it IT af AF ar AR hy HY zh-CN ZH-CN en EN tl TL fr FR de DE iw IW ja JA pl PL pt PT ro RO ru RU es ES sw SW
×

Warning

JUser: :_load: Unable to load user with ID: 62

Wednesday, 12 March 2014 17:00

Giovanna Spanu Frutto della fecondità dello Spirito Santo

Written by
Rate this item
(0 votes)

«La piccola santa di casa nostra»

di Gabriele Cantaluppi

Ancora oggi, a dieci anni dalla morte avvenuta nel luglio 2003, Giovanna Spanu è considerata  dai fedeli della parrocchia dello Spirito Santo a Parma la “piccola santa di casa nostra”, vedendo in lei un modello e godendo i frutti della sua opera ancora presente in mezzo a loro, la “Piccola Comunità Apostolica”.
Poiché il papà era guardia di finanza, la famiglia dovette trasferirsi da Bidunì, frazione di Alghero (SS), dove Giovanna era nata il 9 dicembre 1955, a Roma e da lì, pochi anni dopo, a Parma. Il clima familiare era sereno e gli impegni scolastici buoni, ma  Giovanna provava nel cuore un senso di vuoto  e di tristezza, che si acuì nel periodo dell’adolescenza. Cercava di reagire impegnandosi in una squadra di pallamano, in cui era brava ed apprezzata, e nella professione di fisioterapista. Visse anche un’esperienza di fidanzamento, da lei stessa definito “bello e santo”.
Ma il Signore la stava preparando per altri progetti. Ogni giorno sull’autobus che la portava a scuola incontrava dei giovani che la colpivano per la loro gioia. Si ritrovavano nella sua stessa parrocchia e, per conoscerli meglio, cominciò a partecipare anche lei agli incontri, dove il parroco, giunto da poco, proponeva di vivere il Vangelo secondo il modello delle comunità apostoliche.
E fu proprio in parrocchia che la fede, già ricevuta in famiglia, diventò per Giovanna adesione personale alla chiamata di Gesù. Potrà scrivere anni dopo: “Quando ho scoperto nella mia vita che c’era un Dio che mi amava, tutto è cambiato in me. Prima ero lunatica: un giorno ti svegli e sei contenta e va tutto bene, un altro ti svegli e sei triste e va tutto male. Scoperto Dio, tutto diventava nuovo: non mi sentivo più sola, avevo trovato chi potevo amare con tutto il cuore e chi mi amava totalmente”.
Si sentiva non solo amata, ma addirittura desiderata da Dio: “Tu hai sete di me… Come fai Gesù a resistere in cielo senza di me?”.
Il cammino non era stato facile; lo rivela lei stessa: “ La mia vita era vuota, inutile. Ricordo le mie notti; non facevo che piangere. Mi chiedevo: ma tu Gio’, per chi vivi? Perché vivi?”.
Il nuovo rapporto con Dio cambiò anche il modo di pregare: “Gesù mi propone quel rapporto d’amore proprio degli innamorati, mi chiede di donarmi anima e corpo a Lui. Aspetta il mio amore, il mio sì che ancora non gli ho detto fino in fondo”.
Per non illudersi su strade soggettive, Giovanna cercò il rapporto spirituale con il sacerdote, in cui vedeva espressa la volontà di Dio per lei: “Avevo solo una cosa chiara dentro: la mia vocazione è Gesù, poi i dettagli, come seguirlo, me li avrebbe detti Lui”.
Con il discernimento, si sentì chiamata da Dio a occupare accanto al sacerdote la figura materna di Maria, che, all’interno della prima comunità cristiana, era madre sempre presente e, nello stesso tempo, rimaneva in ombra.
Col passare del tempo, le diventò sempre più chiara la via che il Signore le proponeva: “Avevo un grande modello davanti a me: un sacerdote. Lo vedevo spendersi per le anime senza riserve e dicevo: mi piacerebbe fare come lui, ma ero donna e non potevo… Guarda Maria! Lei non era sacerdote ma era madre di sacerdoti. Era tutt’uno col cuore di Gesù, per Lui dava la vita… Avevo capito la mia vocazione: essere Maria accanto al pastore”. 
Nel 1977 si consacrò a Gesù per sempre andando poi a vivere in una soffitta messale a disposizione da un parrocchiano, affemando: “Sono in questa casa per seguire Gesù mio sposo qui sulla terra e per sempre, sono sola come una sposa col suo sposo, sono in missione ventiquattr’ore su ventiquattro, al servizio di Gesù e dei fratelli”.
Cinque anni dopo Giovanna si troverà ad essere il punto di riferimento del gruppo di una trentina di persone, ragazze e ragazzi, donne, coppie di sposi, desiderose di formare accanto al sacerdote una famiglia spirituale, che assumerà il nome di “Piccola Comunità Apostolica”. Modello è la prima comunità cristiana, come è idealizzata dal secondo capitolo degli Atti degli Apostoli: “Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere” (2,42). 
Giovanna vuole imitarla  così: “Voglio essere pastore accanto al pastore, donna del Vangelo, Maria accanto a Gesù” e assistere il sacerdote non solo con i suoi beni, ma con l’offerta di tutta se stessa. Già nel 1988, alla morte della sorella del parroco, aveva preso il suo posto con idee ben chiare: “Non c’era bisogno di una colf o di una perpetua, ma di una madre che costruisce una famiglia”.
Con chiarezza, parlando della sua esperienza, definisce anche quello che ritiene essere il suo campo di apostolato: "Una parrocchia, 8.000 abitanti, un sacerdote...  non si può considerare questa una terra di missione? È vero, non si prende nessun aereo, non si va lontano, non si parla una lingua straniera, però ti guardi intorno e dici: quanti fratelli, quanti poveri! Magari poveri di fede, di Dio, di amore. Quante persone per cui dare la vita, per cui amare, per cui soffrire". Sapeva bene però che “le anime si pagano col sangue, in ginocchio”, e supplicava: “Voglio pagare io per la mia comunità. Ti supplico, Gesù: le mancanze che vedo nei miei fratelli, mettile sul mio conto, pago io”.
Il suo sogni di farsi vittima cominciò a concretizzarsi il 9 agosto 1999, quando le venne diagnosticata una grave forma di tumore, che quattro anni dopo l’avrebbe accompagnata all’incontro con Dio. 
Scrisse: “Da agosto la mia vita è cambiata. Vedo in modo nuovo ogni cosa…  è come se una ventata d’aria fresca, pulita, avesse spazzato ciò che vale poco o niente, per lasciare in piedi momento per momento ciò che più vale, ciò che resta per sempre”.
Negli ultimi mesi al dolore fisico si aggiunse l’esperienza del “silenzio di Dio”: si sentì abbandonata da Dio, dal suo padre spirituale, dalla sua comunità.
Tutto era vissuto da lei con la stessa misura d’amore: un saluto, un consiglio a chi andava a trovarla a ogni ora in canonica, la preparazione del catechismo, le pulizie e i momenti di svago con i ragazzi dell’oratorio. Col passare degli anni diventò il punto di riferimento per tanti, ma non fu mai assorbita solo dal fare, sempre costante nell’aiutare tutti a “essere innamorati di Gesù”.
 
Read 2598 times

Leave a comment

Make sure you enter all the required information, indicated by an asterisk (*). HTML code is not allowed.