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Saturday, 17 March 2018 16:28

Una politica popolare da parlare in dialetto

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Luigi Sturzo, sacerdote e sociologo

Luigi Sturzo: prete, scrittore, economista, sociologo, sindaco, politico, deputato, fondatore di partito, esule, poi reduce, senatore a vita, sempre scomodo, ma tra un po’ persino beato: il cardinale Ruini nel 2002 avviando il processo lo ha detto “apostolo della politica”, e ora, 24 novembre 2017, al Vicariato di Roma si è chiusa la fase preparatoria in sede diocesana: 154 testimoni tra Italia, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, e l’esame di 50 volumi di scritti vari. Avanti, dunque! Apprezzato nella Chiesa? Ora certamente, in passato qualche resistenza. Ma apprezzato anche in ambienti diversi.  Per Gaetano Salvemini era «un’Himalaya di certezza e volontà». è don Luigi Sturzo. Contro quell’Himalaya sono andati a sbattere in tanti. Sesto figlio di un aristocratico di campagna, nasce a Caltagirone il 26 novembre 1871. Prete a 23 anni, ma a 20 la rivoluzione della vita gli viene dalla Rerum Novarum di Leone XIII.

La Chiesa si affaccia sul balcone delle rivoluzioni sociali e don Luigi, a Roma per studio, a Pasqua va a benedire le case e scopre il dramma della povertà di tanta gente. è la svolta. Conosce e frequenta grandi cristiani inquieti come Romolo Murri e Giuseppe Toniolo. Finiti gli studi torna a Caltagirone e fonda le prime sezioni operaie: in parrocchia! Organizza casse rurali e cooperative. Contadini e lavoratori di fabbrica per lui debbono diventare anche proprietari. Scrive sui giornali, scandalizza agrari e mafiosi, parla di lotta sociale doverosa. Teorizza meridionalismo e autonomie comunali. Con lui nasce il municipalismo cattolico: base di ogni vita civile è il Municipio. Nel 1902, a 31 anni, organizza un movimento di cittadini: alle elezioni locali ha 7 seggi su 40. Nel 1905 è maggioranza.

Lo fanno pro-sindaco, per aggirare il divieto papale della politica. Resiste per 15 anni. Disturbando molte anime pie e molti pescecani sociali concepisce un vero e proprio programma politico-sociale, fonda il Partito Popolare e nel 1919 lancia il famoso appello ai “liberi e forti”: cattolici, ma indipendenti in politica da ogni autorità ecclesiastica, democratici, non conservatori, in mezzo alle lotte di tutti. Oggi pare normale. Allora fu un putiferio. Le accuse: modernista, rivoluzionario e pericoloso. Va avanti con il suo Partito Popolare Italiano: ne è segretario fino al 1923. Anni terribili, dopo la prima Guerra: di lotte e di crisi, economiche e politiche. è arrivato il fascismo e lui presto depone le illusioni: lo dice e lo scrive. In alto qualcuno se le fa ancora, invece, e questo prete antifascista diventa scomodo in vista dell’avvento della creatura di Benito Mussolini in crescita. Diventerebbe un ostacolo al futuro...  Il cardinale Segretario di Stato, Pietro Gasparri, gli ordina di dimettersi da segretario del Partito – che Mussolini presto scioglierà – e di andare in esilio. Obbedisce: è il 1924.

Prima Londra, poi Parigi, e dopo il 1940 New York: per 22 anni esule dalla patria e visibilmente anche dalla Chiesa ufficiale... 22 anni di esilio. Per prudenza, pur a guerra finita, lo fanno tornare dopo il referendum repubblica/monarchia: era fervente repubblicano, e la cosa in alto non piaceva. Ha pensato e scritto: sociologia, economia, istituzioni, ma anche teologia e Bibbia. Gli ultimi anni di vita, 13, li passa a Roma, scontroso e riservato, coltivando il sempre più forte rapporto con Cristo, con la cultura e con gli uomini di potere, ma come servizio, fino in fondo... Nel 1952 il laico Einaudi lo nomina senatore a vita, e lui attende che arrivi il permesso di Pio XII. Arriva, e accetta: l’Italia intanto cambia a poco a poco: sempre ritirato, ma sempre disposto al dialogo con tutti... Dopo 7 anni, 18 agosto 1959, toglie il disturbo. In Vaticano, allora, c’era Papa Giovanni che lo ricordò così: «non ha nulla da rimproverarsi. Altri dovrebbero chiedere perdono a lui. La Chiesa lo ringrazia per l’esempio di virtù sacerdotali, l’onore resole con le sue pubblicazioni, la sua generosa ed eroica accettazione dell’esilio e soprattutto per aver sempre lottato con amore e perdonato evangelicamente». Tra santi o anche, ora, beati ci si capisce sempre: Angelo Giuseppe Roncalli, lumbard da Bergamo, e Luigi Sturzo, siculo da Caltagirone, così uguali e così diversi. Due lezioni di vita e di fede. Anzi: forse una sola, quella che conta davvero! 

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