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Friday, 04 March 2016 11:12

La crisi: Il fallimento dell’attivismo Featured

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«La trascendenza di Dio, lungi dallo schiacciare l’uomo o dal diminuirlo, si comunica a lui e lo eleva a un livello più alto. Il Dio che supera l’uomo lo rende capace di superare se stesso».

di Giovanni Cucci

La persona, affettivamente matura, è colei che sa integrare la sua capacità riflessiva e intellettuale con le corrispondenti emozioni in modo che le scelte siano espressione concreta degli ideali coltivati e condivisi con libertà e gratuità.

In una visione volontaristica la vita è soprattutto opera dei nostri sforzi; le fragilità non possono trovare spazio, ma in questo modo non si notano più nemmeno le ricchezze e i differenti doni che costituiscono l’unicità preziosa di ciascuno. Caratteristica di questo approccio alla vita è di aver smarrito il senso della gratuità: il Signore ha cessato di essere il padrone della vigna, è diventato un collaboratore, al massimo il nostro “vicepresidente”. Per questo è bene che la crisi esploda e mandi in frantumi questo orgoglio possessivo. Il cardinale Daneels, arcivescovo di Bruxelles, confidava in proposito: «Quando torno a casa dopo una lunga giornata di lavoro, vado in cappella e prego. Dico al Signore: ‘Ecco, per oggi è finita. Adesso, siamo seri, questa diocesi è tua o mia?’ Il Signore dice: ‘Tu cosa ne pensi?’ E io rispondo: ‘Penso che sia tua’ ‘È vero, dice il Signore, è mia’. E allora dico: ‘Allora, Signore, tocca a te prendere la responsabilità della diocesi e dirigerla.

Adesso io vado a dormire’». Poi aggiungeva: «Questo principio è valido tanto per i genitori quanto per il responsabile di una diocesi o di una comunità. Dobbiamo sempre ricordarci delle parole di Gesù a Pietro: ‘Pasci il mio gregge’. Sì, la comunità è essenzialmente il gregge di Gesù. Noi non siamo che i suoi strumenti». La gratuità viene con facilità dimenticata a favore di una concezione efficientista della vita, dove ciò che conta sono i risultati, o il successo. Il vangelo ci mostra una situazione simile quando descrive l’entusiasmo facile delle folle che ammirano Gesù quando compie miracoli, ma poi si tirano indietro quando comincia a farsi conoscere più intimamente, parlando della croce. Anche nella vita ordinaria si possono trovare facilmente esempi di questa concezione efficientista: quante persone sono capaci di dare il meglio di sé al di fuori del proprio ambiente, quando hanno un incarico di responsabilità e si sentono importanti in mezzo agli altri; quando però ritornano nelle proprie case, in famiglia, nella propria comunità rivelano il lato peggiore di sé (pigrizia, lamentele, svogliatezza), perché non hanno nessun ruolo importante da difendere. Essi sono capaci di svolgere un lavoro duro e faticoso, ma per gratificare i propri bisogni, pur dichiarando di servire il Signore: questa spaccatura interiore ed esteriore trova una dolorosa conferma quando giunge il momento fatidico in cui sarebbe più opportuno farsi da parte e lasciare l’incarico ad altri. Saper lasciare è un’attestazione di fiducia nelle generazioni successive, è soprattutto una forma di saggezza. Con le parole di un detto orientale: «Sappi fermarti un passo prima che un altro ti dica: basta! Sappi interrompere il tuo cammino prima che un altro ti dica: basta! Sappi lasciare il posto a lungo occupato, prima che un altro ti dica: basta!». È la libertà mostrata da Gesù che non ha avuto timore di dire ai suoi: «È bene per voi che io me ne vada» (Gv 16,7). Anche su questo punto Gesù dimostra una fiducia nelle persone spesso assente in progetti e istituzioni che in apparenza si vorrebbero basate unicamente sulle forze umane. Come notava Lewis a proposito dei ricatti affettivi che impediscono il dono di sé: «Il momento in cui potremo dire: “Non hanno più bisogno di me”, dovrebbe essere il momento della nostra ricompensa». È invece triste constatare come, sempre più spesso, persone molto avanti negli anni si comportino da bambini egoisti, incapaci di «lasciare spazio» perché altri possano subentrare. Essi si attaccano con morbosità al proprio incarico, al posto di comando, senza rendersi conto che è giunto il momento di «passare il testimone». Si pensi alla vita politica e sociale: sempre più di rado un uomo di governo, un leader, il fondatore di un movimento o di un’opera pubblica, per quanto brillante e dotato, si mostra capace di preparare qualcuno in grado di continuare la sua opera. Si tratta di una vera sconfitta educativa, un furto, forse il più grave, nei confronti delle giovani generazioni. Quando esplode la crisi tutte queste scappatoie di vario genere si sgretolano e richiedono una svolta, un salto di qualità circa le proprie motivazioni, oppure l’abbandono, il “tirare i remi in barca” di cui si parlava sopra, perché la situazione è diventata inconciliabile: in ogni caso non si può più continuare come prima.

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