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Saturday, 30 May 2020 12:34

La vita di Giuseppe è un archivio di memorie e un mondo di futuro

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di Rosanna Virgili

Giuseppe era stato costretto a lasciare la sua terra, spinto dalla paura e dalla preoccupazione per il suo figlioletto ricercato da Erode. 

Per ben quattro volte un angelo appare a Giuseppe di notte. Siamo arrivati alla terza “irruzione” celeste nel cuore dei sogni di Giuseppe. Ci troviamo in Egitto e possiamo immaginare come lì Giuseppe avesse, magari, trovato un’occupazione che gli permettesse di provvedere alla sua famiglia, mentre Maria era intenta ad accudire il neonato Gesù. Ma il desiderio di tornare in patria doveva tener sempre sveglio il cuore del padre.

Se lui fosse stato un migrante volontario che aveva lasciato il suo paese per cercare miglior fortuna, liberamente e di propria iniziativa, allora, come tanti che, anche oggi, se ne vanno all’estero, non sarebbe tornato a casa se non per le vacanze o per rivedere, dopo degli anni, il volto dei vecchi genitori. Ma Giuseppe era stato costretto a lasciare la sua terra, spinto dalla paura e dalla preoccupazione per il suo figlioletto ricercato da Erode. Un po’ come il Renzo dei Promessi Sposi, che dovette lasciare i monti amati con la sua Lucia, con gli occhi pieni di pianto e di angoscia, così dovette essere anche per i genitori di Gesù. Avrebbero dato chissà cosa per poter ritornare nel paese dell’anima.

Amara e bella 

«Morto Erode, ecco un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nel paese d’Israele”. Egli si alzò, prese con sé il bambino e sua madre ed entrò nella terra di Israele» (Mt 2,19-21). Chi vive fuori dal proprio paese, si sa, si tiene in contatto con i parenti o con gli amici ed è sempre avido di notizie. Così Giuseppe doveva essere costantemente interessato a sapere come andassero le cose in Israele. Giunge, finalmente, una bella notizia: Erode è morto! Il motivo dell’esodo in Egitto è venuto a cadere e Giuseppe si accinge al ritorno. Ma non sempre le cose procedono come noi immaginiamo. Bisogna essere prudenti. Il figlio Archelao avrebbe potuto rivelarsi non meno violento e sanguinario del padre Erode. Giuseppe ha di nuovo paura. Nella sua storia uno scrigno di memoria del passato e del futuro. Ritroviamo la dura sorte dei figli di Abramo, i suoi antenati e patriarchi che, pure, avevano lasciato il paese per scendere in Egitto. Lì erano rimasti per più di quattro secoli ed erano diventati un popolo numeroso. Ma quando il Signore li volle far salire nella terra dei padri, non fu affatto facile l’impatto. Violenta fu la conquista, difficile la permanenza. Come ogni uomo anche Giuseppe porta nella sua carne i segni della storia della sua famiglia, dei suoi antenati, delle sue origini. Di quanto di amaro hanno vissuto i suoi nonni, di quante ingiustizie subite, quante sofferenze portate sulle spalle. Tutto ciò è quanto un padre consegna ad un figlio: se stesso e le sue cicatrici, insieme alle indomate speranze. Per gli ebrei la Giudea era la terra amata, la terra donata, la terra eletta, ricca di frutti e di gioia, di miele e di vino, dove i profeti avevano cullato i loro sogni più belli. Ma, allo stesso tempo, quella “terra promessa” era dilaniata dalle divisioni, dalla mancanza di fraternità, da una religiosità rigida e ipocrita che colpiva, soprattutto, i più deboli: gli orfani, le vedove, i poveri e gli stranieri. Giuseppe anticipa la sorte di Gesù che proprio in Giudea trovò la morte, fu continuamente insidiato dai tranelli che i Farisei, gli Scribi e i Dottori della Legge gli tendevano, mettendolo alla prova proprio sull’ortodossia religiosa. Gesù verserà lacrime su Gerusalemme, la città amata che «uccide i profeti» (Lc 13,34). E che uccise anche Lui, il Figlio di Dio, il figlio di Giuseppe. Sembra che il padre avesse un presentimento di quanto sarebbe toccato al figlio: «Ma quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi» (Mt 2, 22).

Innumerevoli sono le storie di uomini e di padri che hanno un rapporto tormentato col proprio Paese. È un mistero d’amore e di dolore che tocca, specialmente, chi vive un legame viscerale, indissolubile, con la propria terra. Penso a Giovanni Falcone, a Paolo Borsellino, a Louis Sepúlveda, solo per citare alcuni, nei tempi recenti. Penso a loro e ai loro figli. «La vita dell’uno è legata alla vita dell’altro» dice Giuda a proposito di suo padre Giacobbe e suo fratello Beniamino (Gn 44, 30). Così fu anche per Giuseppe e Gesù.   

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