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Discorso di Paolo VI per la beatificazione di don Luigi Guanella 

di Gabriele Cantaluppi

Il 14 ottobre di quest’anno verrà proclamato santo Paolo VI, che a noi guanelliani si è mostrato vero  padre in qualche circostanza di prova e soprattutto perché è stato lui a innalzare all’onore degli altari il nostro Fondatore. Il 24 ottobre 1964 nella basilica vaticana, parata a festa in uno splendore di luci e colori come era abitudine a quei tempi, l’immagine di don Guanella trionfava nella “gloria” del Bernini. Il papa, secondo il rito andato in disuso con Giovanni Paolo II, scendeva nel pomeriggio in basilica per venerare il nuovo Beato, proclamato in suo nome dal cardinale Paolo Marella, arciprete della basilica, al mattino.

Vale la pena ricordare i punti del discorso tenuto da Paolo VI, che ancor oggi concorrono a definire  l’identikit della nostra famiglia guanelliana.

Il papa ricorda di conoscere bene i luoghi natali di don Guanella, perché da arcivescovo di Milano si era recato all’alpe di Motta, proprio sopra Fraciscio, a benedire la grande statua di Maria Nostra Signora d’Europa, voluta da monsignor Luigi Re. Inoltre, ricorda ancora, fu lui a consacrare la nostra chiesa parrocchiale di San Gaetano a Milano, che tanto aveva apprezzato per le sue linee sobrie ed eleganti: una lapide al suo interno afferma che “semper habuit in corde”, cioè la ricordò anche in seguito.

Sempre da arcivescovo di Milano aveva potuto vedere scorrere nel tessuto della pastorale diocesana l’azione benefica di numerosi Centri di impegno caritativo dell’opera guanelliana maschile e femminile.

Sarà lui poi da papa a scegliere  come bibliotecario personale per molti anni un guanelliano, don Attilio Beria.

Inoltre, alla chiusura del Concilio Ecumenico Vaticano II,  affiderà il Messaggio dei padri conciliari «Ai poveri, agli ammalati e a tutti coloro che soffrono»  a una persona affetta da handicap ospite dell’Opera don Guanella di Roma.

L’intera famiglia guanelliana, stretta intorno a lui, è definita “eserciti di seguaci e preferiti del Vangelo… popolo della carità…. giardino di fervore, di dolore e di amore”.

Possono sembrare, e in realtà lo sono, parole un po’ auliche, ma certamente non retoriche sulla sua bocca, sapendo che durante tutto il suo ministero sacerdotale, anche da arcivescovo, aveva sempre trovato il tempo per donarsi ai poveri, uscendo anche in incognito dal palazzo arcivescovile per recarsi di persona in aiuto a chi era nel bisogno materiale e morale, come, per esempio, i sacerdoti che avevano lasciato il ministero. Da papa sarà proprio lui a istituire la “Caritas”, poi diffusa in tutte le parrocchie del mondo.

E lì, davanti ai nostri ammalati, si inginocchierà per accarezzarli, tendendo le sue mani anche a quelli stesi sulle barelle: un gesto oggi abituale da parte di papa Francesco, ma unico in quel tempo e che lasciò tutti commossi. 

Ammonisce però che l’ammirazione per don Guanella e la sua opera deve tradursi in studio, “capire il segreto e cogliere il principio interiore di tale santità”,  perché “è questa una tendenza consueta alla mentalità moderna, quando essa si pone allo studio d'una qualche singolare personalità”.

Andare alle proprie radici è spinta per progettare il futuro, sembra dirci. E infatti tutti siamo consapevoli della strada percorsa da allora nella nostra famiglia guanelliana nello studio della figura storica e del carisma del Fondatore. Ne fanno fede le numerose pubblicazioni e gli Atti dei convegni di questi decenni, che hanno permesso di affrontare con competenza la sfida delle nuove povertà, attenti al “carisma, interculturalità e profezia”, come recita il loro del recente ventesimo Capitolo Generale, tenutosi nel mese di aprile di quest’anno.

Forse, di fronte alle fatiche che oggi attendono la nostra Congregazione, impegnandola nel campo educativo e strutturale delle sue opere e incalzata dalle sempre maggiori esigenze delle legislazioni civili, rincuorano le parole del papa: “dunque l'opera di Don Guanella è opera di Dio! e se è opera di Dio, essa è meravigliosa, essa è benefica, essa è santa”, come dire che, se ha il sigillo di Dio, non c’è da temere.

Questo non significa stare con le mani in mano. Don Guanella ha scritto che  “l'Opera nostra è nata e cresciuta con visibile aiuto della Provvidenza, che non sarà per mancare mai” , ma, continua il papa, richiede da noi “un atteggiamento di continuo riferimento delle nostre azioni alla volontà di Dio, in modo che esse risultino, sotto aspetti diversi ma convergenti, tutte di Dio e tutte nostre”.

Però, attenzione! Don Guanella ha un motore interiore che lo spinge ad agire e a donarsi completamente al povero: “una grande pietà, una assidua preghiera, uno sforzo di continua comunione con Dio sostiene tutta l'attività dell'uomo di Dio: si direbbe che non pensa che a questo”.

“Fino a mezzanotte ci penso io, poi ci pensa Dio”: la celebre risposta data a Pio X indica che “la fiducia è la vera nostra forza, la sicurezza - fino al rischio, talvolta! - che l'assistenza del Signore, la Provvidenza, come diciamo, non mancherà”.

A noi guanelliani resta l’invito: “L'aspetto sociale del Beato meriterebbe qui il suo vero panegirico; ma questo lo fanno i suoi figli ed i suoi ammiratori; lo fanno, con l'eloquenza dei fatti e delle cifre, le sue opere”.

Il 23 ottobre 2011 papa Benedetto XVI in occasione della canonizzazione è ritornato su questo invito: “Questo nuovo Santo della carità sia per tutti, in particolare per i membri delle Congregazioni da lui fondate, modello di profonda e feconda sintesi tra contemplazione e azione, così come egli stesso l’ha vissuta e messa in atto. Tutta la sua vicenda umana e spirituale la possiamo sintetizzare nelle ultime parole che pronunciò sul letto di morte: “in caritate Christi”. E’ l’amore di Cristo che illumina la vita di ogni uomo, rivelando come nel dono di sé all’altro non si perde nulla, ma si realizza pienamente la nostra vera felicità.