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Wednesday, 02 March 2016 14:02

«... ne ebbe compassione»

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di Madre Anna Maria Cánopi osb

 «Attraversare oggi la Porta Santa ci impegni a fare nostra la misericordia del buon samaritano». Con queste parole Papa Francesco terminava l’omelia della Santa Messa di apertura del Giubileo straordinario della Misericordia. La figura del buon samaritano ci è dunque additata come modello privilegiato in questo Anno Santo. Al cuore della parabola spicca, infatti, il verbo «ebbe compassione», un verbo che nella società violenta del nostro tempo sembra fuori uso; in realtà è il verbo più necessario da imparare a coniugare in tutti i suoi tempi e modi, come fece il buon Samaritano. La parabola nasce in risposta alla domanda che un dottore della legge rivolse a Gesù per metterlo alla prova: Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna? E Gesù rispose con un’altra domanda: Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi? Il dottore della legge rispose senza esitazione, citando esattamente il comandamento dell’amore di Dio e del prossimo (cf. Dt 6,5 e Lev 19,18). Tuttavia tale risposta lasciava aperto per lui il problema di interpretare nella concretezza delle situazioni chi fosse il prossimo.

Di qui la sua seconda e decisiva domanda, quella che doveva costituire un trabocchetto per Gesù: E chi è il mio prossimo? Secondo i Giudei, infatti, “prossimo” erano i connazionali e, al massimo, i proseliti, quanti cioè aderivano in pratica alla religione del popolo ebraico; non erano invece considerati tali gli stranieri, i pagani e quanti trasgredivano le norme e i precetti della Legge, in particolare i samaritani che venivano considerati scismatici. Gesù non rispose direttamente alla domanda, ma raccontò una parabola. Sulla strada che da Gerusalemme scende a Gerico un “viandante” – l’umanità – viene aggredito da briganti e cade a terra mezzo morto. È una storia assai realistica che continua a verificarsi ancora oggi su tutte le strade del mondo. Mentre il malcapitato si dibatte tra la vita e la morte, passa dapprima un sacerdote, poi un levita: due scrupolosi osservanti della Legge; entrambi, vedendo l’uomo, vanno al lato opposto della strada e continuano il loro cammino. Indifferenza? Disumanità? Probabilmente no; forse erano solo trattenuti dalla preoccupazione di rispettare il “precetto della purità” richiesta per il servizio del culto. Passa poi un samaritano, uno di quelli che gli ebrei consideravano eretici, impuri, da cui stare “lontano”. E che cosa accade? Ne ebbe compassione. La vista di quell’uomo provoca in lui un coinvolgimento che gli altri due passanti non hanno avuto. Il samaritano non si chiede quale sia il suo “dovere” di umanità; agisce per impulso del cuore. Il dottore della legge aveva chiesto a Gesù: Chi è il mio prossimo? Il samaritano risolve il problema capovolgendolo. Non si chiede: «Spetta a me soccorrere o spetta ad altri?». No, non si dà il tempo di porsi queste domande; spontaneamente si avvicina e si china su quell’uomo ferito, si fa prossimo… E in tal modo mostra a noi tutti l’esatta interpretazione della Legge: il prossimo è colui al quale, spinto da amore, io mi avvicino soccorrendolo in ogni sua necessità. È quanto ha fatto Gesù, venendo sulla terra a cercare l’umanità smarrita per riavvicinarla al Padre dal quale si era allontanata. È Lui il vero Samaritano. Ed è solo grazie a Lui e in Lui che anche noi possiamo diventare buoni samaritani gli uni per gli altri; altrimenti i nostri rapporti sarebbero destinati ad essere, nel migliore dei casi, rapporti di semplice rispetto, chiusi in un orizzonte solo terreno e incapaci di “rialzare da terra” il prossimo, ma più spesso sarebbero rapporti di indifferenza e, ancor peggio, di predominio e di violenza, sotto la spinta di una natura ferita dal peccato. «Tutto muta – scrive Romano Guardini – se comprendo quello che dice Cristo: Tu e l’altro siete, per mezzo mio, fratelli e figli dello stesso Padre» (Il Signore, Vita e Pensiero, Milano 1977, p. 366). Tutto cambia quando si comincia a sentire l’altro veramente come se stessi. Io devo diventare prossimo all’altro in modo che l’altro conti per me come me stesso, secondo la regola d’ora del Vangelo: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro» (Mt 7,12). Il trattamento che io vorrei per me, lo uso verso gli altri, senza considerare chi sia, se lo meriti o no, perché nell’altro non vedo uno sconosciuto, uno straniero, ma me stesso; anzi, ancora di più: vedo Cristo che ha voluto essere presente nel povero, nel forestiero, nel malato, nel carcerato. Questo è il capovolgimento di mentalità che si chiama conversione. Proseguendo, la parabola mette in evidenza le conseguenze di tale capovolgimento. Il samaritano non si limita ad avvicinarsi al ferito con sentimenti di pietà. Tali sentimenti diventano in lui carità fattiva: egli si ferma, presta i primi soccorsi all’uomo ferito, lo carica sulla propria cavalcatura e lo conduce fino ad una locanda; lo affida all’oste a sue spese, e poi ritorna a visitare il ferito, sperando nella sua guarigione. Con la sua Incarnazione, Gesù si è messo sulla strada in discesa che dal cielo l’ha portato sulla terra; con la sua Passione e Morte ha mostrato al vivo che cosa significa amare il prossimo come e più di se stessi. Vedendo tutti noi feriti, non è passato oltre, poiché lo scopo del suo viaggio sulla terra era proprio quello di farsi vicino a noi, di farsi carico di tutti noi – che siamo la sua vera croce – per salvarci ad ogni costo. Anche dopo la Risurrezione e l’Ascensione, egli è ancora sempre in viaggio lungo le strade dell’umanità. Sulle nostre ferite continua a versare il vino della Parola, l’olio della consolazione… Continua a caricarci sulle sue sacre spalle, sollevandoci dalla nostra miseria e oppressione, liberandoci dalla schiavitù delle passioni che ci abbrutiscono, per renderci membra del suo santissimo Corpo. Tutto questo egli lo compie attraverso la Chiesa: è questa la “locanda” di cui parla il Vangelo, come amano sottolineare i santi Padri. Da lui soccorsi con viscere di misericordia, noi dovremmo imparare ad essere gli uni per gli altri sacramento dell’amore compassionevole e gratuito di Dio. Sappiamo che ovunque nel mondo, vicino e lontano rispetto a noi, ci sono persone che soffrono e che hanno bisogno di soccorso: ognuno ha nel cuore ferite nascoste. Non passare “dall’altra parte della strada” significa non immunizzarci, non difenderci dal dolore altrui, così da non esserne coinvolti. Non possiamo essere disattenti o renderci insensibili, per non doverci fare carico del loro fardello. Il Signore vuole che con lui diventiamo tutti buoni samaritani, compassionevoli verso tutti, a partire da chi ci vive costantemente accanto e che talvolta facciamo più fatica a sopportare, perché questo richiede non un gesto straordinario di generosità, ma un’attenzione perseverante. Le opere di misericordia sono il canale attraverso cui l’amore di Dio passa e si diffonde fino agli estremi confini della terra, facendo fiorire i deserti inariditi dell’umanità.

Signore Gesù, buon Samaritano Tu ti sei fatto prossimo a noi, uomini aggrediti dall’antico nemico e abbandonati sulla strada in discesa della tentazione e del peccato. Continua a guardarci con viscere di pietà, férmati a curare le nostre ferite e sempre fatti carico di noi portandoci sul legno della tua croce. Affidaci alle premure della Chiesa, la locanda in cui si può guarire per riprendere il cammino sulla strada in salita, verso la celeste Gerusalemme, verso la tua dimora di pace e di amore, dove ognuno si riconosce prossimo all’altro in tutti riconoscendo Te che ci fai uno. Amen!

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