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Thursday, 06 June 2019 16:41

Trasmissione radio - luglio 2019

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Ascolta ora!

Come sempre è una gioia condividere con i nostri affezionati ascoltatori e ascoltatrici pensieri nobili di comunione tra il cielo e la nostra vita terrena in cui si riflette nel nostro quotidiano modo di vivere che dovrebbe essere una perenne eucaristia come eco festosa del nostro riposo che comunque si fa pane da condividere in fraternità anche in questi mesi in cui viviamo con maggior distensione, durante le vacanze rivediamo persone abitualmente lontane; i nonni possono vivere un rapporto quotidiano con i nipoti. Luglio e agosto sono mesi riempiti di una supplemento di gioia e rinnovata voglia di vivere.

Nella lingua italiana la parola “vacanza” significa una sospensione dell’attività quotidiana che riempiono con tenace costanza azioni abitudinarie: orari ed incombenza che ci costringono a mantenere il passo.

La stagione estiva con un periodo appunto di vacanza ci invita a ritagliarsi frammenti di giornata da dedicare esclusivamente a noi stessi in modo da immagazzinare energie indispensabili per seminare un futuro da poter vivere con soddisfazione.

 Il tempo delle ferie per chi lavora e il tempo di vacanza per chi studia è un tempo che serve anche a disinquinare la nostra mente da tante parole pronunciate ed ascoltate in questo periodo.
Notiamo che la sosta estiva non dev’essere un incamminarsi in un vicolo cieco, in una solitudine depressa, ma anche il silenzio e la solitudine, vissute volontariamente, servono a recuperare, assaporandolo, il contenuto delle nostre parole, a far emergere quelle potenzialità latenti nel nostro spirito, a fornire una rinnovata lucentezza ai nostri ideali.

 Papa Francesco rivolgendosi ad un gruppo di pellegrini sordo-muti ha detto parole significanti anche per noi dell’udito perfetto:«La presenza di Dio non si percepisce con le orecchie, ma con la fede; pertanto vi incoraggio a ravvivare la vostra fede per avvertire sempre più la vicinanza di Dio,la cui voce risuona nel cuore di ciascuno, e tutti la possono sentire».

 Nello tsunami, nell’invasionedi suoni e parole ci siamo abituati ad ascoltare e comunicare parole e gesti a volte senza contenuti; stiamo in gruppo, gomitato a gomito, senza una progettualità nei confini del nostro quotidiano. A volte siamo parte di un gruppo, di una comunità, ma sembra di essere avvolti da una spirale simile alla torre di Babele: un frastuono di voci che si rincorrono senza comunicare nulla.

 Soprattutto in città grandi, sui mezzi pubblici, alle soste per aspettare l’autobus si ha l’impressione di sentirsi immersi in un lago di parole fluttuanti come una pentola in ebollizione ma incapace di far giungere e noi di percepirli dei messaggi in grado di aggiungere qualcosa di bello che faccia lievitare la mia vita.

Soprattutto nel mondo giovanile, ma anche noi di un lungo passato alle spalle al centro di questo crocevia di comuni problematiche del frastuono e alle valanghe di parole pensiamo le radio, alla televisione, ai cellulari, ai WhatsApp, Instagram e face-book che sono il mondo della comunicazione dei giovani, ma che anche noi tutti usiamo con comodo e soddisfazione, però dobbiamo dire che in questo incrociarsi di parole perdiamo l’abitudine di parlare agli altri come fratelli.

 Ma un danno ancora più grave ed è che non abbiamo più il  tempo di dialogare e di ascoltare Gesù, il nostro “Maestro interiore" nella profondità della nostra coscienza.

Se desideriamo davvero costruire la comunione di sentimenti con le persone, è necessario saper uscire dalle strade degli uomini e incamminarsi sui sentieri aspri della solitudine e del silenzio. Solo questi sentieri portano alle soglie delle case abitate da uomini capaci di comunicare, ad accampamenti dove l'alba della fraternità conserva ancora i suoi freschi colori.

In questo momento, in casa o per strada, pur con la cuffia negli orecchi, aldilà di volersi chiudere come in una crisalide, non dimentichiamo che c’è Qualcuno che sta bussando alla porta del nostro cuore: è il pellegrino del silenzio, è Gesù, colui che l'eternità silenziosa ancora prima delle creazione ha ospitato nel suo grembo; è il messaggero delle misteriose risposte alle domande della vita;

è il lievito delle novità del mondo che il mondo stesso non può darsi con le sue sole forze.

Bussa nell'immenso silenzio della valle della vita, Egli è il respiro dei secoli e il compagno quotidiano del nostro pellegrinare, la guida nel panorama del bello, è il maestro del vero.

 

 Dobbiamo imparare che solo quando avremo imparato a scrivere nel nostro diario avremo scritto delle silenziose e segrete pagine di intimità con Lui, il Maestro Gesù, solo allora potremo ritrovare e, quindi usare quel linguaggio che spinge verso la direzione del Regno della fraternità.

Le nostre parole, per ora, hanno suoni imparati tra le braccia della mamma, ma già da allora quel balbettare parole incomprensibili, quel farfugliare dei linguaggio del bambino è abitata da un’anima che ha le radici in un “altrove” prima di noi, che non siamo noi a darci, ma è lo Spirito che ce lo offrirà e la farà crescere nella frequentazione costante del silenzio.

Davvero le vacanza con i suoi larghi frammenti di tempo son una bella opportunità per uscire dalle consuete abitudini per ritrovare spazi per praticare e condividere nobili ideali. 

Padre buono,
come è bello il mondo che hai creato
e nel quale ci hai chiamato a vivere e ad amare!

Sentiamo l’esigenza di ascoltare la tua voce,
che ci indica ciò che è buono e bene per noi.
Per questo ci hai donato la tua Chiesa,
dove continuamente risuona la Parola del tuo Figlio Gesù.

Nella tua Chiesa hai chiamato anche noi
a formare una comunità
che educa lasciandosi educare,
che ama custodendo il fraterno,
che spera portando il peso gli uni degli altri. 

Donaci il tuo Spirito santo
perché vivendo nella tua Chiesa
impariamo
ad amare come Gesù
a sentire come Gesù
a soffrire come Gesù
a pensare come Gesù
a scegliere come Gesù.
Amen.

Ed ora una pausa musicale che aiuti a fecondare le parole ascoltate con l’infusione delle energie dello Spirito Santo.

In questi giorni la liturgia feriale ci sta presentando la figura di Abramo, sembra giusto pensare a Giuseppe come l’ultimo dei patriarchi chiudendo lui la dinastia del primo dei patriarchia, appunto, Abramo.

Giuseppe, infatti, inizia la sua grande avventura come «ombra del Padre».

 Egli sarà un padre provveditore con le mani callose e operose per procurare il pane, ma soprattutto un cuore generoso per donare affetto e amore.

Abramo, “il padre della fede”, ha costituito la sorgente del nuovo popolo di Israele e a Giuseppe competerà l’onere e l’onore traghettare l’antico Israele sulla riva della nuova umanità redenta da Cristo.

Questa icona «aiuta a comprendere i limiti della Legge, in merito ai doveri della paternità» che san Giuseppe dovrà assumere nei confronti di Gesù.

Il concetto di "essere padre" nell'Antico Testamento era ricco di una importante tradizione.

Per sottolineare l’importanza della figura del padre nella cultura del popolo ebraico, mi sembra utile rievocare l’atteggiamento di Abramo nei confronti di Agar, dalla quale aveva avuto un figlio. La bibbia ci ha fatto conoscere che «La principessa Sara, moglie del Patriarca, non potendo avere figli, offre la sua schiava e la fa giacere con suo marito, affinché "suo" marito avesse un figlio da lei. In questo frangente la schiava diventava un "prolungamento" del corpo stesso della sua padrona Sara.

Dalla Bibbia sappiamo che Dio, con la voce dei tre ambasciatori, alla Quercia di Mambre in visita alla tenda di Abramo, annunciano che Sara, invecchiata nella sterilità, dopo un anno da quella visita avrebbe partorito un figlio, indicato come «il figlio della promessa», cioè un futuro senza tramonto. Questo figlio avrebbe iniziato una discendenza così numerosa quanto gli innumerevoli sono i granelli di sabbiache giacciono sulla spiaggia del mare.

La promessa fu mantenuta e colei che era detta sterile ha partorito «il figlio della promessa».

I due fratelli, Ismaele il figlio della schiava Agar e ed Isacco cominciarono a giocare insieme, questo fatto fece ingelosire Sara che si preoccupò di tutelare il figlio da lei stessa partorito, temendo che Ismaele potesse prendere il suo privilegio della primogenitura».

In questi giorni ho travato una citazione che non avrei mai pensato di poterla trovare scritta da una persona che si è sempre dichiarata atea e lontana dalla conoscenza dei vangeli. Si tratta di Jean Paul Sartre.

 Questo uomo riferendosi a san Giuseppe scriveva: 

«E Giuseppe? Giuseppe, non lo dipingerei. Non mostrerei che un’ombra in fondo al pagliaio e due occhi brillanti. Poiché non so cosa dire di Giuseppe e Giuseppe non sa che dire di se stesso. Adora ed è felice di adorare e si sente un po’ in esilio. Credo che soffra senza confessarselo. Soffre perché vede quanto la donna che ama assomigli a Dio, quanto già sia vicina a Dio. Poiché Dio è scoppiato come una bomba nell’intimità di questa famiglia. Giuseppe e Maria sono separati per sempre da questo incendio di luce. E tutta la vita di Giuseppe, immagino, sarà per imparare ad accettare».

Jean Paul Sartre

«Io non conosco uomo» dice Maria all’angelo Gabriele che le annuncia la futura nascita di Gesù (Luca 1, 34). Maria “discute” con l’angelo e, dal suo punto di vista assolutamente umano gli fa notare che ciò che ha appena udito è impossibile: lei, appunto, «non conosce uomo». Se tra Maria e l’angelo annunciante si apre un dialogo, quelli di Giuseppe sono solo pensieri, che combattono nel segreto del cuore davanti all’improvviso turbinio di eventi in cui si è trovato. La consapevolezza della sua totale estraneità nei confronti della gravidanza di Maria si scontra con l’obiettività dei fatti, ma anche con la fiducia piena e totale nei confronti della sua sposa e, sicuramente, con un grande senso di colpa per non averla saputa difendere. Ma fin dal primo momento, anche quando fatica a comprendere, Giuseppe, che era «giusto», si mette dalla parte di Maria, obbedendo ad una giustizia che non è quella del suo tempo, quella dei rabbini, ma quella del cuore.

 Stacco musicale e preghiera

 

UOMO SCELTO DA DIO

O San Giuseppe,

scelto da Dio per essere su questa terra

custode di Gesù

e sposo purissimo di Maria,

tu hai trascorso la vita nell'adempimento perfetto

del dovere, sostenendo con il lavoro delle tue mani

la santa famiglia di Nazareth,

proteggi propizio noi che fiduciosi ci rivolgiamo a te.

Tu consoci la nostre aspirazioni,

le nostre angustie e le nostre speranze:

a te ricorriamo,

perché sappiamo di ritrovare in te chi ci protegge.

Anche tu hai sperimentato

la prova, la fatica, la stanchezza,

ma il tuo animo, ricolmo della più profonda pace,

esultò di gioia per l'intimità con il figlio di Dio

a te affidato, e con Maria, sua dolcissima madre.

Aiutaci a comprendere che non siamo soli

nel nostro lavoro, a saper scoprire Gesù accanto a noi,

ad accoglierlo con la grazia

e custodirlo con la fedeltà come tu hai fatto.

Ottieni che nella nostra famiglia

tutto sia santificato nella carità,

nella pazienza, nella giustizia

e nella ricerca del bene. Amen!

Giuseppe: l'uomo dalle decisioni repentine

 

San Giuseppe è stato chiamato da Dio a servire la persona e la missione di Gesù mediante l'esercizio della sua paternità, silenziosa, nascosta, ma sempre disponibile e attenta a risolvere le situazioni difficili.

La sua presenza riflessiva e il suo costante silenzio non significava restare immobile, passivo, indeciso o restare indietro rispetto ai tempi e nemmeno rimandare al domani «ciò che la vita chiede oggi».

Giuseppe è un esempio di uomo sempre attento, rapido nelle decisioni da prendere, senza mai avere incertezze e rimandi. Quando ha capito per grazia di Dio il grande mistero che si stava compiendo in Maria, è partito di corsa per andare ad abbracciare Maria la sua promessa sposa e immediatamente ha compiuto l'atto rituale e legale del matrimonio dando inizio alla sua famiglia.

Quando, dall'Impero Romano, viene organizzato il censimento della popolazione della Palestina, Giuseppe, prendendo sottobraccio Maria, si unisce ad una carovana di altra gente e per diversi giorni fa una lunga camminata percorrendo la non piccola distanza che separa Nazareth da Betlemme. Giuseppe deve iscriversi al censimento proprio a Betlemme perché in questa città era nato David, di cui egli era un lontano erede. Giuseppe è un po' preoccupato durante il tragitto perché Maria è prossima al parto e spende tutte le sue energie per sostenerla. Giunto a Betlemme compie quanto è richiesto per il censimento e poi si mette in cerca di un alloggio necessario a far riposare Maria e ad attendere tranquillamente il parto. Ma la ricerca di un alloggio è vana. Ogni locale di accoglienza è strapieno di gente, perfino le case dei lontani parenti sono super affollate a causa del censimento. Giuseppe decide di uscire dalla cerchia della cittadina e se ne va nella vicina campagna ove ci sono molte grotte, ove spesso anche i pastori rifugiavano provvisoriamente il loro gregge, riparandolo dal troppo calore estivo o dalle piogge.

Certo non è una bella camera per nascere, ma almeno non ci sono occhi indiscreti e la delicatezza e la dignità della donna partoriente non è violata da nessuno. Possiamo immaginare quanta gioia e quanta luce ha illuminato quella grotta quando il Bambino ha aperto gli occhi per sorridere alla mamma e al babbo! Il Vangelo dice che anche gli Angeli del cielo si sono messi in movimento per cantare "la gloria di Dio e pace agli uomini" e per spargere intorno la "lieta notizia".

Felice Giuseppe ha accolto i pastori che sono venuti a vedere il Bambino e subito dopo si è dato da fare per trovare un alloggio dignitoso in una casa non potendo certo pensare di potersi rimettere in viaggio per tornare a Nazareth date le fragili condizioni di Maria e del Bambino.

 Dopo qualche tempo Giuseppe con sua grande sorpresa, sente bussare alla porta di casa e aprendola vede degli strani personaggi, desiderosi di rendere omaggio al Bambino che è nato, di offrirgli dei doni e di adorarlo. Una visita che onora davvero tutta la sua famiglia, ma che apre ancora una brutta avventura.

 Erode non ha avuto alcuna risposta dai magi cerca quel Bambino per ucciderlo e Giuseppe scappa da Betlemme in cerca di un luogo sicuro. Decide perciò di non rifugiarsi nelle vicinante, ma di uscire addirittura dalla terra d'Israele iniziando un lungo cammino lungo la via del mare fino ad approdare in Egitto.

 Forse qualche ascoltatore o ascoltatrice in questi giorni ha viaggiato con il treno Freccia Rossa o con l’automobile in autostrada; spostamenti rapidi, veloci.

Non così certo non fa per la famigliola di Giuseppe, Maria e il piccolo Gesù. Loro non erano in viaggio ma erano in fuga: quanti sacrifici, quanto timore, quanta sofferenza e paura è costato questo viaggio Dio solo lo sa.

Giuseppe ne ha portato il peso sulle spalle perché è lui il capo della famiglia, è lui che per primo deve difenderla e proteggerla, è lui il primo responsabile per un viaggio verso l’ignoto come un profugo con la famiglia al seguito.

I telegiornali di questi tempi ci raccontano le quante difficoltà ci sono da affrontare da parte degli emigranti, da poveri di tutto, tra gente che non si conosce e che parla perfino un linguaggio diverso? C'è voluto un bel coraggio per Giuseppe! Sono passati diversi anni prima che il sogno di tornare nella propria terra, nella sua casa di Nazareth si realizzasse.

 Quando gli giunge la notizia della morte di Erode non ci pensa due volte. Raccoglie le poche cose che ha e torna finalmente a casa, ove può dare tranquillità e pace alla famiglia. Scorrono felici quegli anni dell'infanzia per Gesù e Maria canta ogni giorno "le grandi cose che in Lei ha operato Dio". Ogni anno scendono a Gerusalemme per al tempio i loro doni e fare le loro preghiere. Ed è in una di queste occasioni che Maria e Giuseppe "smarriscono" il loro Bambino. Lo ritrovano dopo tre giorni di affannosa ricerca e Maria, da autentica mamma, non gli risparmia il rimprovero mentre Giuseppe tace perché comprende al volo che quella sua non è una "bizzarra Scappatella", ma un segnale del mistero di Dio che si cela dentro di Lui. L'iconografia rappresenta Giuseppe come un "grande vecchio". Probabilmente invece non ha raggiunto un'età da guadagnarsi tale titolo. Questa immagine forse è nata come segno della sua "alta autorità e della sua grande saggezza". L'autorità che egli ha esercitato ha avuto il suo fondamento nella piena consapevolezza del ruolo che Dio gli aveva affidato. È stato, per grazia di Dio, pienamente consapevole, di avere in mano il "figlio davidico" con il quale Dio stava tessendo la grande tela della salvezza. Ogni suo atto è stato un porsi nelle mani di Dio con straordinaria e tempestiva sapienza, lasciando sempre il primo posto nella sua famiglia e nel suo cuore, a "quel Figlio", sognato e desiderato anche dal suo antenato Re David. Questa sua enorme ricchezza interiore, fatta di semplicità, di fatica, di fede, di silenzio e di saggezza ha fatto di Giuseppe un esemplare "unico", tanto da entrare ben presto nel culto dei Santi della Chiesa cristiana d'Occidente e di Oriente. Non a caso ci sono anche molti santi che si chiamano con il suo nome ed anche tante persone che scelgono come proprio il suo nome. Ciò sta a significare che anche il suo "silenzio" è stato ed è eloquente, più di ogni parola. ■

PREGHIERA

Il CUSTODE DELLA NUOVA FAMIGLIA DI GESÙ:

LA CHIESA

San Giuseppe, Patrono della Chiesa,

Tu che accanto al Verbo incarnato

lavorasti ogni giorno per guadagnare il pane,

traendo da Lui la forza di vivere e faticare;

Tu che hai provato l'ansia del domani,

l'amarezza della povertà, la precarietà del lavoro;

Tu che irradi oggi l'esempio della tua figura,

umile davanti agli uomini, ma grandissima davanti a Dio:

guarda alla immensa famiglia che Ti è affidata.

Benedici la Chiesa, sospingendola sempre più

sulle vie della fedeltà evangelica;

proteggi i lavoratori nella loro dura esperienza quotidiana,

difendendoli dallo scoraggiamento, dalla rivolta negatrice,

come dalle tentazioni dell'edonismo;

prega per i poveri,

che continuano in terra la povertà di Cristo,

suscitando per essi le continue provvidenze d

ei loro fratelli più dotati;

e custodisci la pace nel mondo,

quella pace che sola può garantire l o sviluppo dei popoli

e il pieno compimento delle umane speranze:

per il bene dell'umanità,

per la missione della Chiesa,

per la gloria della Trinità Santissima. Amen

(Papa Paolo VI)

 La trinità terrestre arriva a Nazareth è diventa il modello di ogni famiglia della nuova ed eterna alleanza. 

Gesù, Giuseppe e Maria tratteggiano il nuovo della famiglia che diventa la sorgente di gioia di vivere una “familiare letizia”.

La famiglia di Nazareth è un mosaico di qualità umane vissute nella genuinità di qualità umane eccellenti.

L’esortazione apostolica sulla vita familiare frutto del sinodo dei vescovo, appunto sulla famiglia, papa Francesco ha voluto firmarla proprio il 19 marzo festa di san Giuseppe, ieri il custode della famiglia di Nazareth e oggi protettore della Chiesa universale la nuova famiglia di Gesù che raccoglie tutti i battezzati.

stacco musicale

 La bibbia convoca molti strumenti musicali per danzare in coro, ma tutto ciò che respira è coinvolto nella lode a Dio. Allora anche con il nostro respiro lodiamo lasciandoci coinvolgere con questo brano musicale.

Per diventare padri occorre riconoscersi figli, appartenenti a qualcuno. Senza tale itinerario non diventiamo a nostra volta generatori e creativi. Uno non può essere padre, generatore, se non ha nessuno come padre.

Diventare padri degli uomini vuol dire non sentire più il tempo e i beni come qualcosa di proprio. Usciamo così da una concezione comoda della vita e, a imitazione di Cristo, diventiamo capaci di donare noi stessi e ciò che abbiamo ricevuto.

Tutto il Vangelo è disseminato di incontri. Gesù sapeva muoversi con le persone. Sapeva ascoltarle. Sapeva andare al cuore del loro bisogno senza cancellare i bisogni particolari. Attraverso di essi, metteva in luce le necessità più profonde. Non abbandonava, poi, le persone ma si faceva loro compagnia.

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