomo. Essa non è solo un elemento necessario alla sua vita, ma quasi l’immagine della vita stessa. Questo ha influito profondamente sul linguaggio, per cui «vedere la luce», «venire alla luce» significa nascere, «vedere la luce del sole» è sinonimo di vivere.
Al contrario, quando un uomo muore, si dice che si è «spento», che «ha chiuso gli occhi alla luce». La Bibbia usa questa parola come simbolo di salvezza. Il salmo responsoriale pone la luce in stretto rapporto con la salvezza, mostrandone l’equivalenza: «Il Signore è mia luce e mia salvezza».
«Dio è luce e in lui non ci sono tenebre». Egli «abita una luce inaccessibile». In Gesù la luce di Dio viene a risplendere sulla terra: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo». «Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre».