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Tuesday, 05 April 2011 13:06

L'unità d'Italia e la vitalità della Chiesa

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di Giacomo Martina

Accanto alle riforme attuate da Pio IX per il ripristino di una completa vita comune negli antichi istituti religiosi e per una più facile dimissione (con l'introduzione dei voti semplici prima di quelli solenni nel 1857), assistiamo al proliferare vivissimo delle nuove fondazioni, soprattutto femminili: 183 nel solo Ottocento in Italia! Fino ad allora la vita religiosa femminile era strettamente legata alla clausura (secondo la costituzione apostolica Circa pastoralis di Pio V del 1566). Ora invece la donna si consacra con i voti semplici, è realmente «religiosa» (anche se il riconoscimento giuridico arriverà solo nel 1900 con la costituzione apostolica Conditae a Christo, e questo salverà le nuove congregazioni dalla soppressione) e si dedica alla scuola e all'assistenza.

 

Vittoria della pietà antigiansenistica su quella giansenistica tipica dei secoli precedenti. Questa era caratterizzata da un forte rigorismo (rinvio dell'assoluzione ai recidivi), dalla contrarietà alla comunione frequente e alla devozione al S. Cuore. La pietà antigiansenistica, favorita da don Bosco, dal Frassinetti, dal de Ségur, dalla spagnola Michelina del Sacramento, da Dupanloup, da Pio IX, sottolinea la validità del sistema morale alfonsiano gesuitico (mai rinviare l'assoluzione, cercare solo di suscitare le disposizioni necessarie!), favorisce la comunione frequente, anche se solo con Pio X la questione sarà risolta, inculca la devozione alla Madonna e al S. Cuore. Limiti: scarso senso liturgico e scarsa importanza alla Scrittura.
Gradualmente la pastorale si adatta alla nuova situazione, e si fonda non più sull'appoggio dello stato, sulle pressioni, sul timore, ma sulla persuasione, sulla paziente attesa, in definitiva rispetta maggiormente la persona umana. Cessano definitivamente i «biglietti pasquali», si è consapevoli della scarsa efficacia della censura e del prestigio. Si punta ora sulla persuasione, lenta e difficile, sulla forza dei gruppi cattolici, che aiutano a superare il malcelato disprezzo da cui sono circondati i cattolici. Restano, insostituibili mezzi di apostolato, la catechesi (che punta ormai ad un catechismo unico per tutta l'Italia), la predicazione, la stampa, che non raggiunge certo le tirature di oggi.
Un'evoluzione si avverte anche nella mentalità del «prete»: scompaiono i sacerdoti-precettori, le vocazioni-pagnotta, i preti politicanti e patrioti. Si discute a lungo sulla strada da seguire per la difesa di valori essenziali e si contendono il campo due concezioni opposte: il «prete del sacramento» che mette l'accento sul culto, la predicazione, la confessione, la catechesi, l'assistenza ai malati, e resta sostanzialmente chiuso nel suo ambiente, talora angusto e chiuso; e il «prete del movimento», di acuta sensibilità sociale, impegnato in casse rurali, cooperative, sezioni dell'Opera dei Congressi, giornali, battaglie elettorali...
Intanto si accentua anche la devozione al papa, ci si stringe a lui, per reazione all'anticlericalismo, a Porta Pia; ma anche qui il campo è diviso tra i più papisti del papa, che vedono dovunque pericoli e tradimenti, e i «cattoliberali» (per usare un'espressione venuta di moda questi tempi): Sacchetti, Paganuzzi, Alber­tario, i terribili fratelli Scotton, L'Unità Cattolica..., e le menti più aperte: Bonomelli, Scalabrini, Calabria, Toniolo...
Resta largamente diffuso un certo scetticismo, una diffidenza verso il mondo, la cultura, la società moderna, con le sue aspirazioni; si vede con paura ogni «dialogo», ogni avvicinamento alla cultura moderna, la frequenza alle università statali, un'esegesi che tenga conto delle scoperte delle scienze e non sia legata alla lettera ai sei giorni della creazione, al «serpente», alla nascita della donna dalla costola di Adamo... E anche nella liturgia, si resta ancorati al latino; e durante la Messa si recita il rosario. La libertà di coscienza e di culto resta considerata un male, che si può al più sopportare, mai approvare e difendere; i protestanti e gli ortodossi sono visti come dei nemici.
Il cammino da percorrere per superare questa mentalità resta lungo, e si compirà sostanzialmente con Giovanni XXIII e il Vaticano II, che non deve essere considerato come una condanna del passato, ma resta certamente la fine di un'epoca e l'inizio di un'altra, irreversibile.

 

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