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Thursday, 04 August 2016 12:59

Gioia grande per un ritorno

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La pecorella smarrita e ritrovata

di Madre Anna Maria Cánopi

«Quando Gesù nelle sue parabole parla del pastore che va dietro alla pecorella smarrita, della donna che cerca la dracma, del padre che va incontro al figliol prodigo e lo abbraccia, queste non sono soltanto parole…» (Deus caritas est, n. 12). Gesù è venuto nel mondo a manifestare come il Padre ami l’umanità – l’uomo perduto – fino a sacrificare per noi il suo unico Figlio, «andando – come dice ancora Papa Benedetto XVI – contro se stesso» a favore nostro. Se ci pensiamo bene, la parabola della pecorella smarrita ha tanti aspetti che ci riguardano.

È proprio la nostra parabola e dunque abbiamo bisogno di meditarla. Gesù è il buon Pastore venuto per ritrovarci nelle nostre dispersioni e caricarci sulle sue spalle. Si può davvero dire che è il Pastore talmente dedicato al suo gregge, da vivere come in osmosi con esso e assorbire, come dice Papa Francesco, l’odore delle pecore. Ancora di più, mentre è Pastore, si fa Egli stesso Agnello e s’immola per salvare tutto il gregge. La parabola si apre con una domanda: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova?» (Lc 15,4).

Per Gesù tale domanda non ha che una risposta possibile: nessun pastore agirebbe così! Infatti egli è il buon Pastore, che non fa calcoli egoistici; non dice: «Una pecora si è smarrita, ma, che mi importa? Ne ho altre novantanove, essa non mi è indispensabile; non val la pena affaticarmi per andare a cercarla!…». No, egli lascia le altre pecore nel deserto e va a cercare quell’unica perduta. Per Gesù uno è come novantanove! Quando poi trova la pecorella, non si mostra adirato, non la incalza gridandole: «Quanto tempo mi hai fatto perdere! Guarda, o stolta, dove sei andata!», accompagnando le parole con calci e bastonate… No! La prende, l’abbraccia, l’accarezza, se la mette sulle spalle – perché è tanto stanca e malconcia – e la riporta all’ovile. Il pastore si mette in cammino e non si ferma, finché non giunge là dove la pecorella si è smarrita. Dove la cerca? Dovunque. La cerca nel deserto, tra le spine e i rovi, in ogni luogo.

Quella pecorella siamo noi: ci trova dietro un cespuglio di spine, che sono le nostre debolezze, i nostri problemi che ci hanno portati a disperderci qua e là, invece che stare nel gregge accanto al pastore, nella Chiesa, con il Cristo. Nella scelta del pastore è in gioco non un calcolo di convenienza, ma l’amore. E l’amore non si rassegna a perdere chi ama. Quando una pecora si smarrisce ed è in pericolo, quel pastore sente l’urgenza di cercarla, di ritrovarla. Per lui è una vera necessità. Lasciando tutte le altre pecore nel loro pascolo, va a cercare l’unica perduta per riportarla nel gregge come un dono, come un gran bene, poiché rende completo lo stesso gregge. Sarebbe riduttivo della realtà vedere nella ricerca del pastore una preferenza accordata alla pecora smarrita, quasi che delle altre novantanove non gli importasse nulla! Cercando la pecorella smarrita, non solo il pastore non toglie niente alle altre, anzi, è loro dato quello che mancava. Il pastore non fa torto al gregge! Egli ama tutto il gregge e conosce per nome le singole pecore (cf. Gv 10,14).

Non solo, egli dà la vita per esse. Fuori parabola, noi siamo un bene per il Signore e Lui è il nostro Bene. Mentre noi siamo in tanti modi svagati, distratti, indisciplinati, mentre ce ne andiamo qua e là con la mente e il cuore e ci allontaniamo dal Signore con i sentimenti e le azioni, Egli ci cerca sempre, instancabilmente, fino a sacrificare il suo proprio Figlio per noi. Con accenti toccanti, sant’Ambrogio, sentendosi egli stesso pecorella smarrita, invoca il buon Pastore: «Vieni Signore Gesù, cerca il tuo servo, cerca la tua pecora…». È il grido accorato dell’uomo che si smarrito lontano da Dio e che pur lo ricerca e lo attende: «Cerca me, perché io ricerco Te; cercami, trovami, sollevami. Vieni perché sei l’Unico che possa far tornare indietro una pecora vagabonda, senza far rattristare quelle che hai lasciato ».

Spesso noi abbiamo ci lasciamo andare a giudizi severi e a sentimenti malevoli: «Non si merita tutte queste attenzioni e premure! Anzi, si merita un bel castigo…». Il Signore, invece, ha il cuore tenero per tutti e per ciascuno, e non soltanto per qualcuno. Lo comprendiamo questo solo se ci rendiamo consapevoli di quanto noi stessi abbiamo bisogno di perdono; se, invece, ci riteniamo giusti, allora ci pare un torto verso di noi il bene fatto agli altri. Nella vita spirituale l’autosufficienza è una grave cecità, di più: è una falsità. Il Signore si presenta a noi con il Volto della tenerezza. Quando ci sentiamo smarriti e lontani, possiamo pensare che siamo sempre sotto il suo sguardo, che ovunque Egli ci scorge, anche se siamo negli anfratti più oscuri, e ovunque viene a prenderci, per attirarci a Sé, che è la Luce, la Verità, l’Amore; viene a cercarci per farci vivere nell’amore. E quando ci lasciamo trovare, fa grande festa in cielo e in terra.

Quando il pastore della parabola è arrivato con la sua pecorella sulle spalle, forse gli altri pastori lo avranno anche rimproverato: «Dove sei andato per tutto questo tempo! Per cercare quella pecora lì, tutta malandata!», perché, certo, tra rovi e spine si sarà anche fatta male e nel deserto non avrà trovato erba da brucare… Ma il pastore invita tutti: «Facciamo festa!». L’importante è che la pecora sia tornata all’ovile. Quella pecora si era smarrita, perché voleva una propria autonomia, voleva cercare nuove vie, nuovi pascoli; si era allontanata dal gregge forse anche perché non si trovava bene con le altre pecore o non sentiva più affetto per il pastore. Sono tanti gli smarrimenti interiori che ci portano lontano dal Signore, a volte prendiamo un po’ le distanza anche magari solo per curiosità e poi ci troviamo dove certo non volevamo andare a finire.

Il buon Pastore va in cerca della pecorella, ben sapendo che dopo la prima ebbrezza della libertà fa l’esperienza dello smarrimento, della solitudine, anche della paura al sopraggiungere della notte, trovandosi sola e dispersa sui monti, nei boschi, sentendo il latrato dei lupi… Questa pecora smarrita siamo proprio noi; questa è la nostra parabola. Ma, per cercarci, Dio si è incarnato nel Figlio è venuto ed è rimasto con noi, e sempre ci cerca, sempre ci trova sempre si fa carico di noi. Così, però, dobbiamo essere anche noi gli uni per gli altri. Perché ciascuno di noi, ritrovato, è reso responsabile dei suoi fratelli. Noi, che siamo pecorelle sempre un po’ smarrite, dobbiamo avere anche il cuore del buon Pastore e farci carico degli altri – ovviamente con la grazia e la forza che il Signore ci dona – sia mediante la preghiera che con le opere di carità, facendo tutto il possibile per giungere insieme in Paradiso, nei verdi pascoli del cielo, al seguito di Gesù, nostro buon Pastore.

Signore Gesù, Pastore buono, non sono forse io la pecorella smarrita che Tu hai tante volte cercato, che tante volte hai caricato sulle tue spalle per riportarla all’ovile? Quante volte mi hai vista impigliata nei rovi, mi hai trovata a rischio sui dirupi e mi hai presa con dolcezza senza rimproveri, senza strattoni, soltanto rallegrandoti d’avermi ritrovata, e hai fatto festa con i tuoi amici e vicini, gli angeli e i santi, hai fatto festa nella Gerusalemme celeste per me! Quante volte mi hai perdonato e ti sei chinato tra le spine per liberarmi dai miei peccati! Ti prego: fa’ che, lasciandomi cercare e ritrovare, possa sempre esserti motivo di gioia ora sulla terra e poi nei verdi pascoli del Cielo con il candido gregge. Amen.

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